Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-10-2011) 19-10-2011, n. 37926

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

G.R., ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 9 dicembre 2010 della Corte di appello di Genova (la quale, in accoglimento dell’appello del Procuratore generale, ha dichiarato la responsabilità del ricorrente per il reato di calunnia, così riformando la sentenza di assoluzione 16 giugno 2008 del Tribunale di Chiavari), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1) il capo di imputazione G.R. è accusato del reato di cui all’art. 368 c.p. perchè, denunciando falsamente come smarrito l’assegno n. (OMISSIS) della Banca Carige agenzia di (OMISSIS) dell’importo di Euro 1.750,00, pur sapendo di aver corrisposto lo stesso in pagamento di merce a G.D., assegno che la nipote di quest’ultimo, O.M., stava per porre legittimamente all’incasso, incolpava pur sapendola innocente, la O.M. del reato di ricettazione.

In (OMISSIS).

2.) le difformi decisioni di merito a seguito dell’accoglimento dell’appello del Procuratore generale.

La Corte distrettuale ha accolto l’appello del Procuratore generale, negando fondatezza alla tesi del primo giudice, (secondo cui non poteva escludersi che il G. avesse falsamente denunciato lo smarrimento dell’assegno di cui si discute, non per fare convergere "su una persona identificabile" l’accusa di furto o di ricettazione, ma soltanto per evitare che il titolo di credito, a suo tempo consegnato al Gi.Du. (poi deceduto), venisse incassato da persona non legittimata.

Tale assunto, per l’appellante parte pubblica, risulterebbe smentito dalle risultanze processuali in quanto l’imputato ha "candidamente" ammesso di sapere che l’assegno non era affatto andato smarrito, ma era rimasto nelle mani della nipote del Gi., O. M., erede del Gi., che lo aveva sostituito nell’attività commerciale, e, come tale "legittimata ad incassarlo, in quanto il G. non le aveva restituito (pur essendone stato richiesto) i mobili ricevuti dallo zio deceduto.

Per il Procuratore generale, e la Corte distrettuale che ha puntualmente aderito a tutte le sue argomentazioni, dunque:

a) non essendo stata smentita la versione dei fatti resa dalla O. M., non sarebbe per nulla giustificato il dubbio manifestato dal giudicante in merito alle intenzioni che il G. avrebbe avuto nel momento della denuncia di smarrimento dell’assegno;

b) la denuncia presentata era pertanto falsa, in quanto l’odierno imputato ben sapeva che l’assegno, lungi dall’essere andato smarrito, era rimasto a mani della O. "persona legittimata a detenerlo e ad azionarlo";

c) la finalità della denuncia era in tale quadro quella di bloccare la circolazione del titolo "per impedire alla donna di realizzare le sue legittime aspettative commerciali", e di "trattenere i mobili inglesi ricevuti dal G. senza pagarli";

d) privo di rilevanza sull’elemento soggettivo del reato sarebbe il consiglio (di bloccare il titolo denunciando il suo smarrimento) ricevuto dal funzionario della Carige (non essendo questi stato messo al corrente del fatto che l’assegno non era in realtà stato smarrito);

e) del pari irrilevante sarebbe ancora il fatto che l’assegno fu portato all’incasso non dalla O., ma da tale F.R., dato che "la destinataria dell’accusa era implicitamente ma agevolmente individuabile nella nipote del Gi.".

L’appello è stato accolto dalla Corte distrettuale, la quale ha tra l’altro preso atto che la parte civile, la signora O.M., ritualmente costituitasi parte civile nel presente procedimento, in sede di atti preliminari al dibattimento di primo grado ha revocato la propria costituzione in quanto il G. – come riferito dal suo difensore – aveva infatti tempestivamente provveduto a risarcire la signora O. del danno civile riportato.

2.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte di legittimità.

Con un unico motivo di impugnazione si prospetta vizio di motivazione per illogicità risultante dagli atti del processo in ordine al profilo psicologico del ritenuto delitto di calunnia.

In particolare l’impugnazione rileva criticamente:

a) che la Corte d’Appello abbia illogicamente ritenuto che "per quanto la signora O. non abbia riferito esattamente il contenuto della conversazione (da lei definita "breve ") intercorsa con il G., può darsi per acquisito che si fosse a lui presentata come la persona legittimata all’incasso dell’assegno;

b) che tale conclusione – ad avviso del difensore – sarebbe completamente smentita dagli atti di causa, giacchè la stessa O. ha riferito, all’udienza del 31 marzo 2008, che l’assegno in questione il nonno "lo aveva ricevuto dal G. non so a quale titolo" , dichiarando che "la mattina in cui mi sono recata dal G., lui era molto impegnato e non mi ha pagato l’assegno", precisando inoltre "quando sono andata dal G. non gli ho mostrato il documento di identità. La conversazione è stata breve";

c) che comunque in tale contesto, in cui la persona offesa ha dichiarato di non conoscere il titolo, in conseguenza del quale l’assegno era stato consegnato all’ascendente deceduto pochi giorni prima, e si è presentata una sola volta presso il negozio del G., mentre il predetto era "molto impegnato" non si comprenderebbe come la Corte d’Appello abbia potuto considerare "per acquisito il fatto che essa si fosse a lui presentata come la persona legittimata all’incasso dell’assegno";

