Cass. civ. Sez. VI, Sent., 03-04-2012, n. 5291 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che A.N. ha proposto domanda di equa riparazione con ricorso del 14 marzo 2007 per l’eccessiva durata di una procedura fallimentare;

che nel ricorso introduttivo si esponeva: che l’ A., dipendente della s.p.a. Agria, dichiarata fallita dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere, e licenziato dal curatore fallimentare in data 18 novembre 1986, aveva presentato domanda di insinuazione al passivo per le ultime retribuzioni, il t.f.r. ed altre indennità nel gennaio 1987; che la procedura si era chiusa con provvedimento del 25 ottobre 2007 per riparto finale dell’attivo;

che la Corte d’appello di Roma, con decreto in data 21 settembre 2009, ha determinato in venti anni e nove mesi la durata complessiva ed in cinque anni la durata ragionevole della procedura fallimentare in questione, in ragione del fatto che essa si era rivelata complessa sia per il rilevante numero dei creditori, sia per la laboriosità della fase di realizzazione dell’attivo;

che, determinato il periodo di irragionevole durata del giudizio presupposto in quindici anni e nove mesi circa, la Corte d’appello di Roma ha liquidato l’equo indennizzo nella misura di Euro 13.000, sulla base della somma annua di Euro 800, e ha posto a carico del Ministero le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 750, oltre accessori;

che per la cassazione del decreto della Corte d’appello ha proposto ricorso il Ministero, sulla base di tre motivi;

che anche A.N. e l’Avv. M.L. hanno proposto autonomo ricorso, deducendo, rispettivamente, cinque motivi ed un unico motivo di censura.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;

che i ricorsi, proposti separatamente contro lo stesso decreto, debbono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.;

che con i tre motivi di ricorso, il Ministero critica il decreto impugnato, soprattutto sotto il profilo del vizio di motivazione, sostenendo che: (a) l’eccezionale complessità della procedura, quale sottolineata dagli stessi giudizi a quibus, rende palesemente astratta la determinazione della durata ragionevole del procedimento fallimentare in questione in soli cinque anni, anzichè in un periodo di molto superiore pari ad almeno undici anni, tenuto conto sia che lo stabilimento industriale formò oggetto di affitto di azienda da parte della curatela, sia che i dipendenti – tra cui l’ A. – furono assunti dall’impresa affittuaria, sia che, comunque, la procedura fu punteggiata da numerose controversie incidentali; (b) che gli stessi giudici a quibus hanno omesso di considerare, con riferimento alla "posta in gioco" e ai fini della determinazione del quantum, che nella procedura in questione si era fatto ricorso al fondo di garanzia presso l’INPS di cui alla L. n. 297 del 1982;

che, con i primi cinque motivi del proprio ricorso, da considerare incidentale, l’ A. critica il decreto impugnato, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, sostenendo che: (a) i criteri di determinazione dell’equo indennizzo applicati nella specie avrebbero dovuto comportare un indennizzo annuo certamente superiore; (b) la liquidazione delle spese di giudizio sarebbe stata effettuata con violazione dei minimi tariffari forensi e, comunque, in modo palesemente insufficiente rispetto al valore della causa;

che, con l’unico motivo, l’altro ricorrente incidentale, Avv. M.L., censura a sua volta il decreto impugnato, in quanto la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciare sulla domanda di distrazione in suo favore delle spese di lite;

che le censure sub (a) del ricorso principale del Ministero (primi due motivi) sono fondate alla luce della più recente giurisprudenza di questa Corte in ordine alla durata delle procedure fallimentari che, secondo lo standard, ricavabile dalle pronunce della Corte Europea, non dovrebbe superare la durata complessiva di sette anni, ciò in quanto, tenendo conto della peculiarità del procedimento fallimentare, il termine di tre anni, che può ritenersi normale in procedura di media complessità, è stato ritenuto elevabile fino a sette anni allorquando – come nella specie – il procedimento si presenti particolarmente complesso: ipotesi, questa, che è ravvisabile in presenza di un numero particolarmente elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, della proliferazione di giudizi connessi alla procedura ma autonomi e quindi a loro volta di durata vincolata alla complessità del caso, della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti (Cass., Sez. 6^-1, 23 dicembre 2011, n. 28559);

che, in violazione di tali principi, la Corte di Roma ha determinato in soli cinque anni, anzichè in sette anni, la durata ragionevole della procedura fallimentare in questione, nonostante essa stessa dia atto che tale procedura presentava una rilevante complessità, dovuta al rilevante numero dei creditori, con un passivo accertato pari ad Euro 13.403.327,68, ed alla laboriosità della fase di realizzazione dell’attivo, pari ad Euro 3.282.573,43, concernente l’affitto dei locali dell’azienda protrattosi per undici anni, la ristrutturazione dell’azienda fallita, la vendita di attrezzature e merci e la vendita dello stesso immobile;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che le censure del ricorso incidentale dell’ A. – concernenti la determinazione dell’indennizzo e la liquidazione delle spese di lite – ed il terzo motivo del ricorso principale – concernente la determinazione del quantum – devono ritenersi assorbite;

che anche il ricorso incidentale dell’Avv. M. deve ritenersi in concreto assorbito, perchè questa Corte, decidendo la causa nel merito, deve provvedere anche sulle spese del giudizio a quo, tenendo ovviamente conto della domanda di distrazione delle spese formulata dall’Avv. M.;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo fallimentare presupposto è pacificamente durato circa venti anni e nove mesi, sicchè, detratti sette anni di ragionevole durata in base ai principi di diritto richiamati e qui ribaditi, esso ha avuto la durata irragionevole di circa tredici anni e nove mesi;

che il consolidato orientamento di questa Corte è nel senso che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale, si considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000 per ciascuno dei successivi anni;

che, nella specie, sulla base di tali criteri, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale va equitativamente determinato, per il ricorrente A., nella stessa somma già riconosciuta dalla Corte di Roma, cioè in Euro 13.000 per i tredici anni e nove mesi di irragionevole ritardo (Euro 750 annui per ciascuno dei primi tre anni, Euro 1.000 per ciascuno dei dieci anni successivi nonchè Euro 750 per i residui nove mesi), oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate in complessivi Euro 1.140, di cui Euro 50 per esborsi, Euro 490 per diritti ed Euro 600 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge, da distrarsi in favore dell’Avv. M.L., dichiaratosene antistatario;

che le spese del presente grado di giudizio – compensate per due terzi, in ragione del fatto che il ricorso incidentale dell’ A. sarebbe risultato fondato soltanto in punto di spese – seguono la residua soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, con

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie i primi due motivi del ricorso principale del Ministero, assorbiti il terzo motivo e i motivi del ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della giustizia al pagamento, in favore di A.N., della somma di Euro 13.000, oltre agli interessi legali dalla domanda, condannando l’Amministrazione altresì al rimborso, in favore della parte istante, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140, di cui Euro 490 per diritti ed Euro 600 per onorari e 50 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge, spese da distrarsi in favore dell’Avv. M.L., dichiaratosene antistatario, e, per il giudizio di legittimità, previa compensazione dei due terzi, in complessivi Euro 400, di cui Euro 70 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge, da distrarsi in favore dell’Avv. Pasquale Errico, dichiaratosene antistatario.

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