Cons. Stato Sez. V, Sent., 18-11-2011, n. 6081 Contratti e convenzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso notificato il 14.11.1997 e ritualmente depositato la A. s.r.l. (di seguito, A.), proprietaria di un’area nel comune di Mantova ricadente nel Piano produttivo "Valdaro" a seguito di acquisto fattone dalla G. s.a.s. (a sua volta acquirente dal Comune), impugnava dinanzi al T.A.R. per la Lombardia la deliberazione di G.C. 26.8.97 n. 678 con la quale l’Amministrazione aveva deciso di avvalersi, in ritenuta ottemperanza alla sentenza n. 118/1997 del Consiglio di Stato, della clausola risolutiva espressa recata dall’art. 9 della convenzione da essa a suo tempo stipulata con la G., nei cui obblighi la ricorrente era succeduta, clausola operante per il caso di mancato inizio o completamento di uno stabilimento produttivo entro i termini stabiliti dall’art. 7 della stessa fonte.

A base del ricorso erano dedotti i seguenti motivi:

1. Falsa applicazione degli artt. 26 e 37 della legge 6.12.71, n. 1034; eccesso di potere per travisamento, sviamento, contraddittorietà e difetto di motivazione: il Comune avrebbe risolto i contratti immotivatamente ed in contraddizione con tutta l’attività portata avanti in precedenza, attestante la persistenza dell’interesse pubblico alla continuazione del rapporto con la A., mentre avrebbe dovuto semplicemente limitarsi a motivare la proroga dei termini che già aveva concesso alla ricorrente per presentare il progetto dello stabilimento produttivo, come statuito, peraltro, dalla stessa sentenza del Consiglio di Stato citata dal provvedimento impugnato, che non aveva affatto sancito l’illegittimità della precedente scelta del Comune di non avvalersi della clausola risolutiva.

2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1456 del codice civile, atteso che il Comune, mediante la concessione alla ricorrente della dilazione del termine per la realizzazione dello stabilimento, avrebbe prestato acquiescenza al suo ritardato adempimento, rinunziando così implicitamente ad avvalersi della clausola risolutiva contenuta nella convenzione, che dunque illegittimamente sarebbe stata poi esercitata con l’atto impugnato.

La ricorrente lamentava quindi, in pratica, che il Comune illegittimamente si era avvalso della clausola risolutiva dopo avere fino ad allora, in virtù dell’interesse pubblico alla prosecuzione del rapporto con essa deducente, ripetutamente dilazionato il termine previsto per la presentazione del progetto dello stabilimento. L’Amministrazione aveva, inoltre, interpretato erroneamente le statuizioni della pronunzia emessa dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dalla società Sasib (in precedenza denominata A.), proprietaria di un’area confinante, in quanto la relativa decisione aveva statuito semplicemente l’obbligo del Comune di motivare in merito alla scelta di non avvalersi della più volte citata clausola risolutiva, senza però affatto inibirla.

Poco dopo, con un ulteriore ricorso notificato il 3.11.2000 la stessa A. impugnava la nota del 15.2.2000 con la quale il Comune aveva rifiutato la proposta di bonario componimento formulata dalla ricorrente, ed avanzava istanza di risarcimento dei danni ad essa arrecati dall’Amministrazione con il proprio comportamento, asseritamente lesivo dell’affidamento che era stato ingenerato nella società sul buon esito delle trattative.

Esponeva difatti la ricorrente che il Comune, dopo la decisione di avvalersi della clausola risolutiva, attraverso numerosi incontri tenutisi tra assessori e dirigenti comunali ed i legali della medesima A. aveva manifestato la volontà di addivenire ad una transazione con la società, a conclusione della quale l’Amministrazione avrebbe revocato le proprie precedenti determinazioni e rilasciato la concessione edilizia per la costruzione dello stabilimento, mentre la ricorrente, dal canto suo, previa rinuncia al proprio precedente gravame, avrebbe versato alla prima la complessiva somma di lire 50.000.000, comprensiva degli oneri di urbanizzazione per la costruzione.