d) che va pertanto censurata la valenza ingiustamente attribuita alla deposizione testimoniale della O., che presenterebbe un contenuto diametralmente opposto a quello percepito dal giudicante e dallo stesso riservato nella motivazione della sentenza impugnata;

e) che la parte motiva in cui viene data per acquisita la conoscenza del G. della legittimazione della O. ad incassare l’assegno sarebbe anche illogica e contraddittoria rispetto a quando affermato nel proseguo del provvedimento stesso, in cui si legge: "a prescindere dal fatto che essa fosse erede o meno, non v’è dubbio che la O. fosse titolata a mettere all’incasso il titolo, come del resto riconosciuto dalla stessa difesa";

f) che infatti, anche a voler prescindere dalla circostanza che non risulterebbe affatto che la difesa dell’imputato abbia mai riconosciuto la titolarità della O. ad incassare l’assegno, nessun dubbio vi può essere sulla circostanza che la predetta, l’unica volta in cui essa si presentò dall’odierno ricorrente, non potesse assolutamente rivestire la qualità di erede, potendosi al massimo considerare una persona "chiamata all’eredità", attesa la presenza di figli viventi del de cujus;

g) che infine è stata omessa ogni considerazione sulla circostanza di fatto che la O., pur lavorando quale dipendente di banca, non abbia deciso di provvedere ad incassare direttamente l’assegno girato dal nonno, ma ha a sua volta consegnato il titolo ad una propria conoscente, signora F.R., affinchè lo riscuotesse;

h) che nessun approfondimento sia stato fatto dalla Corte di Appello di Genova su tale significativa circostanza, aprioristicamente ed immotivatamente considerata irrilevante, nè sulla data e soprattutto sull’autenticità della girata asseritamente effettuata dal beneficiario del titolo, aspetti invece valorizzati dal primo giudice.

In definitiva l’impugnazione censura la sentenza nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato di calunnia sotto il duplice profilo "sia del requisito della certezza da parte dell’imputato dell’innocenza dei soggetti implicitamente accusati, sia dell’intenzionalità dell’incolpazione, che si è espressa con la formalizzazione della denuncia di smarrimento dell’assegno, effettuata peraltro su consiglio del funzionario della sede della Banca Carige di (OMISSIS), sig. B. F., con un finale giudizio di colpevolezza che ha ignorato quanto dichiarato in sede di esame dibattimentale dall’odierno ricorrente.

Il ricorso non può essere accolto per più profili, che riguardano sia l’ammissibilità (non a caso il Procuratore generale ha insistito per tale esito di pronuncia), sia la fondatezza delle doglianze.

Il motivo, ben strutturato nelle sue articolazioni, è suggestivo ma non accoglibile.

In sede di giudizio di legittimità, la regola secondo cui nel caso di decisione difforme da quella del giudice di primo grado s’impone un’adeguata confutazione delle ragioni poste a base della decisione riformata, non comporta che, ove sussista diversità di valutazioni tra i giudici di merito, oggetto dell’esame in sede di legittimità siano entrambe le decisioni, dovendo la verifica investire soltanto la sentenza del giudice d’appello, la cui opinione si sostituisce a quella del primo giudice.

Ne consegue che nel giudizio di legittimità, anche a seguito della riforma introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non potendo l’esame estendersi oltre i limiti istituzionali, la valutazione degli elementi probatori rimane sempre affidata esclusivamente all’apprezzamento del giudice d’appello e non è quindi prospettabile, da parte del ricorrente per Cassazione, una ricostruzione dei fatti in sintonia con la riformata decisione del giudice di primo grado, mediante la deduzione di un difetto motivazionale "da confronto" tra le due sentenze di merito (Cass. Pen. Sez. 6, 27061/2008 Rv. 240583).

Nella specie la decisione d’appello ha proposto una ragionevole ricostruzione degli eventi la quale ha esaminato i profili fattuali, ricostruendo l’elemento psicologico del delitto, sulla scorta di una serie di argomentazioni, cui il ricorso oppone una diversa alternativa ed una più favorevole lettura ed interpretazione degli eventi, intese ad avvalorare la buona coscienza dell’accusato ed il difetto della intenzionalità propria del contestato delitto di calunnia.

In tale opera ricostruttiva la difesa ha fatto forza su alcune pretese incongruenze della motivazione di condanna, le quali peraltro non neutralizzano il quadro probatorio complessivo della colpevolezza del G., che ben sapeva che l’assegno non era stato affatto smarrito e chi lo deteneva aveva formalmente titolo per esigerne il relativo importo.

Tutte le diverse considerazioni sulla condotta e la qualità o meno di "erede" della O., oppure sul comportamento dell’imputato, in quanto "suggerito" dal funzionario di banca, non valgono a sminuire il rigore probatorio degli argomenti di colpevolezza fatti propri dalla Corte distrettuale e tutti fondati sul dato – incontestabile e noto all’accusato – che l’assegno in questione non era stato smarrito, ma era invece "entrato" in un normale circuito e catena di negoziazione.

Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *