Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-07-2011) 19-10-2011, n. 37919 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 12 gennaio 2011 il Tribunale del riesame di Napoli ha annullato il provvedimento col quale il locale giudice per le indagini preliminari aveva sottoposto C.A. alla misura della custodia cautelare in carcere quale indagato per il delitto di omicidio pluriaggravato di B.C., in concorso con F. S. e con altri.

L’imputazione di cui si tratta era stata già in precedenza elevata nei confronti del C., il quale tuttavia era stato prosciolto con sentenza istruttoria del 7 novembre 1989, emessa nel regime del previgente codice di rito. Quest’ultima statuizione è stata, tuttavia, revocata a seguito di richiesta presentata dal pubblico ministero il 14 luglio 2009, essendosi ritenuto che, a seguito di nuove risultanze, il compendio investigativo a carico del C. si fosse arricchito in guisa da attingere la gravità indiziaria.

I nuovi elementi valorizzati dal G.I.P. nell’ordinanza che ha disposto la misura cautelare sono consistiti principalmente nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia F.G., già capo clan dell’omonimo sodalizio, e S.A., esponente del clan Cava, cugino di C.A. e amico di F.S..

Il primo aveva indicato lo stesso C.A. come esecutore materiale dell’omicidio e il F. come autista del veicolo usato nella circostanza; il secondo, esprimendosi de relato, aveva confermato il ruolo di autore materiale del C., mentre al F. aveva attribuito soltanto un intervento nella fase preparatoria del delitto. Inoltre sì è ravvisato nelle risultanze di nuovi accertamenti tecnici sul frammento di impronta digitale, rinvenuta sull’autovettura utilizzata per il delitto, l’apporto di ulteriori elementi utili ad individuarne la riferibilità al C..

Il Tribunale del riesame, nell’annullare il titolo custodiale, ha osservato che le propalazioni dei collaboranti non erano idonee ad apprestare i gravi indizi di colpevolezza: sia perchè lo S. era di dubbia attendibilità per il suo progressivo correggersi nella narrazione dei fatti, sia per la divergenza delle due versioni su un punto di rilievo quale la partecipazione del F.; restavano valide, di conseguenza, le argomentazioni a suo tempo sviluppate – anche in ordine all’inutilità dell’impronta papillare – dal giudice che aveva emesso la sentenza istruttoria di proscioglimento.

Ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica di Napoli, affidandolo ad un unico, articolato, motivo. Con esso denuncia violazione di norme processuali e vizio di motivazione sotto vari profili, ivi compreso il travisamento del fatto; lamenta che la sentenza istruttoria sia stata valorizzata dal giudice del riesame nonostante il suo superamento a seguito delle nuove indagini;

attribuisce alle propalazioni dei collaboranti il valore di reciproco riscontro individualizzante, secondo il principio della convergenza del molteplice; evidenzia gli elementi di omogeneità riguardanti il movente dell’omicidio e le modalità dell’agguato, rilevando che per queste ultime esistono anche riscontri ricavabili dalle indagini post mortem.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Contrariamente a quanto ivi sostenuto, invero, il Tribunale del riesame non è incorso in alcuna inosservanza della legge processuale penale, avendo anzi dato puntuale applicazione al disposto dell’art. 192 c.p.p., comma 3 (richiamato, ai fini cautelari, dall’art. 273 c.p.p., comma 1 bis), là dove esige che le dichiarazioni rese da coimputati o da imputati di reato connesso, per acquisire valenza probatoria, debbano trovare un riscontro esterno atto a confermarne l’attendibilità. Si è infatti preoccupato quel collegio, attenendosi ai principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità (v. per tutte Cass. Sez. Un. 30 maggio 2006 n. 36267), di vagliare innanzi tutto l’attendibilità intrinseca del dichiarato dei collaboratori di giustizia, e quindi di verificare la sussistenza di riscontri esterni individualizzanti, che nel caso specifico erano da ricercare nella c.d. convergenza del molteplice. Così correttamente operando è pervenuto a conclusione negativa sotto entrambi i profili, avendo – quanto al primo di essi – colto nel narrato dello S. elementi di sospetta inaffidabilità, a motivo del progressivo aggiustamento da lui apportato alla descrizione dei fatti a seguito delle domande del pubblico ministero, e del fatto stesso che le dichiarazioni iniziali si fossero palesate come frutto di valutazioni personali, mentre nel prosieguo si erano via via arricchite di circostanze di fatto dapprima non ricordate:

significativo l’esempio riguardante le armi utilizzate per l’omicidio, delle quali lo S. aveva inizialmente affermato di nulla sapere, mentre in seguito aveva dichiarato di aver appreso dal C. che era stato usato un revolver 357 magnum. Quanto al secondo profilo, il Tribunale ha constatato nelle ricostruzioni dello S.e. dell’altro collaborante, Fe.Gr., delle vistose contraddizioni riguardanti in particolare il ruolo assunto da F.S. nella dinamica del delitto: sicchè, trattandosi di divergenze su un elemento facente parte del nucleo essenziale del fatto, non ha ritenuto che le propalazioni dei due dichiaranti valessero a riscontrarsi reciprocamente.

La linea argomentativa così addotta soddisfa pienamente i canoni della consequenzialità logica e resiste, pertanto, al vaglio di legittimità sotto ogni profilo. Nè giova al P.M. ricorrente sottoporre a critica i diversi passaggi motivazionali dell’ordinanza in rapporto ai dati ricavabili dalle attività investigative, non essendo compito della Corte di Cassazione sottoporre a rivisitazione il materiale indiziario per sovrapporre la propria valutazione a quella del giudice di merito.

Infondata è anche la critica con cui si rimprovera ai Tribunale di avere indebitamente valorizzato la sentenza di proscioglimento del 7 novembre 1989, sebbene la stessa non avesse più alcun valore in quanto revocata. In realtà il giudice del riesame non si è richiamato a quel provvedimento per attribuirgli un’autorità ormai perduta, ma per evidenziare la correttezza e la persuasività delle argomentazioni ivi addotte. Si era infatti rimarcato in quella sentenza – il cui testo è riprodotto nell’ordinanza impugnata – come già nella prima istruttoria fosse emersa la presenza, nel frammento di impronta rinvenuta sulla vettura Alfa 90, di un numero di punti di corrispondenza con l’impronta del C. superiore a sedici, quindi tale da soddisfare il criterio legale unanimemente adottato; ma nel contempo si era avvertito, in conformità alla precisa segnalazione del perito d’ufficio, che l’impronta del pollice sinistro del C. è del tipo "monodelta", con delta rivolto ulnalmente: sicchè, non presentando tale caratteristica basilare il frammento sottoposto ad esame, era del tutto inutile ricercarvi i punti di corrispondenza.

L’argomento così portato in quella prima sede istruttoria, dotato di un’evidenza logica dirimente, conserva intatta la sua validità anche dopo l’individuazione, a mezzo di più sofisticati strumenti tecnici, di un maggior numero di punti di corrispondenza. In aggiunta a ciò il Tribunale del riesame non ha mancato di osservare che la presenza dell’impronta papillare di una persona su un autoveicolo non vale a dimostrare che il contatto fisico con esso sia avvenuto proprio in occasione dell’utilizzo del mezzo per commettere il delitto.

Conclusivamente l’ordinanza impugnata non è inficiata dai vizi denunciati dal P.M. ricorrente, fondandosi invece su un corredo argomentativo rispondente ai requisiti logici e giuridici prescritti dalla legge: donde la reiezione del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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