T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 18-11-2011, n. 5422 Piano per gli insediamenti produttivi Piano regolatore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società E. Costruzioni, premesso di essere proprietaria dell’area dell’estensione di mq. 20.433, sita in Casalnuovo di Napoli, al Viale dei Platani (censita in Catasto al foglio 15, particelle 481484), ha esposto di aver già impugnato, con un primo ricorso al T.A.R. Campania (R.G. n.7238/2004), il provvedimento del Comune suddetto, prot. n. 32344 del 10.7.2003, recante il diniego della concessione edilizia, richiesta in data 4.2.2003, prot. n. 5727, relativa alla realizzazione in detta area di un complesso edilizio da destinare alla produzione e lavorazione di prodotti lapidei con annessi uffici e locali commerciali. Con la sentenza n.8547/2004, questa Sezione ha accolto il gravame, ritenendo fondata, oltre che assorbente, la censura con cui si lamentava l’omessa acquisizione del parere della Commissione edilizia, previsto dal regolamento edilizio comunale.

Con l’odierno ricorso, la stessa società ha chiesto l’annullamento del nuovo provvedimento (prot. n. 7079 del 12.2.2010) di diniego della citata istanza edificatoria emesso dallo stesso ente, deducendo i seguenti motivi:

1) sospensione ex art.295 c.p.c. – potenziale contrasto tra giudicati – giacché la sentenza del T.A.R. Campania n.8547/2004 è stata appellata dal Comune di Casalnuovo;

2) violazione e falsa applicazione dell’art.2 L. n.1187/1968, dell’art. 9 D.P.R. n.327/2001, dell’art.1 Convenzione europea dei diritti dell’uomo, degli artt.41, 42 e 97 Cost. nonché delle norme sul giusto procedimento – responsabilità dell’ente – risarcimento del danno – stante la decadenza del vincolo insistente sull’area per il decorso del termine quinquennale di efficacia;

3) violazione e falsa applicazione dell’art.12 del D.P.R. n.380 del 2001 e dell’art.3 della L. n.241/1990 – eccesso di potere per travisamento e difetto di istruttoria – in quanto la zona sarebbe sufficientemente urbanizzata;

4) violazione e falsa applicazione dell’art.4 della L.R. Campania n.17 del 1982, dell’art.9, comma 3, della L.R. Campania n.15 del 2005, dello strumento urbanistico vigente e dell’art.3 della L. n.241 del 1990 – eccesso di potere per difetto di istruttoria – ove si sostiene l’applicabilità dell’indice di copertura di 1/8 (e non di 1/20, come preteso dall’amministrazione), non potendosi prendere in considerazione le modifiche normative intervenute successivamente alla presentazione dell’istanza; inoltre non sarebbe applicabile anche l’ulteriore indice di densità fondiaria (0,03 mc./mq.) richiamato dall’autorità emanante;

5) violazione e falsa applicazione dell’art.20, commi 4 e 5, del D.P.R. n.380 del 2001 – eccesso di potere per arbitrarietà e difetto di istruttoria – violazione degli artt.41, 42 e 97 Cost. – poiché il funzionario comunale preposto all’esame della pratica, prima di opporre il rigetto, non avrebbe preventivamente richiesto all’instante di apportare eventuali modifiche al progetto;

6) violazione e falsa applicazione dell’art.7 e ss. della L. n.241/1990 e delle relative garanzie partecipative – in quanto le osservazioni presentate dalla ricorrente non sarebbero state valutate;

7) violazione e falsa applicazione dell’art.2 della L. n.241/1990 e dei principi generali sul procedimento amministrativo – violazione e falsa applicazione dell’art.20 del D.P.R. n.380 del 2001 e dell’art.97 Cost. – responsabilità dell’ente e dei suoi funzionari anche ex art.2bis della L. n.241/1990 – per la violazione del termine di 90 giorni per emettere il provvedimento conclusivo.

Si è costituito nel giudizio il Comune di Casalnuovo, che ha difeso la legittimità dell’azione amministrativa in contestazione e concluso con richiesta di rigetto del ricorso.

Con ordinanza collegiale n.1288/2011, la Sezione ha disposto l’acquisizione di copia della seguente documentazione a cura dell’amministrazione resistente:

– istanza di permesso di costruire, prot. n.5727 del 4.2.2003, comprensiva degli allegati, proposta dalla società ricorrente;

– controdeduzioni presentate dalla stessa il 23.11.2009, a seguito della comunicazione di avvio del procedimento;

– previsioni urbanistiche vigenti riferite alle zone omogenee ove ricadono i suoli di proprietà dell’instante (in particolare, D2 – alberghiera, direzionale e commerciale e verde di rispetto stradale).

L’ente ha ottemperato all’incombente istruttorio depositando quanto richiesto in data 24 marzo 2011.

Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. In via pregiudiziale, deve essere respinta l’istanza di sospensione del processo ex art.295 c.p.c. atteso che, nelle more del giudizio, è intervenuta la sentenza della Sezione Quarta del Consiglio di Stato n.5225 del 16 settembre 2011, che ha respinto l’appello proposto dal Comune di Casalnuovo di Napoli avverso la sentenza di questa Seconda Sezione del T.A.R. Campania n.8547/2004. Giova rammentare che con quest’ultima decisione era stato accolto un precedente ricorso della società E. Costruzioni ed annullato il diniego di permesso di costruire prot. n.32344 del 10.7.2003, ritenendosi fondata ed assorbente la censura con cui era stata dedotta la mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia previsto dal regolamento edilizio comunale.

La precedente vicenda contenziosa non interferisce, peraltro, con l’odierna controversia, giacché, come osservato dal Giudice d’appello, "resta salvo il poteredovere dell’Amministrazione di emanare ulteriori provvedimenti sulla domanda di concessione edilizia (come peraltro già avvenuto)".

2. Passando al merito, va rilevato che il nuovo provvedimento negativo (prot. n.7079 del 12.2.2010) poggia su una pluralità di ragioni ostative. Premesso che l’area di proprietà dell’istante (dell’estensione di mq. 20.433, censita in Catasto al foglio 15, particelle 481484) ricade per la maggiore consistenza nella sottozona C1 – di espansione, stralciata dall’amministrazione provinciale di Napoli in sede di approvazione del P.R.G., per altra porzione in zona Vr – verde di rispetto stradale e per la restante parte in zona D2 – alberghiera, direzionale e commerciale, il competente dirigente comunale ha ritenuto il progetto incompatibile con la vigente normativa urbanistica, in quanto:

a) in sede di progettazione, il rapporto di copertura (1/8) è stato applicato sull’intera superficie dei lotti, comprendendo cioè anche le porzioni ricadenti nelle zone Vr e D2, le quali non potrebbero essere considerate prive di disciplina urbanistica in quanto le suddette destinazioni non configurerebbero vincoli preordinati all’esproprio sottoposti al termine quinquennale di efficacia;

b) ai sensi dell’art.12 del D.P.R. n.380 del 2001, la zona d’intervento sarebbe carente di opere di urbanizzazione primaria, essendo "priva di aree destinate alla sosta e parcheggio";

c) il progetto non sarebbe compatibile con i limiti previsti dalla vigente normativa (combinato disposto dell’art.9, comma 3, della L.R. Campania n.15 del 2005 e dell’art.9 del D.P.R. n.380 del 6.6.2001) per l’attività edilizia in zone prive di pianificazione urbanistica (ossia per l’area già qualificata come C1), per il mancato rispetto sia dell’indice di copertura che dell’indice volumetrico.

Con riferimento ai delineati profili sostanziali della controversia, la ricorrente assume che:

a) ogni vincolo dovrebbe considerarsi ormai scaduto, stante il decorso del termine quinquennale di cui all’art.2 della L. n.1187/1968;

b) la zona sarebbe sufficientemente urbanizzata;

c) il parametro della superficie coperta verrebbe osservato, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dall’amministrazione, l’indice da applicarsi sarebbe pari ad un ottavo, poiché la delibera di stralcio prot. n.283 del 5.5.1997 conterrebbe un rinvio recettizio all’art.4 della L.R. n.17/1982 ed impedirebbe quindi l’applicazione dei più restrittivi limiti imposti dalla successiva L.R. n.15/2005 per l’edificazione nelle cd. zone bianche;

d) circa il contestato eccesso di volumetria, per i complessi produttivi da realizzarsi in zone prive di pianificazione urbanistica, non si applicherebbe il doppio limite richiamato nel provvedimento di diniego.

3. Ad avviso del Collegio, tutti e tre i suindicati motivi impeditivi – i quali peraltro costituiscono autonomi elementi ostativi, talché il ricorso dovrebbe essere respinto anche se uno soltanto resistesse alle censure attoree – superano il vaglio di legittimità rimesso a questo Collegio giudicante.

3.1. La prima argomentazione difensiva, ove si assume la decadenza di ogni vincolo allo ius aedificandi, per il decorso del termine quinquennale di cui all’art.2 della L. n.1187/1968, è infondata.

Quanto al regime delle sottozone C1, stralciate in sede di approvazione dello strumento urbanistico, esattamente l’ente locale le ha reputate prive di disciplina urbanistica ed assoggettate ai restrittivi limiti stabiliti per le zone "bianche" dall’art.9 del D.P.R. n.380 del 2001 e dalla legislazione regionale (sui quali ci si soffermerà più oltre). Invero, l’evocata efficacia temporale quinquennale si riferisce ai soli vincoli urbanistici – vale a dire alle prescrizioni dei piani regolatori generali che comportino su beni determinati vincoli preordinati all’espropriazione o l’inedificabilità assoluta – e non anche alle limitazioni previste direttamente dal legislatore attraverso il regime di salvaguardia stabilito per le zone prive di previsioni urbanistiche, allo scopo di assicurare standard minimi per la tutela dell’interesse pubblico ad uno sviluppo edificatorio organico. Infatti, il regime di salvaguardia previsto per i Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici non si applica solo nel caso in cui manca del tutto un P.R.G., ma anche quando – come nel caso di specie – la zona interessata dall’intervento per il quale si chiede il permesso è stata espressamente stralciata in sede di approvazione del predetto strumento, risultando, in tal modo, specificamente priva di pianificazione. In definitiva, il legislatore, sia statale sia regionale, ha inteso dettare una (restrittiva) disciplina ex lege per tutte le ipotesi in cui il territorio comunale risulti, in tutto o in parte, privo di pianificazione, senza peraltro stabilire una durata massima all’efficacia del regime di salvaguardia. L’amministrazione è, peraltro, tenuta ad attribuire alle aree in questione una specifica e più appropriata disciplina e, in caso di inerzia, restano salvi gli ordinari strumenti di tutela offerti dall’ordinamento ai privati interessati.

Anche il vincolo di rispetto stradale deve ritenersi sottratto alla disciplina del citato art.2 della L. n.1187/1968. Per quanto riguarda l’individuazione dei vincoli espropriativi, concretamente sottoposti al termine quinquennale di efficacia e la cui reiterazione dà pertanto titolo a un indennizzo, si è affermato (in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale 20 maggio 1999 n.179) un indirizzo rigoroso e restrittivo, che riconosce connotazione conformativa e non espropriativa a tutti i vincoli di inedificabilità imposti dal piano regolatore, a qualsivoglia titolo, per ragioni lato sensu ambientali: il vincolo di inedificabilità (c.d. di rispetto) a tutela di una strada esistente; il vincolo di "verde attrezzato", il vincolo d’inedificabilità per un parco e per una zona agricola di pregio, la destinazione a verde privato (cfr. Consiglio di Stato, Ad. plen., 24 maggio 2007 n.7 e 16 novembre 2005 n.9; Sezione IV, 23 dicembre 2010 n.9372 e 25 maggio 2005 n.2718; Sezione VI, 19 marzo 2008 n.1201). In tale quadro, si è costantemente affermato che il vincolo di inedificabilità relativo alla "fascia di rispetto stradale" non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto riguarda una generalità di beni e di soggetti ed ha una funzione di salvaguardia della circolazione (cfr., in termini, T.A.R. Campania, Napoli, Sezione II, 9 giugno 2008 n.5541; Consiglio Stato, Sezione IV, 13 marzo 2008 n.1095). Peraltro, nel caso di specie, le N.T.A. vigenti per la zona Vr non vietano in modo assoluto qualsivoglia utilizzazione delle fasce di rispetto strale da parte dei proprietari, dal momento che "sono ammesse destinazioni a: – percorsi pedonali e ciclabili; – piantumazioni e sistemazione stradale a verde; conservazione dello stato naturale e delle coltivazioni agricole; – parcheggio pubblico".

Analoga soluzione va ribadita anche per la sottozona D2 – alberghiera, direzionale e commerciale, atteso che la previsione di una determinata tipologia urbanistica non configura, con tutta evidenza, un vincolo preordinato all’espropriazione né comportante l’inedificabilità assoluta, trattandosi di una prescrizione diretta a regolare concretamente l’attività edilizia, in quanto inerente alla potestà conformativa propria dello strumento urbanistico generale, la cui validità è a tempo indeterminato, come espressamente stabilito dall’art.11 L. 17 agosto 1942, n.1150. Va aggiunto che, secondo quanto indicato nel provvedimento impugnato, in tali zone "il piano attuativo può essere tanto di iniziativa pubblica quanto privata" per cui va escluso che anche la previsione urbanistica impositiva del cd. vincolo strumentale sia decaduta, alla stregua dei criteri individuati dalla Corte Costituzionale nella già richiamata sentenza (20 maggio 1999 n.179) ed accolti pacificamente dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 24 ottobre 2002 n.5832; 3 marzo 2004 n.1013; T.A.R. Campania, Sezione II, 15 maggio 2008 n.4528).

3.2. Con la successiva argomentazione, la ricorrente sostiene che la zona sarebbe sufficientemente urbanizzata, con conseguente inutilità della redazione del piano attuativo.

Osserva, anzitutto, il Collegio che la deduzione non appare compiutamente calibrata rispetto alla motivazione del provvedimento sullo specifico punto, in quanto l’autorità amministrativa non si è soffermata sulla necessità della redazione dello strumento esecutivo, ma ha compiuto la sua valutazione nell’ambito della più ampia verifica circa lo stato di urbanizzazione dell’area d’intervento, prevista dall’art.12, comma 1, del D.P.R. n.380 del 2001, in base al quale "Il permesso di costruire è comunque subordinato alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte del comune dell’attuazione delle stesse nel successivo triennio, ovvero all’impegno degli interessati di procedere all’attuazione delle medesime contemporaneamente alla realizzazione dell’intervento oggetto del permesso". Inoltre, lo specifico rilievo contenuto nell’atto impugnato, circa il fatto che la zona è "priva di aree destinate alla sosta e parcheggio", è restato incontestato da parte della società ricorrente.

Al riguardo, è sufficiente ribadire, in aderenza ad un orientamento già ripetutamente espresso dalla Sezione (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sezione Seconda, n.694/2006 e n.8894/2008) che, ai sensi dell’art.12 del d.P.R. n.380 del 2001, in vista del rilascio del permesso di costruire è necessario che esistano – ovvero se ne preveda l’imminente realizzazione – almeno le opere di urbanizzazione primaria stimate in concreto necessarie, ivi comprese quelle relative alla viabilità ed ai parcheggi pubblici, in modo che la zona possa dirsi sistemata per l’insediamento e per il soddisfacimento delle esigenze delle famiglie che debbano fissarvi la dimora. Compito primario della pianificazione urbanistica è, infatti, quello di coordinare armonicamente l’attività edificatoria privata con la predisposizione di un adeguato sistema infrastrutturale, che valga ad assicurare uno sviluppo edilizio del territorio ordinato e razionale. A tal riguardo, vale poi aggiungere che le opere di urbanizzazione primaria sono elencate dall’art. 4 della l. 29 settembre 1964 n. 847 e comprendono fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato, strade residenziali nonché, per l’appunto, spazi di sosta o di parcheggio.

3.3. Si palesa infondato anche il successivo assunto, sopra compendiato al capo 2. lettera c).

Come già rilevato dalla Sezione (in termini, T.A.R. Campania, Sezione II, 23 settembre 2009 n.5041, circa analoga fattispecie relativa allo stesso Comune di Casalnuovo), l’art.9, comma 1, del T.U. sull’edilizia, nel prevedere alla lettera b) che "la superficie coperta non può comunque superare un decimo dell’area di proprietà", chiaramente stabilisce nell’incipit che sono fatti "salvi i più restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali". Nella regione Campania, trova infatti applicazione la disciplina di salvaguardia contenuta nell’art.4 della L.R. 20.3.1982 n.17, come modificata dall’art.9 della L.R. 11.8.2005 n.15, che ha elevato da un ottavo ad un sedicesimo il suddetto limite. Il novellato terzo comma del citato art.4 dispone ora testualmente che: "Le superfici coperte di complessi produttivi, all’esterno dei centri abitati definiti ai sensi dell’art.3, non possono superare un sedicesimo dell’area di proprietà".

Né può fondatamente sostenersi che la portata precettiva dell’evocata normativa regionale, che prevale finanche sulla disciplina nazionale meno restrittiva, possa trovare invece impedimento nella richiamata deliberazione dell’Amministrazione provinciale di Napoli, che ha stralciato le zone di espansione residenziale di tipo "C" e "B3", sottoponendole "alla disciplina di cui all’art.4 della L.R. 20 marzo 1982 n.17". Invero, in linea con i principi generali sulla successione delle leggi nel tempo e sulla gerarchia delle fonti dell’ordinamento, deve ritenersi che il rinvio operato nella strumentazione urbanistica all’art.4 L.R. n.17/1982 non abbia carattere materiale o recettizio, ma formale, nel senso che debba considerarsi esteso a tutte le norme successivamente intervenute in sostituzione, modificazione o integrazione delle originarie previsioni.

Facendo applicazione delle disposizioni appena delineate al caso di specie, risulta palesemente superato il rapporto di copertura, pari ad un sedicesimo dell’area interessata, atteso che il progetto, applicando il parametro di 1/8 (peraltro, erroneamente, all’intera superficie dei lotti e non solo a quella già normata come C1 di espansione, secondo quanto osservato sopra al capo 3.1.), impegna una superficie di 2354,42 mq., superiore a quella massima consentita,.

3.4. La cubatura complessiva di progetto (29.783 mc.) è inoltre manifestamente superiore a quella edificabile risultante dall’applicazione del limite di volumetria di 0,03 mc/mq. Sul punto, come anticipato sopra (al capo 2. lettera d), la ricorrente sostiene, invocando un precedente di questa Sezione (sentenza n.15762/2007), che per i complessi produttivi da realizzarsi in zone prive di pianificazione urbanistica non si applicherebbe il cd. doppio limite (indice di copertura e volumetrico).

Il Collegio rileva che la tesi sostenuta da parte ricorrente, ancorché enunciata nella citata decisione di questa Sezione, è stata rimeditata alla luce del recente orientamento del Giudice di Appello (cfr. Consiglio di Stato, IV Sezione, n.681/2009; T.A.R. Campania, Sezione II, n.21/2011), con il quale è stata affermata l’irrilevanza delle leggi regionali siano esse precedenti o successive alla entrata in vigore del nuovo testo unico dell’edilizia del 2001. Pertanto, secondo il generale e prioritario canone ermeneutico dell’interpretazione letterale delle disposizioni normative, l’art. 9, comma 1, lettera b), del D.P.R. n.380 del 2001, recante la disciplina degli interventi edilizi a destinazione produttiva al di fuori dei centri abitati in caso di assenza di pianificazione urbanistica, non può che essere interpretato nel senso della necessità e concorrenza di entrambi i limiti previsti dalla norma.

Conseguentemente, è legittimo il diniego di permesso di costruire qualora l’intervento edilizio a scopi produttivi ricadente in zona bianca non rispetti sia il limite della densità fondiaria massima (di 0,03 mc su metro quadrato) sia il limite della superficie coperta rispetto all’area di proprietà del richiedente il titolo edilizio (Consiglio Stato, Sezione IV, 19 giugno 2006 n.3658 e 22 giugno 2006 n.3872).

In disparte la discutibilità della tecnica normativa utilizzata, è soprattutto l’uso dell’avverbio "comunque" (il cui significato è stato valorizzato dal Giudice di appello, ritenendo che lo stesso va usato soltanto quando mette in relazione e congiunge una proposizione con un’altra, sicché non va di regola utilizzato in proposizione sospesa), a rivelare come il secondo limite viene stabilito in aggiunta e non in alternativa al primo parametro, restando altrimenti del tutto privo di senso il suo utilizzo.

4. Coi successivi motivi (rubricati ai numeri 5, 6 e 7), l’instante lamenta i seguenti vizi formali e/o procedimentali:

– il funzionario comunale preposto all’esame della pratica, prima di opporre il rigetto, avrebbe dovuto preventivamente chiedere all’instante di apportare eventuali modifiche al progetto;

– le osservazioni presentate dalla richiedente non sarebbero state valutate dall’amministrazione;

– sarebbe stato violato il termine di 90 giorni per emettere il provvedimento conclusivo.

Anche le suesposte censure sono infondate.

4.1. Con riferimento alla prima doglianza, va premesso che il richiamato art.20, comma 4, del D.P.R. n.380/2001 dispone testualmente quanto segue: "Il responsabile del procedimento, qualora ritenga che ai fini del rilascio del permesso di costruire sia necessario apportare modifiche di modesta entità rispetto al progetto originario, può, nello stesso termine di cui al comma 3, richiedere tali modifiche, illustrandone le ragioni". Come si evince dal tenore letterale della disposizione, la norma non configura un obbligo per l’amministrazione di cooperare con l’interessato per la predisposizione di un progetto alternativo, ma solo una facoltà, atteso che il funzionario comunale non è tenuto ad indicare al privato le modifiche da apportare al progetto presentato per ricondurlo al rispetto delle norme urbanistiche. La suddetta facoltà può peraltro essere esercitata quando si tratti di apportare modifiche di modesta entità e non anche allorquando sia necessario procedere ad una radicale rivisitazione dell’intero progetto, come nel caso di specie, in cui tutti i parametri urbanistici di riferimento risultano macroscopicamente disattesi.

Va poi evidenziato che il rapporto tra pubblica amministrazione e privato in funzione collaborativa risulta oggi potenziata attraverso lo strumento del cd. preavviso di rigetto, ai sensi dell’art.10bis della L. n.241/1990, nel testo introdotto dalla L. n.15/2005, atto che nella specie risulta comunicato alla E. S.r.l. (con nota datata 11.11.2009), così da porre quest’ultima in condizione di controdedurre in merito alle evidenziate ragioni ostative – come accaduto – ovvero di prenderne atto ai fini di un’eventuale rimodulazione dell’intervento.

4.2. Non merita condivisione neppure la successiva doglianza, con cui si lamenta la violazione del disposto di cui all’art. 10bis della legge n. 241/1990, per l’omessa valutazione delle deduzioni presentate dall’instante nel corso del procedimento amministrativo.

In riscontro al preavviso di diniego, l’interessata ha fatto pervenire all’amministrazione (il 23.11.2009) una memoria difensiva – con la quale ha sostenuto, tra l’altro, la decadenza dei vincoli ex L. 1187/1968, l’insussistenza della fascia di rispetto stradale, l’urbanizzazione della zona e l’inapplicabilità del rapporto di copertura – memoria che è stata espressamente valutata e disattesa dall’autorità amministrativa nel provvedimento finale (a pagina 2) con argomentazioni che il Collegio ha ritenuto di convalidare nei termini fin qui precisati.

4.3. L’ultimo profilo di censura, con cui è dedotta la violazione dell’art.2 della L. n.241/1990, per la mancata conclusione del procedimento entro il termine di legge, non merita accoglimento, in quanto, come chiarito dalla pacifica giurisprudenza – fermo restando che, in caso di inerzia, i soggetti interessati hanno facoltà di azionare il rimedio previsto dall’art.117 c.p.a. avverso il comportamento omissivo dell’amministrazione – il segnalato ritardo non determina l’illegittimità del provvedimento assunto, stante il persistente obbligo in capo alla p.a. di provvedere sull’istanza del privato (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 15 dicembre 2005 n.7126; T.A.R. Lazio, Sezione II, 2 aprile 2008 n.2821; T.A.R. Campania, Sezione II, 21 settembre 2006 n.8203).

5. Conclusivamente il ricorso va respinto.

L’infondatezza delle censure comporta anche il rigetto della domanda risarcitoria.

Le spese di giudizio seguono il principio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente a rimborsare al Comune di Casalnuovo di Napoli le spese del presente giudizio, che liquida complessivamente in Euro 1.000,00(mille). Il contributo unificato resta definitivamente a carico della parte soccombente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *