Cass. civ. Sez. VI, Sent., 03-04-2012, n. 5297 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che G.V., con ricorso del 19 aprile 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo quattro motivi di censura – il decreto in data 24 febbraio 2010, con il quale la Corte d’appello di Napoli, pronunciando sul ricorso del G. volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, ha rigettato la domanda;

che il Ministro dell’economia e delle finanze non ha resistito con controricorso;

che, in particolare, il danno non patrimoniale era stato richiesto per l’irragionevole durata di un giudizio di pubblico impiego iniziato con ricorso depositato il 10 ottobre 2000 e definito con sentenza del TAR Campania in data 14 novembre 2007;

che la Corte d’appello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato, ha respinto il ricorso, osservando che nel processo presupposto la domanda era stata dichiarata inammissibile – in conformità della giurisprudenza anche della Corte costituzionale – per essere stato il relativo ricorso depositato oltre il termine di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;

che, con i motivi di censura, illustrati con memoria, viene denunciata come illegittima, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, l’affermata piena consapevolezza della inammissibilità della pretesa fatta valere dinanzi al giudice amministrativo, nonchè l’apoditticità della motivazione;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte – come nella specie – sia stata dichiarata inammissibile (cfr., ex plurimi s, Cass., Sez. 1, 6 dicembre 2011, n. 26283);

che, nella specie, i giudici a quibus hanno sostanzialmente – ed erroneamente – fondato la ratio decidendi sull’esito del giudizio presupposto, senza accertare la sussistenza dei presupposti della fattispecie di abuso del processo sulla base delle prove eventualmente dedotte dal Ministro resistente;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto de quo ha avuto una durata complessiva di sette anni, superiore alla durata media ragionevole di tre anni, secondo gli standard della Corte Europea dei diritti dell’uomo;

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, considera equa la liquidazione di Euro 3.250 per i quattro anni di irragionevole durata, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che le spese del giudizio – sia di legittimità che di merito – seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo, con distrazione in favore dell’Avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosene antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 3.250, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 873, di cui Euro 50 per esborsi, Euro 445 per diritti ed Euro 378 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 665, di cui Euro 100 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, spese distratte, per entrambi i gradi, in favore dell’Avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosene antistatario.

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