Cass. civ. Sez. VI, Sent., 03-04-2012, n. 5305 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che D.O., con ricorso del 3 gennaio 2011, ha impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura – il decreto in data 6 aprile 2010, con il quale la Corte d’appello di Bologna, pronunciando sul ricorso del medesimo volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, ha rigettato la domanda;

che il Ministro dell’economia e delle finanze ha resistito con controricorso;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 9.900 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 17 aprile 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) il D., medico ospedaliero, aveva proposto – con ricorso collettivo del 22 maggio 1996 – la domanda di riconoscimento del diritto al computo dell’indennità di tempo pieno in misura integrale dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna;

b) il Tribunale aveva definito il giudizio soltanto con sentenza del 27 marzo 2009;

che la Corte d’appello di Bologna, con il suddetto decreto impugnato, ha respinto la domanda, osservando che: a) la normativa di legge escludeva la corresponsione dell’intero importo dell’indennità di tempo pieno in favore del personale esercente l’attività libero- professionale all’esterno delle strutture sanitarie pubbliche; b) tale tesi era stata anche dalla Corte costituzionale, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale della L. n. 724 del 1994, art. 4, comma 3; c) "(…) dopo tale pronuncia della Corte costituzionale, i ricorrenti avanti al TAR non potevano nutrire alcuna legittima aspettativa di accoglimento del proprio ricorso nè (…) continuare a vivere nell’incertezza dell’esito dello stesso (…) nella specie non è in gioco l’astratto principio richiamato a funzionale sostegno della stessa L. n. 89 del 2001, "bensì la sussistenza in concreto del danno a processo che la medesima ha inteso tutelare e la cui accertata inesistenza comporta l’inapplicabilità dell’invocata tutela risarcitoria (…)".

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;

che, con i motivi di censura, viene denunciata come illegittima, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, l’affermata piena consapevolezza della manifesta infondatezza della pretesa fatta valere dinanzi al giudice amministrativo, nonchè 1’apoditticità della motivazione;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte – come nella specie – sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6^-1, 6 dicembre 2011, n. 26283);

che, nella specie, i giudici a quibus hanno sostanzialmente – ed erroneamente – fondato la ratio decidendi sull’esito del giudizio presupposto, senza accertare la sussistenza dei presupposti della fattispecie di abuso del processo sulla base delle prove eventualmente dedotte dal Ministro resistente;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto de quo ha avuto una durata complessiva di tredici anni circa (dal 22 maggio 1996, data del ricorso introduttivo del processo presupposto, al 27 marzo 2009, data del deposito della sentenza), di cui soltanto tre rientranti nel periodo di ragionevole durata;

che questa Corte, sussistendo il diritto alla riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, considera equa, sulla base dei criteri applicati in casi analoghi, la liquidazione del danno non patrimoniale in Euro 6.250 per i nove anni e dieci mesi circa di irragionevole durata, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che le spese del giudizio – sia di legittimità che di merito – seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna, il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 6.250, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140, di cui Euro 50 per esborsi, Euro 490 per diritti ed Euro 600 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 965, di cui Euro 100 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

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