Cass. civ., sez. Lavoro 19-07-2006, n. 16542 ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA – PRESTAZIONI ASSISTENZIALI – Assegno di invalidità – Requisito reddituale – Elemento costitutivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

R. C., a mezzo del suo difensore avv. G? A? M?, ricorre per cassazione avverso la sentenza sopra indicata, con cui la Corte d’appello di Venezia ha disposto la sua consegna all’autorità giudiziaria del Regno del Belgio, accogliendo la richiesta di cui al mandato d’arresto europeo, emesso dal giudice per le indagini preliminari di Charleroi in data 29.9.2005, per il reato di truffa.

L’arreso fu operato in Italia il 13 ottobre 2005 dai Carabinieri di Porto Viro e – previa audizione della C., che rifiutò il consenso all’estradizione in Belgio – fu convalidato il successivo giorno 15 dal Presidente della Corte d’appello di Venezia, che applicò la misura cautelare della custodia in carcere.

3. Risulta dalla descrizione dei fatti inserita nel mandato d’arresto europeo, compilato secondo il modello allegato alla decisione-quadro del Consiglio dell’Unione europea del 13 giugno 2002 (G.U.C.E. del 18.7.2002), che la C., si era incontrata con diverse persone proponendo loro di investire in borsa, suo tramite, rilevanti somme di danaro, con promessa di reddito molto elevato. Cinque persone avevano consegnato la somma complessiva di 114.800 euro, senza più recuperare il loro danaro, avendo la C. abbandonato il proprio domicilio in Belgio, senza lasciare alcun recapito.

Si dà, altresì, atto della pendenza d’altro procedimento per i reati di truffa e falsità, per i quali era stata prima raggiunta da misura cautelare personale e poi scarcerata su cauzione.

Nel provvedimento cautelare dell’autorità giudiziaria belga (acquisito dalla Corte d’appello), si specifica che la donna è imputata "di essersi, nel Belgio, a Charleroi e in connessione altrove, in data indeterminata, ripetutamente, tra il 1 settembre 2002 e il 9 aprile 2004, quale autore, coautore e complice, allo scopo di appropriarsi di roba altrui, fatto consegnare o rilasciare fondi" (e precisamente 114.800 euro) da cinque persone nominativamente indicate, "sia usando falsi nomi o false qualità, sia impiegando manovre fraudolente per convincere dell’esistenza di false imprese, di un potere o di un credito immaginario, per far nascere la speranza o il timore di un successo, di un incidente o di tutt’altro evento chimerico, o per approfittare della fiducia o della credulità".

Si ritengono sussistenti sia "indizi seri di colpevolezza a carico dell’imputata" del reato di cui all’art. 496 del codice penale belga, con riferimento al "ruolo centrale dell’imputata che ha lasciato credere alle vittime che aveva la disponibilità di mezzi che le consentivano di assicurarsi un altissimo reddito nel caso che l’investimento di somme di danaro le venisse affidato e facendosi passare per una specialista della finanza", sia le esigenza cautelari collegate alla scomparsa della C. dal territorio belga senza lasciare alcun’indicazione di recapito.

Per il reato d’escroquerie, l’art. 496 del codice penale belga (come emerge dal testo della disposizione di legge trasmessa dall’autorità belga) prevede la reclusione da un mese a cinque anni.

Sulla base di tali elementi e atti, la Corte veneziana – prendendo atto dell’esistenza della doppia incriminazione in Belgio e in Italia del reato di truffa (escroquerie), delle informazioni di cui all’art. 6 L. 69/2005, della descrizione dei fatti contestati e dell’acquisizione della copia del provvedimento del giudice belga, contenente adeguata motivazione delle circostanze fattuali che collegano la C. alla fattispecie contestata e danno conto di specifiche esigenza cautelari – ha ritenuto, da un lato, sussistenti i presupposti per l’accoglimento della richiesta di consegna e, dall’altro, l’inesistenza di cause ostative ai sensi dell’art. 18 L. 69/2005.

Nel ricorso per cassazione si deduce l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione della legge 69/2005 e, segnatamente, per:

mancato accertamento dell’autenticità del mandato di arresto europeo;

sussistenza della causa ostativa alla consegna di cui all’art. 18 lett. e; c) sussistenza della causa ostativa alla consegna di cui all’art. 18 lett. p; d) insussistenza di gravi indizi di colpevolezza ex art. 17.

Considerato in diritto

6. La ricorrente lamenta, in primo luogo, che il provvedimento cautelare emesso dal giudice istruttore del Tribunale di Charleroi non sia stato acquisito né in originale né in copia autentica, ma sia pervenuto soltanto a mezzo telefax. Da ciò conseguirebbe "l’impossibilità di ritenere accertata, nel procedimento, l’autenticità e, quindi, in ultima analisi, la stessa esistenza dei provvedimenti oggetto del contraddittorio".

La censura è infondata. Si osserva innanzi tutto che è neppure prospettabile che il mandato di arresto europeo sia acquisito in originale, trattandosi di documento emesso da un’autorità nazionale di un paese europeo e destinato a tutti gli altri stati membri dell’Unione. In secondo luogo, nel caso in esame non può dubitarsi dell’esistenza del mandato di cattura emesso dal giudice istruttore di Charleroi, attesa la sovrabbondanza di elementi documentali (dall’inserimento della relativa segnalazione del mandato di arresto europeo nel "Sistema di Informazione Schengen" ai contatti diretti tra le autorità giudiziarie di emissione e di esecuzione) che lo comprovano.

Per quanto concerne la deduzione di illegittimità per mancata autenticazione della copia, osserva il Collegio che nessuna disposizione della legge 60/2005 o della decisione-quadro 2002/584/GAI prevede l’acquisizione del documento in copia autentica, come presupposto di ammissibilità di una pronuncia positiva alla consegna.

Nel nuovo sistema, improntato a mutuo riconoscimento e libera circolazione delle decisioni giudiziarie tra le autorità giudiziarie dei paesi dell’Unione, si è voluto liberare i procedimenti da ogni inutile appesantimento burocratico, tipico delle comunicazioni ufficiali a mezzo dei rispettivi apparati ministeriali della giustizia o degli esteri, senza ovviamente nulla sacrificare alle garanzie delle persona ed alla certezza del traffico giuridico. A tal fine le comunicazioni a mezzo telefax, con annotazione sui documenti del numero di apparecchio ricevente e trasmittente, possono considerarsi pienamente idonee a fornire le normali garanzie di affidabilità.

Poiché è ovviamente necessaria la certezza che la copia acquisita, ricevuta dall’autorità giudiziaria italiana, sia conforme al documento originale, è stato espressamente previsto che "nel caso in cui insorgano difficoltà relative alla ricezione o all’autenticità dei documenti trasmessi dall’autorità giudiziaria", il presidente della Corte d’appello "prende contatti diretti con questa alfine di risolverli" (art. 9.2 L. 69/2005).

Nel caso di specie nessuna difficoltà di tal genere è insorta né risulta essere mai stata prospettata dalla difesa alla Corte territoriale. Rileva, inoltre, il Collegio che dal fascicolo emerge che contatti diretti sono intercorsi tra il presidente della Corte veneziana e il giudice istruttore di Charleroi che ha emesso il provvedimento cautelare (v. atti e corrispondenza a fll. 231, 235, 236, 237), aventi ad oggetto la specifica procedura in esame, cosicché nessun dubbio o questione è prospettabile sull’autenticità del mandato di arresto emesso nei confronti di R. C..

7. Manifestamente infondato è il motivo sub c), che deduce la sussistenza della causa ostativa alla consegna di cui all’art. 18 lett. p della legge, assumendosi che il fatto, così come descritto, "non consente di escludere che il reato oggetto del mandato di arresto europeo in discussione debba considerarsi commesso in tutto o in parte in Italia ai sensi dell’art. 6 comma 2 cod. pen.".

Il ricorrente fonda tale conclusione sulla "lettura combinata" della contestazione mossa dall’autorità giudiziaria belga e delle dichiarazioni, rese in sede di udienza di convalida dell’arresto, dalla C., che assume di essere rientrata in Italia alla fine del 2002.

In questa sede, al fine di valutare l’eventuale sussistenza della giurisdizione italiana e, quindi, della causa ostativa sopra indicata, occorre fare riferimento soltanto alla prospettazione accusatoria risultante dal mandato di arresto, senza possibilità di valutare contestazioni fattuali defensionali, peraltro generiche e sfornite del minimo sostegno probatorio. I fatti illeciti addebitati alla C. sono collocati temporalmente nel periodo "tra il 1° settembre 2002 e il 9 aprile 2004" e geograficamente "nel Belgio, a Charleroi e in connessione altrove", dove le eventuali diverse localizzazioni sono "in connessione" con Charleroi e, comunque, con il territorio belga, senza alcune possibilità di ipotizzare una parziale connessione in territorio italiano.

8. Infondato è anche il motivo sub d), con cui si contesta che la documentazione in atti consenta di ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 17.4 e si protesta che "manca ?la descrizione di un fatto storico astrattamente riconducibile ad una fattispecie incriminatrice, manca l’indicazione delle fonti di prova, manca la motivazione dell’autorità giudiziaria belga.".

Lungi dall’ipotizzarsi "un’attività di intermediazione finanziaria non andata a buon fine", come sostiene il ricorrente, nella descrizione del provvedimento del giudice istruttore belga, si addebitano alla C. una condotta integrante artifici e raggiri (autoattribuzione di nome e qualità false), idonei a indurre in errore le vittime, e la realizzazione di un ingiusto profitto con altrui danno, ossia tutti gli elementi costitutivi del delitto previsto dall’art. 640 del codice penale italiano {truffa) e dell’art. 496 del codice penale belga (escroquerie).

Pur non ricorrendo l’espressione "fonti di prova", nella motivazione del provvedimento sono sinteticamente, ma chiaramente indicati tutti gli elementi fattuali addebitati all’accusata, emergenti dalle denunce e dalle dichiarazioni delle cinque parti offese, nominativamente indicate. Ne consegue che sono rispettate le previsioni di cui all’art. 6, commi 1 lett. e) e 4 lett. a, della legge n. 69/2005.

Quanto alla denuncia di carenza di motivazione, il Collegio ribadisce innanzi tutto quanto è stato recentemente affermato da questa stessa sezione della Corte: a) il giudice italiano deve limitarsi a verificare che il mandato di arresto europeo, per il suo contenuto intrinseco o per gli altri elementi raccolti in sede investigativa o processuale, sia fondato su un compendio indiziario che l’autorità giudiziaria emittente ha ritenuto seriamente dimostrativo di un fatto-reato, commesso dalla persona di cui si chiede la consegna; b) il presupposto della necessaria motivazione del mandato d’arresto, cui è subordinato l’accoglimento della domanda di consegna non può essere inteso alla stregua della nozione propria del nostro ordinamento giuridico e sconosciuta ad altri ordinamenti, ossia l’esposizione logico-argomentativa del significato e delle implicazioni del materiale probatorio: quello che non può mancare è che l’autorità giudiziaria emittente dia comunque ragione del provvedimento coercitivo, ciò che può risultare anche dalla descrizione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna (v. Cass., sez. 6A, n. 34355 del 26/09/2005, Rv. 232053-232054).

Alla stregua di tali condivisi principi di diritto, la sentenza impugnata appare corretta e condivisibile, giacché l’indicata espressione (^atteso che sussistono indizi seri dì colpevolezza a carico dell’imputata"), censurata dal ricorrente, è soltanto lo stilema sintetico posto in testa all’analitica motivazione (sopra sintetizzata al paragrafo 1.3 e relativa ai seri indizi di colpevolezza, oltre che alle esigenze di cautela che sorreggono la misura coercitiva), motivazione che, in questo caso, risulta non soltanto sussistente, ma anche sostanzialmente conforme al modello italiano di provvedimento. Va, perciò, rigettata la censura avanzata con riferimento agli artt. 17.4 e 18.1 lett. t1. cit.

9. La ricorrente invoca, con il secondo motivo, la sussistenza della causa ostativa alla consegna espressamente prevista dalla lettera e) dell’art. 18 della legge 69/2005, in quanto "la documentazione presente agli atti del procedimento non fa alcun cenno circa l’esistenza, nell’ordinamento giuridico dello Stato emittente, della previsione di limiti massimi della carcerazione preveniva".

Il motivo si articola in due questioni: la prima riferita alla mancanza di comunicazione da parte dell’autorità belga delle norme di legge relative ai termini massimi di carcerazione preventiva; la seconda più propriamente relativa al divieto di consegna della persona colpita da mandato di arresto europeo nel caso in cui la legislazione dello Stato di emissione non prevede i limiti massimi di carcerazione preventiva.

9.1. Osserva il Collegio che la conclusione negativa del procedimento, invocata dalla ricorrente, determinata dalla mera mancata trasmissione del testo delle disposizioni relative ai termini massimi di carcerazione da parte dell’autorità belga, costituirebbe un’abnorme espressione di formalismo burocratico, contraria allo spirito ed alla lettera della decisione-quadro perché scollegata da ogni esigenza di reale garanzia, mentre è criterio ermeneutico ormai pacifico che la legge interna, attuativa di normativa europea, deve interpretarsi in senso conforme alla disciplina comunitaria, come più volte ha ripetuto sia la Corte europea di giustizia (da ultimo, sentenza su ricorso 105/03, P. c/ Italia del 16.6.2005) e dalla Corte costituzionale italiana (tra le tante, v. sent. n. 170 del 1984). Va anche considerato che la realtà istituzionale dell’Unione europea -ordinamento giuridico di cui è parte integrante la Repubblica italiana, con tutti i suoi organi giurisdizionali ordinari- non è più assimilabile ad un ordinamento "straniero", cosicché non solo la normativa comunitaria, ma anche il diritto interno degli stati membri -almeno per quanto concerne "i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario" (art. 6 n. 2 del vigente Trattato UE), nonché nella parte in cui s’intreccia con la funzione giurisdizionale italiana- devono considerarsi parte del diritto che il giudice nazionale deve conoscere, secondo l’antico brocardo "iura novìt curia".

In ogni caso, è preciso dovere del giudice del paese richiesto adoperarsi per acquisire tutte le necessarie informazioni prima di assumere la propria decisione, come prescritto dalla 1. 69/05 all’art. 16 {informazioni e accertamenti integrativi), richiamato dall’art. 6.2, proprio con riferimento alla necessità di verificare la sussistenza di una delle ipotesi di divieto di consegna previste dall’art. 18, nonché dalla norma generale in materia di estradizione, che impone alla corte d’appello di decidere "dopo aver assunto le informazioni e disposto gli accertamenti ritenuti necessari" (art. 704 comma 2 c.p.p.).