Inopinatamente, però, nonostante il consenso dell’AGAPE sull’ipotesi transattiva, il Comune aveva infine riferito, con la nota impugnata, di non voler accogliere la proposta, preferendo attendere l’esito del giudizio pendente. E la frustrazione, così cagionata, dell’affidamento che era stato ingenerato nella ricorrente dall’evolversi delle trattative avrebbe integrato la sussistenza di tutti i presupposti per la configurazione di una responsabilità precontrattuale a carico dell’Amministrazione.

Resisteva ai due ricorsi il Comune, che ne deduceva l’infondatezza e richiedeva la loro reiezione.

Il Tribunale adito li respingeva entrambi con le sentenze nn. 1013 e 1014 del 2002.

Avverso tali pronunzie la A. esperiva gli appelli in epigrafe, riproponendo sostanzialmente le proprie tesi, argomentazioni e richieste, e sottoponendo a critica le decisioni del Tribunale per averle disattese.

Alla pubblica udienza del 15/7/2011 i due appelli sono stati trattenuti in decisione.

Stante la connessione esistente tra le due controversie la Sezione ritiene opportuno disporne la riunione, affinché le stesse possano essere definite attraverso un’unica decisione.

Ciò premesso, mentre il primo appello merita accoglimento, in considerazione dell’illegittimità della decisione assunta dal Comune con la deliberazione n. 678/1997 di avvalersi della clausola risolutiva espressa, la domanda risarcitoria azionata con il secondo giudizio risulta invece infondata.

1a Per pervenire ad un più nitido inquadramento della materia del contendere è opportuno riepilogare, sia pure schematicamente, lo sviluppo degli eventi:

– tra le obbligazioni in cui A. era subentrata a G. vi era quella di procedere all’edificazione del lotto nei termini previsti dall’art. 7 della convenzione, sotto pena della risoluzione ipso jure del contratto, con conseguente retrocessione del terreno al Comune dietro restituzione (senza interessi) del prezzo d’acquisto;

– il Comune, dopo la scadenza dei termini prescritti senza che A. fosse riuscita a costruire il nuovo stabilimento, con atto sindacale dell’8/10/1990 (rettificato il seguente giorno 11) invitava la società a trasmettere entro venti giorni un’impegnativa, alternativamente: a presentare il relativo progetto di costruzione nei successivi tre mesi, oppure a retrocedere l’area entro la stessa scadenza;

– A. con raccomandata del 25/10/1990 si impegnava a presentare il progetto dello stabilimento nei successivi tre mesi;

– nel frattempo, la ditta A. C. M. s.p.a. (in seguito, A.), già insediata nella medesima località Valdaro, chiedeva al Comune di poter ampliare il proprio stabilimento avvalendosi dell’area di A. oppure del lotto assegnato alla ditta Borghi: sicché il Comune, con atto del 21/12/1990, sospendeva il corso del termine poco prima offerto all’attuale appellante per la presentazione del progetto, interpellandola affinché essa si pronunziasse circa la possibilità di una permuta;

– in seguito il Comune, accertata l’impraticabilità di quest’ultima ipotesi, il 25/2/1991 invitava A. a presentare entro due mesi il proprio progetto, adempimento che la società effettivamente eseguiva in data 24/4/1991;

– nel frattempo, peraltro, la A. impugnava dinanzi al TAR per la Lombardia gli atti comunali fin qui menzionati, assumendo che l’Amministrazione, una volta scaduti i termini previsti per l’edificazione dei lotti di pertinenza di A. e della ditta Borghi, avrebbe dovuto subito avvalersi della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 9 della convenzione, senza concedere dilazioni;

– il ricorso di A., respinto dal Tribunale, veniva tuttavia accolto dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 118 del 1997, decisione che, mentre per un verso dichiarava cessata la materia del contendere nei riguardi della ditta Borghi, in quanto questa nelle more era stata dichiarata decaduta dall’assegnazione con delibera di G.M. 9/11/1993, per altro verso annullava gli atti sindacali che erano stati emessi, invece, nei riguardi di A. concedendole termini via via nuovi per adempiere;

– la decisione giurisdizionale n. 118/1997 si fondava sul rilievo che, vertendosi in tema di assegnazione di aree per ragioni di pubblico interesse, ed in presenza della domanda di assegnazione avanzata da un terzo, la scelta dell’ente locale di non avvalersi della clausola risolutiva espressa richiedeva di essere adeguatamente motivata, laddove nella specie, invece, gli atti con i quali il Comune aveva concesso le dette proroghe ad A. erano privi di qualsiasi motivazione, nonostante la risalente scadenza dei termini a questa a suo tempo assegnati e la presenza dell’istanza del terzo operatore A.;

– dopo la pubblicazione della citata decisione di questo Consiglio, infine, il Comune, nel dichiarato intento di prestarvi ottemperanza, con la deliberazione di G.C. 26.8.97 n. 678 stabiliva senz’altro di avvalersi della clausola risolutiva, e dichiarava risolta la compravendita del terreno in questione.

1b Tutto ciò posto, la Sezione rileva che A. a ragione si è doluta del fraintendimento della decisione di questo Consiglio n. 118/1997 da parte del Comune, all’atto in cui esso ha deciso di avvalersi della clausola risolutiva, come pure dell’assenza di motivazione a base di tale scelta.

1c Il primo Giudice ha giustamente osservato che dalla sentenza n. 118/97 erano stati annullati tutti gli atti di proroga fino ad allora concessi dal Comune per la presentazione del progetto, ed aveva ripreso conseguentemente validità il termine stabilito dall’art. 7 della convenzione per la costruzione dello stabilimento, a garanzia del quale era posta la clausola risolutiva recata dall’art. 9 della stessa convenzione. In questo quadro, ha puntualizzato il Tribunale, non è possibile ritenere che il Comune, mediante i suddetti -ma ormai caducati- atti di proroga, avesse prestato acquiescenza all’inadempimento della ricorrente, e così definitivamente perduto il diritto ad ottenere la retrocessione dell’area: questo anche in virtù del fatto che la mera tolleranza dell’inadempimento non equivale affatto a rinunzia ad avvalersi della clausola risolutiva espressa.

Per tali ragioni, deve quindi essere disattesa la doglianza articolata nelle pagg. 1416 del presente appello.

1d Il Tribunale non può essere però più seguito dove esso ha argomentato che "la decisione del Consiglio di Stato non ha affatto previsto un obbligo di motivazione per il caso in cui il comune decidesse di avvalersi della clausola, essendo legittimato alla risoluzione dalla convenzione a seguito del mero inadempimento della controparte."

L’appellante osserva innanzi tutto con chiarezza come la deliberazione da essa avversata denoti l’errato convincimento che il giudicato formatosi sulla decisione n. 118/1997 comportasse la necessità di provvedere in senso diametralmente opposto rispetto agli atti che questa aveva annullato. Il Comune non ha invero munito di motivazione alcuna la propria determinazione di avvalersi della clausola risolutiva, quasi che l’annullamento giurisdizionale delle precedenti dilazioni concesse ad A., ancorché pronunciato solo per la carenza di motivazione che le viziava, lo vincolasse a determinarsi immancabilmente in senso inverso.

Di contro, dall’appellante viene rettamente rilevato, in termini generali, che l’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo per difetto di motivazione non impone alla Pubblica Amministrazione di pervenire a conclusioni necessariamente divergenti da quelle originariamente prescelte, essendo invece sufficiente che questa si ridetermini con il corredo di un appropriato apparato motivazionale.

Nello specifico, la decisione n. 118/1997 si basava sul rilievo che, mentre la scelta di non avvalersi della clausola risolutiva espressa richiedeva -tanto più in presenza della domanda di assegnazione di un terzo- di essere adeguatamente motivata, gli atti assunti dal Comune a favore di A. erano per converso privi di qualsiasi motivazione.

Questo Consiglio non aveva quindi accertato, allora, l’insussistenza di ragioni suscettibili di giustificare una conferma delle dilazioni che erano state accordate ad A., ma aveva soltanto stigmatizzato il fatto che queste ultime fossero state concesse senza motivare. E le argomentazioni svolte dal primo Giudice con la sentenza che forma oggetto di appello dimostrano, analogamente, solo che il Comune avrebbe in astratto potuto avvalersi della clausola, ma non anche che esso fosse tenuto a farlo.

Il Comune, in realtà, era stato posto dalla decisione n. 118 dinanzi ad un bivio, corrispondente alle due opzioni contrapposte disponibili. Ed esso, all’esito delle proprie valutazioni, avrebbe dovuto motivare comunque la propria scelta, avente natura discrezionale: non solo l’opzione di una conferma delle precedenti dilazioni, come questo Consiglio aveva chiarito, ma anche quella, simmetricamente opposta, di avvalersi della clausola risolutiva.

L’obbligo di motivare questa seconda opzione, in particolare, scaturiva ineluttabilmente dai seguenti, peculiari elementi circostanziali: che in precedenza, e sia pure senza fornire motivazione, il Comune si era determinato diversamente, ed aveva con ciò indotto la società ad attivarsi; che nelle more, ed ormai da lungo tempo (il 24/4/1991), A. aveva presentato il proprio progetto, ponendo così fine al proprio ritardo; che, infine, la nuova sollecitazione avanzata dal terzo aspirante (A., divenuto Sasib Labelling Division s.p.a.) dopo la decisione di questo Consiglio, vale a dire in data 5/571997, sollecitazione sulla quale il Tribunale si è soffermato, aveva riguardato l’assegnazione, in realtà, non del terreno di A., bensì di quello dalla cui assegnazione era stata dichiarata decaduta la ditta Borghi.

In un quadro siffatto, si evidenzia la non condivisibilità dell’enunciato del Tribunale per cui il Comune sarebbe stato senz’altro tenuto alla risoluzione a seguito del mero inadempimento della controparte, soluzione che, con il negare nella vicenda l’onere del Comune di motivare la propria scelta risolutoria, farebbe venir meno ogni garanzia circa il perseguimento in concreto di interessi pubblici e la ragionevole salvaguardia degli interessi privati con essi compatibili.

1e Nei termini dianzi esposti il primo appello va quindi accolto, e per l’effetto annullata la deliberazione con cui il Comune ha deciso di avvalersi della clausola risolutiva espressa. Le definitive determinazioni del caso da parte dell’Amministrazione, debitamente motivate, dovranno peraltro tenere naturalmente conto, oltre che degli elementi indicati nel precedente paragrafo 1d, anche delle eventuali nuove richieste pendenti che dovessero essere state presentate nelle more sullo stesso lotto da operatori terzi.

2 Resta da esaminare il secondo dei ricorsi in epigrafe, con il quale la stessa A., impugnando la nota del 15.2.2000 con cui il Comune aveva rifiutato la sua proposta transattiva, ha avanzato istanza di risarcimento dei danni ad essa arrecati dall’Amministrazione con il suo comportamento, asseritamente lesivo dell’affidamento ingenerato nella società durante le trattative di bonario componimento.

La pretesa risarcitoria è infondata.

2a L’appellante, facendosi doveroso carico di un tentativo di dimostrazione del presupposto che la trattativa fosse pervenuta ad un grado di sviluppo tale da giustificare il proprio ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del’accordo transattivo, individua la relativa soglia nel fatto della ripresa delle trattative del novembre 1999, dopo la loro interruzione a seguito della nota comunale del 14 gennaio dello stesso anno. Secondo le sue tesi, da tale nuova iniziativa poteva logicamente desumersi che l’Amministrazione fosse effettivamente intenzionata a transigere la controversia, giacché diversamente non vi sarebbe stata ragione di riaprire una trattativa ormai chiusa.

Il punto è che con la citata nota del 14 gennaio 1999 A. era stata informata del fatto che a bloccare il corso della trattativa era stata allora una contraria decisione di Giunta municipale, assunta il precedente 11 gennaio. Di conseguenza, in un contesto in cui era sufficientemente chiaro, tra le parti, che per il buon fine della transazione occorresse superare la posizione contraria ormai assunta al riguardo dalla Giunta, la successiva iniziativa degli uffici di riaprire la trattativa, e la convergenza tra i loro dirigenti e quelli di A. riscontrata nell’incontro del 10 novembre 1999, autorizzavano a fare affidamento semplicemente sul fatto che i presenti all’incontro si sarebbero adoperati per tentare di ribaltare il precedente veto giuntale, ma non anche sull’esito di un simile tentativo, approdo rispetto al quale non sono stati forniti elementi giustificativi di alcuna aspettativa qualificata.

2b Va poi aggiunto, anche per completezza di disamina, che la stessa appellante, pur avanzando una richiesta risarcitoria per un ammontare considerevole, non ha documentato (con la sola eccezione di cui si dirà) di avere effettivamente sostenuto dei precisi oneri sullo specifico presupposto del proprio affidamento in un felice esito dell’ipotesi transattiva.

Le trattative, si rammenta, sono iniziate il 15 giugno 1998, si sono interrotte il 14 gennaio 1999, sono state riprese con l’incontro del 10 novembre 1999 e sono definitivamente naufragate con la nuova decisione contraria della Giunta del 19 gennaio del 2000.

Ne discende che, come ha prontamente eccepito la difesa comunale senza dare adito a controdeduzioni, gli oneri documentati dalle fatture docc. nn. 24 e 25, risalenti rispettivamente al 30/10/1997 e al 1°/8/1996, non sono causalmente riconducibili alle trattative in questione, ma costituiscono oneri autonomamente sostenuti, in precedenza, per l’integrazione del progetto che era stato presentato il 24 aprile 1991.

Per ragioni simili, neppure potrebbero ammettersi a risarcimento gli oneri scaturiti dal contratto di affitto che A. ha stipulato il 28/10/1999, vale a dire in un periodo in cui le trattative con il Comune erano ancora interrotte.

Quanto alla richiesta dell’appellante di vedersi risarcita per il mancato sfruttamento dell’area con la realizzazione ed utilizzazione del capannone, le relative voci di danno fuoriescono dall’ambito dei pregiudizi risarcibili a titolo di responsabilità precontrattuale, sfera connotata dal c.d. interesse contrattuale negativo, attenendo invece all’utilità che la richiedente avrebbe potuto eventualmente trarre dal buon fine della trattativa, e quindi alla lesione dell’interesse contrattuale c.d. positivo.

Una sola voce di danno, tra quelle allegate dall’appellante, sarebbe stata potenzialmente riconducibile all’alveo della culpa in contraendo ascritta da essa società all’Amministrazione. Si fa riferimento al compenso professionale all’ing. Magistrelli relativo alla parcella di cui al doc. 19 della produzione di primo grado di A. per l’importo di lire 16.336.800, che ha riguardato la pratica presentata ai Vigili del Fuoco il 28 dicembre 1999 (in evasione di una richiesta che, peraltro, rimontava già alla nota municipale del 19 dicembre 1996: doc. 5 della produzione comunale di primo grado).

Neppure sotto questo aspetto la pretesa risarcitoria in esame potrebbe, tuttavia, trovare accoglimento. In dipendenza dell’accoglimento del primo degli appelli in esame, infatti, il perfezionamento della pratica inerente al progetto della A. non potrebbe essere apprezzato in questa sede come un esborso poi appalesatosi privo di ragione (in tesi, per il tramonto dell’ipotesi transattiva), e come tale potenzialmente ribaltabile sulla parte che ha indotto la società a compierlo: esso torna senz’altro a presentarsi, invece, come un adempimento operato dall’appellante nel proprio interesse, nella realistica prospettiva di avvalersi del lotto per la realizzazione dello stabilimento previsto, in aderenza ed attuazione della convenzione corrente con il Comune.

3 In conclusione, mentre il primo appello deve essere accolto, e per l’effetto annullata la deliberazione con cui il Comune ha stabilito di avvalersi della clausola risolutiva espressa, il secondo appello va invece respinto in quanto infondato.

Le spese processuali del doppio grado di giudizio possono essere equitativamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riuniti gli appelli in epigrafe, statuendo definitivamente sui medesimi così dispone:

– accoglie il primo appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il relativo ricorso di primo grado, ed annulla la deliberazione di G.C. 26.8.97 n. 678 con esso impugnata;

– respinge il secondo appello.

Compensa tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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