Cons. Stato Sez. V, Sent., 18-11-2011, n. 6072 Termini processuali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in appello in esame la società S. S. s.c.a.r.l. ha chiesto la riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale era stato respinto il ricorso dalla stessa proposto per l’annullamento del provvedimento di annullamento della aggiudicazione in suo favore della gara de qua e degli atti connessi, nonché per il risarcimento del danno (con conseguente declaratoria di improcedibilità del ricorso incidentale).

A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- Erroneità, contraddittorietà e carenza di motivazione della sentenza impugnata.

Il T.A.R. ha ritenuto infondate le censure di nullità della sentenza civile di accertamento di un debito contributivo, iscritta nel DURC, per mancata annotazione sul registro generale o per non essere stata oggetto di comunicazione da parte della cancelleria, mentre l’eccezione di nullità della stessa era riferita alla mancata lettura in udienza della sentenza.

Comunque la eccezione relativa alla mancata pubblicazione della sentenza stessa non è stata correttamente considerata, essendo riferita non alla nullità della sentenza, ma suo mancato passaggio in giudicato.

Il Giudice di prime cure – secondo gli assunti dedotti dall’appellante – non ha neppure affrontato correttamente la censura di violazione dell’art. 38, comma 1, lettera i), del d. lgs. n. 163/2006, per insussistenza del presupposto della definitività dell’accertamento giurisdizionale.

La impugnata sentenza è priva di motivazione su tutti i motivi di ricorso ulteriori al primo, e sulle formulate eccezioni di violazione di precetti costituzionali e principi amministrativi.

Il DURC è stato comunque emesso in violazione di leggi e di regolamento.

In ogni caso la stazione appaltante non ha congruamente motivato il provvedimento di revoca.

Tutte dette censure non possono ritenersi assorbite dall’unica censura affrontata in prime cure, essendo afferenti a profili completamente autonomi e differenti di impugnazione, neppure dichiarati assorbiti.

La sentenza è comunque carente di motivazione riguardo a dette censure, che comunque dimostrano che non è vero che "il debito contributivo assume circostanza di fatto non aggirabile".

2.- Violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 38, comma 1, lettera i), del d. lgs. n. 163/2006 per carenza assoluta del presupposto della definitività dell’accertamento, della commissione di violazioni, nonché per violazione della ratio; difetto assoluto di istruttoria, illogicità, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, eccesso di potere, violazione del principio di imparzialità e buon andamento della P.A. ex art. 97 della Costituzione e violazione del giusto procedimento.

L’appello va accolto perché l’art. 38, comma 1, lettera i), del d. lgs. n. 163/2006 prevede la esclusione dalla partecipazione alle gare di appalto per la commissione di violazioni gravi, mai commesse e per mancanza del requisito della affidabilità morale, che non è ravvisabile nella mera irregolarità del DURC.

3.- Violazione e falsa applicazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 5 e 7, comma 3, nonché all’art. 8, comma 2, lettera b), del D.M. 24 ottobre 2007 relativo al DURC, per difetto assoluto di istruttoria e violazione del giusto procedimento, carenza assoluta del presupposto della definitività dell’accertamento. Difetto assoluto di istruttoria, illogicità, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, eccesso di potere, violazione del principio di imparzialità e buon andamento della P.A. ex art. 97 della Costituzione. Violazione del principio ex art. 117 della Costituzione. Violazione del giusto procedimento.

Con la censura è stata dedotta la illegittimità del provvedimento di revoca anche perché la stazione appaltante, prima della emissione dl provvedimento, avrebbe dovuto autonomamente valutare la validità del DURC.

Con atto depositato il 17.8.2010 si è costituito in giudizio l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.

Alla pubblica udienza del 7.6.2011 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

Motivi della decisione

1.- Con il ricorso in appello in esame la S. S. s.c.a r.l. ha chiesto l’annullamento della sentenza del T.A.R. in epigrafe specificata, di reiezione (con conseguente declaratoria di improcedibilità del ricorso incidentale) del ricorso proposto da essa società per l’annullamento del provvedimento di revoca della aggiudicazione in suo favore della gara de qua e degli atti connessi, nonché per il risarcimento del danno.

La stazione appaltante aveva revocato l’aggiudicazione a causa della acquisizione di un DURC negativo per la mancata sanatoria di un debito contributivo come da sentenza del Tribunale di Salerno n. 1906/2006, di reiezione della opposizione a decreto ingiuntivo dell’I.N.P.S. n. 1260/1999.