Supplendo alla mancata richiesta di informazioni da parte del giudice veneziano, questa Corte, all’udienza del 12 dicembre 2005, ha richiesto al Ministro della giustizia, ai sensi dell’art. 6 sopra indicato, l’urgente acquisizione delle disposizioni del Regno del Belgio applicabili ai fini della decisione, con particolare riferimento all’esistenza di [revisione di limiti massimi di carcerazione preventiva, espressamente richiesti -a pena di rifiuto di consegna- dall’art. 18 lett. e della legge n. 69/2005

Con nota del Ministro della giustizia datata 4.4.2006, pervenuta alla Corte il giorno seguente, è stata trasmessa la risposta dell’autorità giudiziaria belga, la quale comunica che ”per quanto concerne il quesito relativo all’esistenza di un limite massimo alla custodia preventiva, la risposta è negativa". Per la custodia preventiva per reati puniti con pena superiore ad un anno di reclusione (come il delitto contestato), è previsto l’esame in camera di consiglio da parte della giurisdizione d’istruzione, una prima volta entro il quinto giorno dall’arresto e, successivamente, con cadenza mensile e "nel rispetto del ragionevole durata prevista dall’art. 5, comma 3, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali".

9.2. Si pone, dunque, il problema di stabilire se la C., pur in presenza di tutti gli altri presupposti e condizioni richiesti dalla decisione-quadro comunitaria e dalla legge italiana n. 69/05, che ad essa ha dichiaratamente inteso dare attuazione, possa essere consegnata all’autorità giudiziaria del Regno del Belgio, in presenza di una condizione ostativa posta dal legislatore nazionale, la quale non solo non è prevista dalla predetta decisione-quadro, ma non è neppure richiesta dalla procedura ordinaria di estradizione, disciplinata dalla Convenzione europea firmata a Parigi il 13.12.1957, che è stata espressamente sostituita da un "nuovo sistema semplificato di consegna" tra autorità giudiziarie, in attuazione della "libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale" proprio al fine di "eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione" (v. n. 5 dei considerando della decisione-quadro).

Questa Corte ha ben presente il dibattito in corso da anni nella dottrina europea e, soprattutto, nella giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo concernente il rispetto della fondamentale garanzia dell’effettiva ragionevole durata della detenzione, richiesta dall’art. 5.3 C.e.d.u., anche in relazione alla più generale garanzia della durata ragionevole del processo, richiesta dall’art. 6.1 della stessa Convenzione.

Non necessita un approfondito esame comparativo dei vari ordinamenti europei per constatare che, all’identico scopo di perseguire l’intento di limitare la detenzione in attesa di giudizio, i vari ordinamenti percorrono strade differenti.

Mentre in Italia, dall’inizio degli anni settanta del secolo corso, si è fatto ricorso alla determinazione di termini massimi di carcerazione -differenzianti a seconda della natura del reato e delle diverse fasi del procedimento- il cui superamento determina la scarcerazione automatica dell’imputato, in altri paesi (tra cui il Belgio) si utilizza, secondo il modello inglese, il meccanismo dei controlli periodici da parte del giudice, predeterminati a breve e frequente scadenza, senza previsione di automatismi liberatori connessi al superamento di limiti massimi.

La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha non soltanto ripetutamente giudicato questi ultimi sistemi perfettamente rispettosi della garanzie fondamentali prevista dall’art. 5 comma 3 della Convenzione "Ogni persona arrestata o detenuta ?ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere posta in libertà durante l’istruttoria"), ma si è mostrata piuttosto scettica verso astratte, pur se ovviamente legittime, previsioni legislative (cfr. sentenza St. c/ Austria del 10 novembre 1969; W. c/ Svizzera del 26 gennaio 1993; Er. c/ Repubblica Federale Tedesca del 5 luglio 2001), ritenendo, invece, preferibile più responsabilizzanti sistemi che impongano alle autorità giudiziarie nazionali di vigilare costantemente affinché, negli specifici e concreti casi giudiziari, la durata della detenzione preventiva non superi il limite della ragionevolezza, a prescindere anche dal rispetto dei limiti massimi di custodia (W. c/ Svizzera del 26 gennaio 1993; T. c/ Francia del 28 agosto 1992; I.A. c/ Francia del 23 settembre 1998; G. c/ Belgio del 16 settembre 2002; P. c/ Italia del 6 novembre 2003).

Proprio in una causa concernente l’osservanza dell’art. 5 co. 3 C.e.d.u. in relazione ad una custodia cautelare sofferta da un imputato in un procedimento penale italiano, la Corte ha evidenziato che la valutazione circa la ragionevolezza della carcerazione preventiva non può avvenire in astratto, ma deve tenere conto delle specifiche circostanze del caso. La

Corte ha rilevato che la persistenza di forti indizi di colpevolezza costituisce la condicio sine qua non della liceità della detenzione preventiva, ma dopo un certo lasso di tempo, essa non è più sufficiente, poiché occorre verificare se vi siano altri rilevanti motivi che giustifichino la privazione della libertà individuale e, infine, se le competenti giudiziarie nazionali abbiano adoperato una "speciale diligenza" nel portare a termine la relativa procedura (Sar. c/ Italia del 17 febbraio 2005, ric.56271/00).

Che sistemi giuridici diversi, di pari livello di civiltà giuridica, possano legittimamente adottare differenti modalità in materia di misure cautelare personali è anche confermato dalla giurisprudenza di questa Corte in ambito estradizionale, che non ha individuato nella differente disciplina processuale, pur direttamente incidente in senso peggiorativo sulla libertà dell’imputato, un motivo d’impedimento all’estradizione, se non quando essa implica una lesione di diritti fondamentali.

é il mancato rispetto di questi ultimi da parte dell’ordinamento giuridico del paese richiedente la causa ostativa all’estradizione, secondo il codice di procedura penale (art. 705.2 lett. a), in perfetta sintonia con la giurisprudenza della stessa Corte di Strasburgo, che ha individuato nella violazione dei diritti fondamentali previsti dalla C.e.d.u. un limite all’estradizione.

In sintesi, non è necessario che nello Stato richiedente vigano garanzie processuali corrispondenti a quelle dello Stato richiesto; ciò che conta, invece, è che quell’ordinamento assicuri le fondamentali esigenze di difesa dell’imputato ed il rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla C.e.d.u.

Tale criterio è seguito in Inghilterra, dove la legge di attuazione della decisione-quadro sul mandato di arresto europeo "prevede che il giudice debba verificare la compatibilità dell’estradizione, cioè del mandato d’arresto, con le disposizioni della Convenzione europea per le tutela dei diritti dell’uomo", e in Germania dove la richiesta di consegna "può essere respinta se ritenuta inammissibile di fronte ai principi" della predetta Convenzione (v. relazione di maggioranza alla Camera dei deputati sulla della legge n. 69/2005- seduta del 12 maggio 2004).

Questa Corte di legittimità deve prendere atto che il legislatore nazionale, con la legge nazionale attuativa del mandato d’arresto europeo, ha ritenuto di assumere la disciplina italiana della custodia cautelare come esclusivo parametro di riferimento, superando la problematicità del dibattito giurisprudenziale e dottrinario, molto vivo in Europa, nonché le conclusioni di autorevole dottrina comparativistica, secondo cui i sistemi di paesi europei che sono articolati sul meccanismo dei frequenti controlli periodici sembrano più idonei a soddisfare concretamente le esigenze di un’effettiva ragionevole durata della carcerazione preventiva.

L’art. 18 lett. e della L. 69/2005 espressamente e testualmente impone "il rifiuto dì consegna? se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva".

Tale previsione non è contenuta nelle decisione-quadro comunitaria, ma è diretta trasposizione dell’art. 13, ult. comma della Costituzione italiana, che realizza la presunzione di innocenza dell’imputato, principio fondamentale comune ai paesi dell’Unione europea e a quelli che hanno sottoscritto la C.e.d.u.

In ordine a tal espressa previsione ostativa non appare legittima un’interpretazione sistematica e razionalizzatrice sul modello di quella recentemente e doverosamente operata da questa Corte (Cass., sez. 6A, n. 34355 del 26/09/2005, Rv. 232053-4, già sopra citata), con riferimento alla condizione ostativa prevista dall’art. 18 lett. t (esigenza di motivazione del mandato d’arresto europeo).

Il vincolante principio di interpretazione conforme al diritto comunitario, posto a fondamento del risultato ermeneutico raggiunto in quella pronuncia, trova un limite invalicabile, più volte affermato proprio della Corte europea di giustizia di Lussemburgo, che pure quell’obbligo ha elaborato ed imposto ai giudici nazionali: "l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto dì una decisione-quadro nell’interpretazione delle norme pertinenti del suo diritto nazionale cessa quando quest ‘ultimo non può ricevere un ‘applicazione tale da sfociare in un risultato compatibile con quello perseguito da tale decisione quadro. In altri termini, il principio di interpretazione conforme non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale" (Corte di giustizia -grande sezione- in causa C-105/03, P. c/ Italia, del 16 giugno 2005).

Ciò impedisce non soltanto di adottare un’interpretazione diversa da quella fatta palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla chiarissima intenzione del legislatore nazionale (art. 12 pre-leggi), ma anche di formulare alla Corte di giustizia di Lussemburgo una domanda di pronuncia pregiudiziale "sulla validità o sull’interpretazione delle decisioni-quadro e [?] sulla validità e sulla interpretazione delle misure di applicazione delle stesse" (art. 34 T.U.E.).

Anche la Corte di giustizia, infatti, alla pari del giudice nazionale, trova l’indicato limite di compatibilità nell’adozione di un’interpretazione conforme del diritto nazionale al diritto comunitario.

Né strada percorribile appare l’avvio della verifica di costituzionalità della norma da parte della Corte costituzionale, in primo luogo perché essa riproduce una norma costituzionale (art. 13, ult. comma, Cost.) e, inoltre, perché il non breve tempo necessario alla verifica costituzionale sarebbe paradossalmente pagato con ulteriore compressione della libertà della ricorrente.

Allo stato della legislazione, questa Corte di legittimità deve affermare che sussiste una condiziona ostativa, espressamente voluta dalla legge nazionale, che vieta di dar corso al mandato di arresto europeo e di consegnare R. C. all’autorità del Regno del Belgio.

Rientra nell’esclusiva competenza del legislatore stabilire se quella condizione ostativa, vincolante ed insuperabile per la giurisdizione, non debba essere rimeditata, valutando se -nel processo di progressiva formazione dell’Unione europea e nel rispetto dell’equilibrato bilanciamento dei principi stabiliti dagli artt. 10,11,13,26 e 27 della Costituzione italiana- non possano ritenersi equipollenti alla previsione legislativa italiana di limiti massimi di carcerazione preventiva i meccanismi di controllo periodico sopra indicati, che in altri ordinamenti europei assicurano concretamente la ragionevole durata della detenzione preventiva, anche al fine di evitare, sul piano giuridico, l’insorgenza di difficoltà nei rapporti tra l’Italia e gli altri membri dell’Unione il cui ordinamento non prevede limiti massimi di custodia cautelare e, sul piano fattuale, l’individuazione dell’Italia come privilegiato rifugio degli imputati al fine di sottrarsi più agevolmente alle ricerche delle autorità giudiziarie dei predetti paesi.

10. In conclusione, non si può che procedere all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ed alla immediata scarcerazione della C., se non detenuta per altra causa, risultando illegittima l’ulteriore protrazione della sua detenzione.

P.Q.M.

La Corte, visto l’art. 18 lett. e della L. 29 aprile 2005, n. 69, annulla senza

rinvio la sentenza impugnata. Ordina l’immediata scarcerazione di C. R. se non detenuta per altra causa.

Manda alla cancelleria per gli adempimento di cui all’art. 626 c.p.p.. Dispone che copia del presente dispositivo sia immediatamente trasmesso al Ministro della giustizia, anche a mazzo telefax. Riserva il deposito della motivazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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