2.- Con il primo motivo di appello è stato sostenuto che la sentenza impugnata sarebbe affetta da erroneità, contraddittorietà e carenza di motivazione.

2.1.- Ciò in primo luogo perché il T.A.R. avrebbe ritenuto infondate le censure di nullità della sentenza iscritta nel DURC per mancata annotazione sul registro generale o per non essere stata oggetto di comunicazione da parte della cancelleria, mentre l’eccezione di nullità della stessa era in realtà riferita alla mancata lettura in udienza della sentenza.

Comunque la eccezione relativa alla mancata pubblicazione della sentenza stessa (che è cosa diversa dal deposito, che non ha rilievo nei confronti delle parti in assenza della pubblicazione e sua annotazione nei registri di cancelleria) non sarebbe stata correttamente considerata, essendo riferita non alla nullità della sentenza, ma suo mancato passaggio in giudicato e mancata scadenza del termine per proporre impugnazione, stante anche la mancata notifica della decisione stessa.

2.1.1.- Il T.A.R. ha ritenuto al riguardo che, in virtù del giudicato raggiunto dalla menzionata sentenza, il debito contributivo assumeva circostanza di fatto non aggirabile e che, sotto questo aspetto, apparivano prive di fondamento le censure di nullità della sentenza per non essere stata annotata sul registro generale ovvero per non essere stata oggetto di comunicazione da parte della cancelleria.

La Sezione osserva innanzi tutto che la circostanza della mancata lettura in udienza della sentenza non risulta adeguatamente provata.

Peraltro nel rito del lavoro deve attribuirsi fede privilegiata, fino a querela di falso, al verbale di udienza redatto dal cancelliere, anche con riferimento alla parte contenente l’indicazione dell’avvenuta lettura del dispositivo in udienza.

A tanto consegue che la dedotta omissione della lettura in udienza del dispositivo della sentenza (requisito previsto a pena di nullità della sentenza stessa) non può essere provata neppure per testimoni, e che rimane irrilevante, ove sia mancata la proposizione della querela di falso, che la parte deduca, nei propri scritti difensivi, che la lettura del dispositivo in udienza in realtà non sia mai avvenuta (Cassazione civile, sez. III, 08 settembre 2006, n. 19299).

In secondo luogo il Collegio, premesso che, sulla base di quanto disposto dall’art. 156 c.p.c., le formalità di pubblicazione della sentenza, indicate nel comma 1 dell’art. 133 dello stesso codice, non sono previste dalla legge a pena di nullità (Cassazione civile, sez. III, 29 marzo 2006, n. 7243), rileva che la pubblicazione della sentenza da effettuarsi a norma di detto art. 133 mediante il deposito nella cancelleria del Giudice che l’ha pronunziata (deposito consistente nella consegna ufficiale al Cancelliere dell’originale della decisione sottoscritto dal giudice, in modo da attribuire alla decisione medesima il carattere di atto pubblico irretrattabile e immodificabile) costituisce elemento essenziale per l’esistenza giuridica della sentenza.

Al contrario, la certificazione che del compimento di tale formalità deve essere eseguita dal cancelliere a norma del secondo comma della stessa disposizione, è estrinseca all’atto e non incide sull’esistenza, sulla regolarità e sulla eseguibilità di esso. Pertanto la sua mancanza non ne determina nullità, neanche sotto ai fini della determinazione del dies a quo del termine di impugnazione, atteso che l’identificazione di questo, ove non risulti dalla successiva comunicazione, è possibile usando l’ordinaria diligenza con la consultazione dell’originale della sentenza, ovvero della annotazione della stessa sul registro del ruolo dell’udienza (Cassazione civile, sez. III, 09 maggio 1996, n. 4357).

Ai fini della decorrenza del termine annuale per l’impugnazione, occorre infatti avere riguardo al momento in cui, ai sensi dell’art. 133, comma 2, c.p.c., la sentenza è resa pubblica mediante il deposito risultante dall’annotazione apposta dal cancelliere in calce alla sentenza, la quale costituisce atto pubblico la cui efficacia probatoria, ai sensi dell’art. 2700 c.c., può essere posta nel nulla solo con la proposizione della querela di falso (Cassazione civile, sez. I, 23 luglio 2009, n. 17290).

Pertanto il termine di impugnazione delle sentenze, previsto dall’art. 327 c.p.c., decorre dalla pubblicazione della sentenza, e quindi dal deposito di essa in cancelleria, e non già dalla comunicazione che di tale deposito dà alle parti il cancelliere, ai sensi dell’art. 133, comma 2, c.p.c., rimanendo tale ultima attività estranea al procedimento di pubblicazione.

Una diversa disciplina del termine in argomento sconvolgerebbe il sistema delle impugnazioni, nel quale la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicché lo spostamento del "dies a quo" dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata "ex officio" a norma dell’art. 133 c.p.c..

Deve quindi escludersi che, a causa della assunta mancata annotazione sul registro generale e della comunicazione da parte della cancelleria la sentenza de qua non fosse passata in giudicato e che fosse ancora pendente il termine per la sua impugnazione.

Le esaminate censure sono quindi non condivisibili.

2.2.- Prosegue il motivo in esame con la deduzione che il Giudice di prime cure non ha neppure affrontato correttamente la censura di violazione dell’art. 38, comma 1, lettera i), del d. lgs. n. 163/2006, perché il presupposto della definitività dell’accertamento giurisdizionale, in assenza di passaggio in giudicato della sentenza (non letta in udienza, quindi nulla -come a suo tempo dedotto in pendenza del procedimento amministrativo, né pubblicata), non sussisteva.

Inoltre la impugnata sentenza sarebbe priva di motivazione su tutti i motivi di ricorso ulteriori al primo, e sulle formulate eccezioni di violazione di precetti costituzionali e principi amministrativi, in particolare con riguardo alla censura di derivazione della sentenza non da violazione contributiva ma da "infondato" accertamento d’ufficio dell’I.N.P.S., con conseguente carenza del requisito della responsabilità personale colpevole della appellante; ciò anche perché essa, fino all’emissione del DURC negativo, non aveva conoscenza della sentenza de qua e non aveva quindi presentato dichiarazioni false in sede di gara.

Il DURC sarebbe stato comunque redatto in violazione di leggi e di regolamento perché l’I.N.P.S., prima di emetterlo, non aveva informato la appellante della negatività, concedendo 15 giorni di tempo per la regolarizzazione, come previsto dal D.M. 24.10.2007. Peraltro, ai sensi del medesimo D.M., la sentenza non avrebbe potuto essere iscritta nel DURC perché non definitiva e non derivante da responsabilità personale colpevole.

In ogni caso la stazione appaltante non avrebbe congruamente motivato il provvedimento di revoca.

Tutte dette censure non potrebbero ritenersi assorbite dall’unica censura affrontata in prime cure, essendo afferenti a profili completamente autonomi e differenti di impugnazione, neppure dichiarati assorbiti.

La sentenza sarebbe comunque carente di motivazione riguardo a dette censure, che comunque dimostrerebbero che non è vero che "il debito contributivo assume circostanza di fatto non aggirabile", atteso che esso non può considerarsi certo, essendo riconosciuto in una sentenza nulla e comunque non passata in giudicato.

2.2.1.- Osserva la Sezione con riguardo alle censure sopra riportate che la maggior parte di esse è basata sul presupposto che la sentenza de qua fosse nulla o che non fosse passata in giudicato.

E’ stato tuttavia in precedenza evidenziato che tale presupposto è insussistente, sicché, in virtù del giudicato raggiunto dalla sentenza del Tribunale di Salerno n. 1906/2006, di reiezione della opposizione al decreto ingiuntivo relativo al debito contributivo di cui trattasi (che risulta allo stato non essere stata privata della sua esecutività ed efficacia anche a seguito della dedotta proposizione di azione di nullità della sentenza stessa), deve convenirsi con il Giudice di prime cure che esso debito contributivo assume circostanza di fatto non aggirabile.

Conseguentemente tutte le censure relative alla infondatezza dell’accertamento d’ufficio dell’I.N.P.S. e alla conseguente carenza del requisito della responsabilità personale colpevole della appellante devono ritenersi assorbite.

Quanto alla circostanza che la società, fino all’emissione del DURC negativo, non aveva conoscenza della sentenza de qua e non avrebbe quindi presentato dichiarazioni false in sede di gara, rileva il Collegio che il DURC assume la valenza di una dichiarazione di scienza, da collocarsi fra gli atti di certificazione o di attestazione redatti da un pubblico ufficiale ed aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso della Pubblica Amministrazione, assistito da pubblica fede, ai sensi dell’articolo 2700 c.c., e facente pertanto prova fino a querela di falso, sicché non permaneva in capo alla stazione appaltante alcun margine di valutazione o di apprezzamento in ordine ai dati e alle circostanze in esso contenute inerenti al settore previdenziale.

A tanto consegue la irrilevanza della falsità o meno delle dichiarazioni al riguardo rese dalla società in sede di gara, essendo la stazione appaltante, in presenza di DURC negativo, comunque tenuta a procedere alla assunzione delle determinazioni a tanto conseguenti.

Quanto alla circostanza che il DURC sarebbe stato comunque emesso in violazione di leggi e di regolamento (perché l’I.N.P.S., prima di emetterlo, non aveva informato la appellante della negatività, concedendo 15 giorni di tempo per la regolarizzazione, come previsto dal D.M. 24.10.2007) ribadisce la Sezione che il principio dell’autonomia del procedimento di rilascio del documento unico regolarità contributiva impone alla stazione appaltante sia di basarsi sulle certificazioni risultanti da quest’ultimo documento, prendendole come un dato di fatto inoppugnabile, e sia di valutare se sussistono procedimenti diretti a contestare gli accertamenti degli enti previdenziali riportati nel DURC, nonché se la violazione riportata nel DURC, in relazione all’appalto o fornitura in questione o alla consistenza economica della ditta concorrente o ad altre circostanze, risulti o no grave.

Nel particolare caso che occupa la definitività della sentenza iscritta nel DURC esclude che la stazione appaltante potesse valutare la sussistenza di procedure di contestazione dell’accertamento contributivo presupposto, mentre, di converso, ne comprova la gravità.

Tanto esclude anche che la stazione appaltante dovesse ulteriormente motivare riguardo alla adozione del provvedimento di revoca.

3.- Con il secondo motivo di appello è stato dedotto che esso dovrebbe essere accolto, oltre che per le considerazioni esposte con il primo motivo di appello circa la non definitività della sentenza di cui trattasi, perché l’art. 38, comma 1, lettera i), del d. lgs. n. 163/2006 prevede la esclusione dalla partecipazione alle gare di appalto per la commissione di violazioni gravi (e la appellante non ne ha mai commesse, essendo la pretesa violazione iscritta nel DURC riferita ad un accertamento con cui erano state contestate presunte evasioni contributive sulla base della erronea imputazione ad alcuni soci della qualifica di dipendenti) e per mancanza del requisito della affidabilità morale (che non è ravvisabile nella mera irregolarità del DURC, peraltro sindacabile, ma nella falsità della dichiarazione resa in sede di gara, nel caso di specie insussistente).

3.1.- La Sezione non può condividere dette censure per le medesime argomentazioni in precedenza espresse circa la impossibilità di contestazione della sussistenza e della gravità della violazione nel caso di specie accertata, stante la, allo stato, definitività della sentenza in cui è attestata.

Quanto alla affidabilità morale deve ulteriormente ribadirsi che il DURC non lascia alla stazione appaltante alcun margine di valutazione o di apprezzamento in ordine ai dati e alle circostanze in esso contenute, sicché, stante la definitività delle irregolarità obiettivamente gravi, ivi riportate, ed il conseguente obbligo di esclusione della società che le ha poste in essere, è da considerarsi irrilevante ogni ulteriore questione circa la affidabilità morale della società.

4.- Con il terzo motivo di appello (ribadito che la appellante non era stata informata della negatività del D.U.R.C., e che non le erano stati concessi 15 giorni di tempo per la regolarizzazione, come previsto dal D.M. 24.10.2007) è stata dedotta la illegittimità del provvedimento di revoca anche perché la stazione appaltante, prima della emissione dl provvedimento, avrebbe dovuto autonomamente valutare la validità del DURC.

4.1.- La Sezione non può apprezzare in senso positivo la censura per le argomentazioni prima svolte circa la impossibilità di contestare quanto attestato nel DURC di cui trattasi, essendo in esso riportata una sentenza di accertamento di irregolarità contributive passata in giudicato, con impossibilità di discostarsi da quanto ivi statuito.

5.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

6.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, respinge l’appello in esame.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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