Corte Costituzionale, Sentenza n. 6 del 2004, In materia di energia elettrica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 27 marzo 2002, depositato il 4 aprile 2002 e iscritto al n. 30 del 2002 del registro ricorsi, la Regione Umbria ha sollevato questione di legittimità costituzionale del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), per violazione degli artt. 77, secondo comma; 120, secondo comma; 117, primo comma, secondo comma lettera m), e terzo comma, nonché 118, primo e secondo comma, Cost. In subordine e più specificamente, la Regione Umbria ha impugnato: l’art. 1, commi 1, 2, 3 e 5, del d.l. n. 7 del 2002, per violazione dell’art. 117, primo e terzo comma, Cost., nonché dell’art. 118, primo e secondo comma, Cost.; l’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5, del medesimo d.l., per violazione dell’art. 97, primo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione.

Premette la Regione che il d.l. n. 7 del 2002, emanato “al fine di evitare l’imminente pericolo di interruzione dell’energia elettrica su tutto il territorio nazionale” e per garantire la necessaria copertura del fabbisogno nazionale, dispone, all’art. 1, che la costruzione e l’esercizio degli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, gli interventi di modifica e ripotenziamento, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili per il loro esercizio, sono dichiarate opere di pubblica utilità. Titolo per la costruzione e l’esercizio dell’impianto è rappresentato dall’autorizzazione unica rilasciata dal Ministero delle attività produttive, sostitutiva di ogni atto autorizzativo, comunque denominato, previsto dalle norme vigenti. Lo stesso art. 1 dispone poi che al procedimento autorizzatorio sono chiamate a partecipare le amministrazioni interessate, applicandosi i principi di semplificazione e la disciplina di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e che deve essere raggiunta l’intesa con la Regione interessata, senza peraltro che siano specificati i termini e le modalità della partecipazione e dell’intesa.

Sostiene la Regione Umbria che il decreto-legge impugnato violerebbe innanzitutto l’art. 77, secondo comma, Cost., in quanto sarebbe stato emanato in assenza dei presupposti di necessità ed urgenza. Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, il sindacato sulla sussistenza dei presupposti che legittimano il Governo ad emanare decreti-legge sarebbe ammissibile, sia pure nel solo caso di “evidente mancanza” dei requisiti stessi.

La Regione afferma di conoscere la giurisprudenza della Corte che considera inammissibile il ricorso delle Regioni in via di azione avverso un decreto-legge per questo tipo di motivi, ma ritiene che, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione e con il nuovo modello dei rapporti Stato-Regioni da essa delineato, quella giurisprudenza sia suscettibile di riconsiderazione. A differenza che in passato, infatti, il Governo non avrebbe più il potere di rinvio ai Consigli regionali delle delibere legislative, né di garantire il rispetto dell’interesse nazionale, di talché Governo e Regioni disporrebbero parimenti del potere di impugnare la legge (art. 127 Cost.).

Nel nuovo sistema, inoltre, la potestà legislativa non spetterebbe più allo Stato in via generale, ma anche alle Regioni, secondo il modello delineato dall’art. 117 Cost. Infine, la nuova formulazione dell’art. 114 assegnerebbe alle Regioni, insieme alle altre autonomie territoriali, “il nuovo ruolo di enti che svolgono le proprie funzioni nell’interesse generale della comunità repubblicana”. In questo mutato quadro costituzionale, anche le Regioni, e non più solo il Governo, sarebbero legittimate ad agire in funzione di tutela generale dell’ordinamento.

Ciò posto, la ricorrente ritiene che il d.l. censurato sarebbe stato emanato in assenza delle condizioni di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., dal momento che la necessità di evitare l’imminente pericolo di interruzione di energia elettrica, affermata nel decreto, non sarebbe basata su nessun dato certo. Neppure potrebbe essere ravvisata una situazione di straordinaria urgenza nella recente liberalizzazione dell’attività di produzione di energia elettrica, avvenuta con il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato dell’energia elettrica).

Quanto al contenuto delle disposizioni impugnate, la Regione Umbria osserva che la normativa impugnata contrasterebbe con l’art. 117 Cost., in quanto – in una materia assegnata alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, qual è quella della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” – il Governo sarebbe intervenuto adottando norme di dettaglio, anche di tipo procedurale, anziché limitarsi a dettare norme di principio.

Ad avviso della ricorrente, perché una legge dello Stato possa incidere su una competenza del legislatore regionale non potrebbero essere ritenuti sufficienti i presupposti di necessità ed urgenza cui è subordinata l’emanazione di un decreto-legge ex art. 77 Cost. Il rapporto tra fonte regionale e fonte statale sarebbe infatti sempre regolato dal principio della competenza e non da quello gerarchico. E ciò, a maggior ragione, nel nuovo sistema costituzionale, nell’ambito del quale l’art. 117 riconoscerebbe pari dignità alla legislazione statale e a quella regionale, e l’art. 114 porrebbe un principio di pari ordinazione tra gli enti individuati come costitutivi della Repubblica.

Neppure potrebbe ritenersi che la materia dell’energia sia riconducibile alla legislazione esclusiva dello Stato sotto altro titolo, ad esempio in forza dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.

Il d.l. n. 7 del 2002 inoltre, nell’attribuire il potere autorizzatorio allo Stato, in sostituzione delle “autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti” (art. 1, comma 1), violerebbe l’art. 118, primo e secondo comma, Cost. L’esigenza di assicurare l’erogazione dell’energia elettrica su tutto il territorio nazionale, infatti, non sarebbe sufficiente per “riconoscere all’ordinamento centrale una competenza amministrativa generale e di tipo gestionale in materia”.

Inoltre, l’art. 1, commi 2, 3 e 5, del d.l. impugnato lederebbe le funzioni di governo del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali assegnate alla competenza normativa della Regione e sarebbe incompatibile con il ruolo che l’art. 118 Cost. riconosce per le funzioni amministrative, a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni; il comma 2 nella parte in cui prescrive l’assorbimento nell’autorizzazione unica della c.d. autorizzazione integrata e la sostituzione della stessa ad ogni autorizzazione ambientale di competenza delle singole amministrazioni; il comma 3 laddove stabilisce che l’autorizzazione unica ha effetto di variante degli strumenti urbanistici e del piano regolatore portuale; il comma 5 ove dispone la sospensione dell’efficacia del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 1988 (Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all’art. 6, della legge 8 luglio 1986, n. 349, adottate ai sensi dell’art. 3 del d.P.C.m. 10 agosto 1988, n. 377), allegato IV (Procedure per i progetti di centrali termoelettriche e turbogas), dell’articolo 15 della legge 2 agosto 1975, n. 393 (Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione e sull’impiego di energia elettrica), nonché del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 1998, n. 53 (Regolamento recante disciplina dei procedimenti relativi alla autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica che utilizzano fonti convenzionali, a norma dell’articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59). Neppure sarebbe possibile individuare nell’atto di decretazione d’urgenza una manifestazione del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni ai sensi dell’art. 120, secondo comma, Cost., non ricorrendo i presupposti e le forme previste da tale disposizione. Di qui la prospettata violazione degli artt. 77, secondo comma, e 120, secondo comma, della Costituzione.

Infine, l’art. 1, comma 2, del d.l. impugnato, nello stabilire che il procedimento previsto si svolge d’intesa con la Regione interessata, senza tuttavia stabilire i tempi e le modalità di tale intesa, contrasterebbe con il principio di leale collaborazione.

D’altronde il generico richiamo al rispetto dei principi di semplificazione amministrativa e delle modalità dettate dalla legge n. 241 del 1990, non sarebbe sufficiente a garantire il rilievo degli interessi della comunità regionale, in aperta violazione dell’art. 97, primo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione; tanto più che il decreto, all’art. 1, commi 3 e 5, “risulta sostitutivo sia della autorizzazione integrata che di tutte le autorizzazioni ambientali di competenza dei diversi enti coinvolti e sospensivo dell’efficacia dell’Allegato IV del d.P.C.m. 27 dicembre 1988 e del d.P.R. n. 53 del 1998”, senza prevedere forme di coinvolgimento e di partecipazione, con idonee modalità procedurali di tutti gli interessati.

Per gli stessi motivi sarebbe, da ultimo, illegittimo anche l’art. 1, comma 4, del decreto impugnato, per la parte in cui estende le disposizioni di cui ai commi precedenti anche “ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del … decreto”.

2. – Con ricorso notificato il 31 maggio 2002, depositato il 6 giugno 2002 e iscritto al n. 39 del 2002 del registro ricorsi, la Regione Umbria ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge 9 aprile 2002, n. 55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale).

Con tale ricorso, la Regione, ripropone le medesime censure già mosse nei confronti del d.l. n. 7 del 2002 con riferimento alle norme di questo convertite senza modificazioni. Inoltre, la ricorrente muove ulteriori censure sia avverso la legge di conversione nel suo complesso, in quanto contrastante con gli artt. 77, secondo comma, e 120, secondo comma, Cost., sia nei confronti delle disposizioni che hanno modificato le norme del d.l. n. 7 del 2002.

Innanzitutto, si lamenta la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. Ribadite le argomentazioni a sostegno della censurabilità da parte delle Regioni delle violazioni dell’art. 77 Cost., la Regione Umbria afferma che l’art. 1, comma 1, della legge impugnata, nel convertire il decreto-legge, avrebbe rivelato l’inesistenza di uno dei presupposti della decretazione d’urgenza, non individuandolo più nell’“imminente pericolo” di interruzione della fornitura di energia elettrica, ma, più semplicemente, nel solo “pericolo” della medesima.

La ricorrente, con argomentazioni non dissimili da quelle sopra richiamate, ribadisce inoltre che non ricorrerebbero neppure i presupposti per ravvisare nella fattispecie una manifestazione del potere sostitutivo previsto dall’art. 120, secondo comma, Cost. Di talché la legge di conversione sarebbe quindi interamente illegittima in quanto essendo stato esercitato il potere di decretazione d’urgenza in totale carenza di presupposti, sarebbe essa stessa affetta di un grave vizio in procedendo.

Quanto alle singole disposizioni della legge, viene innanzitutto censurato l’art. 1, comma 1, che – nel convertire il decreto impugnato – ha precisato che le sue previsioni valgono fino alla determinazione dei principi fondamentali della materia in attuazione dell’art. 117 Cost., e comunque non oltre il 31 dicembre 2003, previa intesa in sede di Conferenza permanente tra Stato, Regioni e Province autonome (cfr. Allegato, cpv. 1). Tale norma, secondo la ricorrente, contrasterebbe con l’art. 117 Cost., in quanto supererebbe i confini assegnati alla normativa statale in materie di competenza ripartita. E tale vizio non sarebbe escluso dalla natura transitoria della disciplina, la quale, anzi, sarebbe addirittura “eversiva”, poiché lo Stato si arrogherebbe il potere di disciplinare nel dettaglio, con norme immediatamente efficaci, materie che la Regione avrebbe fin da ora il diritto di disciplinare entro il quadro dei principi desumibili dalle leggi vigenti. Illecita ed arbitraria sarebbe quindi l’assegnazione di un termine da parte dello Stato alle Regioni per esercitare una loro competenza costituzionalmente garantita.

La Regione Umbria lamenta poi la violazione dell’art. 118, primo e secondo comma, Cost., ad opera dell’art. 1, comma 1, della legge di conversione, che modifica l’art. 1, comma 3, del d.l. n. 7 del 2002 (Allegato, cpv. 3), e dell’art. 1, comma 1, della medesima legge, che introduce il comma 3-bis all’art. 1 del citato d.l. (Allegato, cpv. 4). La prima norma subordina il rilascio dell’autorizzazione alla acquisizione del parere del comune e della provincia nel cui territorio ricadono le opere da realizzare, ma dispone che il rilascio di tale parere non può incidere sul rispetto del termine per la conclusione del procedimento, individuato dal comma 2 del decreto-legge in centottanta giorni. In tal modo, ad avviso della ricorrente, gli enti locali sarebbero sostanzialmente privati del potere di intervenire efficacemente su provvedimenti diretti ad incidere sul loro territorio, né costituirebbero correttivi sufficienti a compensare la perdita di rilevanza delle Regioni e delle autonomie locali rispetto al potere decisionale dello Stato la previsione della facoltà delle Regioni di “promuovere accordi tra il proponente e gli enti locali interessati dagli interventi di cui al comma 1 per l’individuazione di misure di compensazione e riequilibrio ambientale” né la costituzione, tra il Ministero delle Attività produttive, le Regioni, l’Unione delle province d’Italia e l’Associazione nazionale dei comuni italiani, di un “comitato paritetico per il monitoraggio congiunto dell’efficacia delle disposizioni del decreto e la valutazione dell’adeguatezza della nuova potenza installata”.

Per il resto, nei confronti delle norme non modificate in sede di conversione, la Regione Umbria ripropone le medesime censure mosse avverso le corrispondenti norme del d.l. n. 7 del 2002.

3. – Nel giudizio concernente la legge n. 55 del 2002 si è costituita la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo che il ricorso proposto dalla Regione Umbria debba essere rigettato perché inammissibile o comunque infondato. La difesa erariale osserva innanzitutto come anche nel nuovo sistema costituzionale delineato dopo la riforma del titolo V, l’interesse delle Regioni a ricorrere nei giudizi di legittimità in via principale sarebbe qualificato dalla finalità di ripristinare le loro competenze costituzionalmente garantite. Non potrebbe invece riconoscersi loro la possibilità di agire per una tutela generale dell’ordinamento, in quanto essa potrebbe essere affidata solo a chi ha una visione complessiva dell’ordinamento stesso.

In ogni caso, la questione di legittimità costituzionale della legge impugnata per carenza dei presupposti di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., sarebbe ormai superata, dal momento che la Corte, nella sentenza n. 29 del 2002, avrebbe chiarito che gli eventuali vizi del decreto-legge, anche sotto il profilo della necessità e urgenza, sarebbero sanati definitivamente quando le Camere, con la legge di conversione, abbiano assunto come propri i contenuti o gli effetti della disciplina adottata dal Governo. Inammissibile sarebbe quindi la censura relativa al difetto del presupposto dell’esistenza di un imminente pericolo di interruzione della fornitura di energia elettrica. E anche ove tale vizio sussistesse, esso sarebbe proprio del decreto-legge, con la conseguenza che avrebbe perso rilievo a seguito della emanazione della legge di conversione; né, d’altronde, potrebbe configurarsi come vizio proprio di quest’ultima, dal momento che i motivi per i quali una legge è emanata non potrebbero incidere sulla sua legittimità costituzionale.

Inoltre, sarebbe infondato il motivo di ricorso concernente il potere sostitutivo dello Stato, in quanto non risulta che lo Stato abbia voluto operare in sostituzione delle Regioni.

Quanto al contenuto della legge impugnata, l’Avvocatura rileva come il d.lgs. n. 79 del 1999 attribuisca al Ministero dell’industria (ora delle attività produttive) il compito di provvedere alla sicurezza del sistema elettrico nazionale e di assicurarne la continuità e che lo Stato sarebbe intervenuto a disciplinare la materia al fine di garantire le esigenze di sicurezza e i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici, in materie, dunque, che sarebbero riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettere h) ed m). L’intervento statale sarebbe stato reso indispensabile dalla necessità di realizzare nuovi impianti per fare fronte alla prevista crescita del fabbisogno nazionale di energia su tutto il territorio nazionale e così salvaguardare lo sviluppo economico del paese e l’attuale livello qualitativo di vita. Pertanto, lo Stato avrebbe esercitato la sua potestà esclusiva in materia di sicurezza e di tutela dei diritti civili e sociali, tra i quali andrebbe inserito anche quello di disporre dell’energia indispensabile per mantenere le attuali disponibilità, le quali costituirebbero i livelli essenziali delle prestazioni.

Lo Stato, prevedendo un termine per l’esercizio della legislazione concorrente delle Regioni, avrebbe tuttavia voluto limitare nel tempo gli effetti del proprio potere legislativo esclusivo di cui ha fatto uso, in modo che le autonomie regionali potessero intervenire sulla materia al momento in cui fosse garantita la produzione di energia elettrica sufficiente ai bisogni nazionali.

Quanto specificamente alla dichiarazione di pubblica utilità delle opere, ed alla previsione di un’unica autorizzazione, rilasciata dal Ministero delle attività produttive, per la realizzazione di nuovi impianti, esse sarebbero direttamente funzionali agli obiettivi del legislatore: accelerare i tempi di costruzione dei nuovi impianti su tutto il territorio nazionale per assicurare la fornitura di un servizio pubblico essenziale. Tali obiettivi, secondo quanto sostenuto dalla difesa erariale, potrebbero essere raggiunti solo con un intervento unico che esclusivamente il legislatore nazionale sarebbe in grado di porre in essere.

Nell’ambito del procedimento unico per il rilascio dell’autorizzazione sarebbe comunque assicurata la partecipazione delle amministrazioni interessate. In specie, sottolinea l’Avvocatura, la disciplina impugnata prevede espressamente il parere motivato della provincia o del comune.

Né vi sarebbe poi violazione del principio di leale collaborazione, in quanto la semplice previsione dell’intesa dovrebbe intendersi nel senso che il suo mancato raggiungimento preclude la conclusione del procedimento.

L’Avvocatura, infine, sostiene che la normativa censurata investirebbe anche la materia della tutela della concorrenza, materia che rientra nella legislazione statale esclusiva, in quanto comunque inciderebbe sulla produzione di energia elettrica e dunque sull’offerta e sull’equilibrio del mercato.

4. – Contro l’intera legge n. 55 del 2002 la Regione Basilicata ha proposto ricorso notificato l’8 giugno 2002, depositato il 17 giugno 2002 e iscritto al n. 40 del 2002 del registro ricorsi, lamentando la violazione degli artt. 117 e 118 Cost.

La ricorrente sostiene che la legge impugnata violerebbe la competenza che l’art. 117, terzo comma, Cost. riserva alla potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, in quanto, anziché limitarsi a dettare i principi fondamentali, il legislatore statale avrebbe disciplinato in modo analitico il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica.

L’illegittimità della legge n. 55 del 2002 non sarebbe esclusa dalla natura transitoria della disciplina, destinata ad operare “fino alla determinazione dei principi fondamentali della materia in attuazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., e comunque non oltre il 31 dicembre 2003”. Anzi, tale previsione sarebbe a sua volta contrastante con la Costituzione, precludendo alle Regioni di esercitare fino a quel momento una competenza legislativa di cui sono già titolari.

Tale previsione non sarebbe neppure giustificabile al fine di tutela dell’interesse nazionale, che il nuovo testo costituzionale non prevede più come limite alla potestà legislativa regionale. E, d’altra parte, non potrebbero invocarsi a sostegno dell’intervento legislativo dello Stato tanto le materie di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., quanto i poteri sostitutivi del Governo previsti dall’art. 120, secondo comma, Cost.

L’art. 117 Cost. sarebbe inoltre violato in quanto la disciplina della legge n. 55 del 2002, per la parte in cui interferisce sull’assetto del territorio in relazione all’impatto delle opere e alla necessaria conformità urbanistica delle stesse, inciderebbe sulla materia del “governo del territorio” attribuita alla potestà legislativa concorrente delle Regioni.

La Regione afferma che la legge impugnata violerebbe anche l’art. 118 Cost., in quanto, nell’attribuire la funzione amministrativa di rilascio dell’autorizzazione al Governo statale, violerebbe i criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza posti dallo stesso art. 118.

Tale norma sarebbe poi violata anche sotto un ulteriore profilo. L’art. 118 Cost., infatti, detta i criteri per il riparto delle funzioni amministrative, ma non disciplina la fonte deputata ad allocare le stesse. Questa fonte dovrebbe dunque essere determinata sulla base dell’art. 117 e pertanto sarebbe costituita dalla legge competente a regolare la materia. Poiché nel caso di specie, l’energia rientra tra le materie di legislazione concorrente, spetterebbe alle Regioni, attenendosi ai principi regolatori fissati dallo Stato, dettare le procedure di svolgimento delle funzioni, distribuendo le stesse secondo i criteri dettati dall’art. 118 Cost. Né varrebbe a superare la censura la previsione dell’intesa con la Regione richiesta per il rilascio dell’autorizzazione, perché la potestà legislativa non potrebbe essere surrogata con forme di concertazione attinenti all’esercizio della funzione amministrativa.

5. – Anche la Regione Toscana ha proposto ricorso, notificato il 7 giugno 2002, depositato il 17 giugno 2002 e iscritto al n. 41 del 2002 del registro ricorsi, avverso l’intera legge n. 55 del 2002, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.

La ricorrente muove dalla considerazione che la normativa censurata, nel disciplinare il procedimento preordinato alla costruzione e all’esercizio degli impianti di energia elettrica, nonché delle opere e infrastrutture connesse, interverrebbe, con una disciplina di dettaglio, nella materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, attribuita dall’art. 117 Cost. alla potestà legislativa concorrente delle Regioni.

L’intervento statale in tale materia non troverebbe legittimazione nei c.d. titoli di intervento trasversale previsti nell’art. 117, secondo comma, Cost. Né potrebbe giustificarsi in relazione all’interesse nazionale a garantire la fornitura di energia elettrica, dal momento che il nuovo testo costituzionale non prevede più l’interesse nazionale come limite alla potestà normativa delle Regioni.

La normativa censurata non potrebbe neppure essere giustificata in relazione alla finalità di tutelare la concorrenza, perché non contiene disposizioni volte a garantire le imprese contro il rischio di intese restrittive o di abusi di posizione.

Ancora, la disciplina in questione non potrebbe ricondursi alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto queste riguarderebbero servizi sociali e non industriali, e comunque l’intervento statale sarebbe limitato alla determinazione degli standard, su cui la legge in esame non interviene in alcun modo, limitandosi ad attribuire allo Stato le funzioni amministrative preordinate al rilascio dell’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti.

La legge censurata, secondo la ricorrente, lederebbe inoltre la potestà regionale in materia di “governo del territorio”, che l’art. 117 Cost. ricomprende tra le materie a legislazione concorrente, là dove prevede che l’autorizzazione unica rilasciata dal Ministero abbia effetto di variante urbanistica, richiedendo al comune sul cui territorio ricade l’intervento un semplice parere che, peraltro, può essere anche negativo o può anche mancare e comunque non può incidere sul rispetto del termine di 180 giorni previsto per la conclusione del procedimento.

Infine, a sostegno della asserita violazione dell’art. 118 Cost., la Regione Toscana prospetta argomenti del tutto analoghi a quelli fatti valere dalla Regione Basilicata.

6. – Anche nei due giudizi introdotti dalle Regioni Basilicata e Toscana la Presidenza del Consiglio dei ministri si è costituita tramite l’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo – con argomentazioni di merito identiche a quelle sviluppate in relazione all’impugnazione della Regione Umbria – che i ricorsi proposti debbano essere dichiarati inammissibili o comunque infondati.

7. – In prossimità dell’udienza, la Regione Umbria ha depositato una memoria nella quale ribadisce le censure svolte nei ricorsi introduttivi avverso il d.l. n. 7 del 2002 e la legge di conversione n. 55 del 2002.

In particolare tali atti normativi conterrebbero disposizioni di dettaglio in una materia attribuita dall’art. 117, terzo comma, Cost. alla potestà legislativa concorrente.

La ricorrente, inoltre, contesta che lo strumento della decretazione d’urgenza possa essere utilizzato dal legislatore statale per dettare principi nella materia dell’energia, sia per la natura propria del decreto-legge, finalizzato a risolvere problemi e regolare situazioni eccezionali e straordinarie, sia perché, anche qualora mancasse la fissazione di principi, questi, secondo la giurisprudenza della Corte, andrebbero desunti dalle leggi già in vigore.

La Regione ribadisce che il d.l. n. 7 del 2002 neppure potrebbe trovare il proprio fondamento nell’art. 120, secondo comma, Cost., in quanto ammettere che il Governo possa sostituirsi al legislatore regionale in via d’urgenza, configurerebbe un tertium genus di potestà legislativa statale non prevista dall’art. 117 Cost., che – come tale – sfuggirebbe al sistema dei limiti di materia previsti da tale norma ed introdurrebbe una potestà sostitutiva generale dello Stato nei confronti delle Regioni.

In concreto poi, il d.l. n. 7 del 2002 avrebbe operato un intervento sostitutivo preventivo, sganciato dalla previa messa in mora della Regione e sottratto ad ogni disponibilità della stessa; ciò in contrasto anche con quanto prevede l’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

Neppure ricorrerebbero i presupposti per l’esercizio del potere sostitutivo previsto dall’art. 117, quinto comma, Cost., per il caso di inadempienza delle Regioni in materia di attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea.

Ad avviso della Regione Umbria, i profili di illegittimità censurati non verrebbero meno per il fatto che la legge di conversione n. 55 del 2002 ha limitato la vigenza della disciplina “fino alla determinazione dei principi fondamentali della materia in attuazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., e comunque non oltre il 31 dicembre 2003”. Si tratterebbe infatti di una vera e propria “sospensione” della potestà legislativa regionale con conseguente inversione dell’ordine delle competenze costituzionalmente garantite. Da questo punto di vista, la legge impugnata contrasterebbe anche con quanto stabilito dalla recente sentenza n. 303 del 2003 di questa Corte, dal momento che le disposizioni censurate non sarebbero il frutto di un’intesa con le Regioni, né conterrebbero una disciplina di carattere suppletivo rispetto al successivo intervento regionale. D’altronde il limite temporale non potrebbe valere a rendere legittima la normativa censurata, in quanto nulla impedirebbe al Governo di disporre con altro decreto-legge una o più proroghe al termine inizialmente fissato.

Anche la previsione della preventiva intesa per la determinazione delle opere da considerarsi di pubblica utilità ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 7 del 2002 non rappresenterebbe un effettivo coinvolgimento delle Regioni. Infatti, la determinazione delle opere da considerarsi di pubblica utilità, sarebbe “compiuta direttamente dal legislatore statale”, potendo le Regioni, in sede di intesa, manifestare il proprio assenso o dissenso alla disciplina normativa, mentre sarebbe loro preclusa “ogni valutazione reale circa la portata degli interessi dello Stato alla attrazione delle competenze”.

Infine, la Regione Umbria dà conto della emanazione, nelle more del giudizio, del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 25 (Disposizioni urgenti in materia di oneri generali del sistema elettrico e di realizzazione, potenziamento, utilizzazione e ambientalizzazione di impianti termoelettrici), convertito nella legge 17 aprile 2003, n. 83 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 25, recante disposizioni urgenti in materia di oneri generali del sistema elettrico. Sanatoria degli effetti del decreto-legge 23 dicembre 2002, n. 281), che modifica talune disposizioni della normativa oggetto del giudizio, dichiarando prioritari alcuni progetti di cui al d.l. n. 7 del 2002 ai fini della valutazione di impatto ambientale (art. 3, comma 1), prorogando il termine per l’espletamento della VIA (art. 3, comma 2), disponendo che l’elenco dei progetti prioritari è approvato con decreto dei Ministri per le attività produttive e dell’ambiente (art. 3, comma 4).

Dichiara la Regione di non aver ritenuto necessaria l’impugnazione di tali disposizioni, che violerebbero gli artt. 117, 118 e 120 Cost., trattandosi di norme strettamente connesse ed in rapporto di coordinazione con le disposizioni censurate, la cui illegittimità costituzionale potrebbe essere pronunciata dalla Corte in via consequenziale ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

8. – In prossimità dell’udienza la Regione Toscana ha depositato una memoria, nella quale contesta le deduzioni esposte dall’Avvocatura dello Stato.

In particolare, la ricorrente ritiene che la normativa impugnata attenga ad una materia attribuita alla potestà legislativa esclusiva dello Stato: anzitutto, non sarebbe pertinente il richiamo alla “sicurezza” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., come sarebbe dimostrato dalla giurisprudenza di questa Corte , secondo la quale tale espressione dovrebbe essere interpretata come inerente alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico.

Del pari infondato sarebbe il richiamo alla lettera m) del secondo comma dell’art. 117 Cost., in quanto, come affermato dalla giurisprudenza costituzionale, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni non sarebbe una materia, ma una competenza del legislatore statale di dettare norme aventi ad oggetto la fissazione di un livello minimo di soddisfacimento di diritti civili e sociali. La legge censurata non fisserebbe standard minimi, ma allocherebbe in capo allo Stato funzioni amministrative preordinate al rilascio degli atti autorizzativi necessari per la costruzione e l’esercizio degli impianti.

La disciplina censurata non sarebbe riconducibile neppure al settore della “tutela della concorrenza”, non contenendo né norme volte a garantire le imprese da intese restrittive, abuso di posizioni dominanti ed operazioni di concentrazione, né forme di promozione della concorrenza. Essa quindi rientrerebbe nell’ambito della materia della “produzione di energia” attribuita alla potestà legislativa concorrente delle Regioni.

Il sovvertimento delle competenze regionali, operato dalle disposizioni censurate, secondo la Regione Toscana, non sarebbe giustificato dall’esigenza di evitare il pericolo di interruzione dell’energia elettrica, dal momento che, dopo 19 mesi di vigenza della normativa, si sarebbe per la prima volta verificata un’interruzione di energia senza precedenti. Ciò evidenzierebbe come l’attrazione allo Stato delle competenze regionali non potrebbe giustificarsi nemmeno in forza del principio di sussidiarietà, dal momento che l’assunzione di tali competenze non ha evitato il pericolo di interruzione dell’erogazione di energia, che costituiva l’elemento giustificativo dell’intervento statale e della deroga all’art. 117 Cost.

9. – Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza l’Avvocatura dello Stato contesta innanzitutto la possibilità da parte delle Regioni di impugnare una legge di conversione di un decreto-legge per violazione dei presupposti di necessità e urgenza, osservando come i limiti del potere di impugnativa regionale non sarebbero cambiati a seguito delle modifiche costituzionali, anche secondo quanto affermato dalla Corte nella sentenza n. 274 del 2003.

Inoltre, ad avviso della difesa erariale, i vizi del decreto-legge sarebbero sanati definitivamente quando la legge di conversione abbia assunto come propri i contenuti e gli effetti della disciplina adottata.

Quanto ai contenuti della legge impugnata, l’Avvocatura ribadisce che la materia dell’energia rientrerebbe nella legislazione esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere h) ed m), Cost., in quanto l’efficienza del sistema elettrico nazionale atterrebbe alla sicurezza e all’ordine pubblico, poiché interruzioni dell’erogazione di energia determinerebbero l’impossibilità di provvedere alle esigenze fondamentali, con danni al patrimonio e all’integrità fisica, come reso evidente dai recenti avvenimenti.

Inoltre, la continuità della fornitura di energia elettrica garantirebbe i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, dal momento che essa sarebbe necessaria per l’esercizio dei servizi pubblici e per consentire di fronteggiare le fondamentali esigenze di vita.

Anche a voler ritenere, come fanno le ricorrenti, che la materia rientri tra quelle attribuite alla legislazione concorrente regionale, principio fondamentale sarebbe quello sancito dall’art. 1 del d.lgs. n. 79 del 1999, che attribuisce allo Stato il compito di assicurare l’efficienza e la sicurezza del sistema elettrico nazionale.

Le disposizioni censurate sarebbero inoltre conformi all’art. 118 Cost., in quanto solo un organo a competenza nazionale potrebbe intervenire su un sistema complesso per la cui sicurezza sono necessari interventi in tempi brevissimi che non consentono di operare in forme collegiali. La Corte, nella recente sentenza n. 307 del 2003, avrebbe messo in evidenza come, quando è disposta la realizzazione di impianti e reti rispondenti a rilevanti interessi nazionali, sussista il preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee. Anche nel caso in esame, l’interesse nazionale si imporrebbe, venendo in considerazione sistemi volti alla produzione di energia su tutto il territorio nazionale e la cui distribuzione è effettuata tramite una rete.

Quanto alla previsione di un limite di efficacia alla normativa d’urgenza, limite introdotto dalla stessa legge censurata, tale limite sarebbe giustificato sia al fine di evitare contrasti con le Regioni, sia in quanto, una volta realizzata la finalità di rafforzamento del sistema elettrico, verrebbero meno le ragioni poste a base dell’intervento normativo statale.

Per quanto attiene alle singole disposizioni contenute negli atti normativi impugnati, la difesa erariale sostiene che la previsione, contenuta nell’art. 1, comma 1, del d.l. convertito, di un’unica autorizzazione per le opere indispensabili all’esercizio degli impianti di energia elettrica, rilasciata dal Ministro delle attività produttive, si giustificherebbe, in conformità con il principio di sussidiarietà, per il carattere di sistema a rete che assume il complesso degli impianti di produzione e degli elettrodotti, il quale determinerebbe la necessità dell’attribuzione allo Stato delle funzioni amministrative corrispondenti.

In relazione al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica (art. 1, comma 2, del d.l. convertito), gli interessi regionali risulterebbero ampiamente garantiti attraverso la previsione della partecipazione delle amministrazioni locali interessate e dell’intesa con la Regione.

L’altra norma, contenuta nel comma 3, che contempla il parere motivato del comune o della provincia nel cui territorio ricada l’intervento, riconoscendo all’autorizzazione il valore di variante urbanistica, non concreterebbe una lesione delle competenze regionali, ma costituirebbe applicazione dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza di cui all’art. 118 Cost. Nonostante ciò, non sarebbero stati trascurati gli interessi degli enti territoriali, che sono chiamati ad esprimere un motivato parere e le cui eventuali ragioni di dissenso devono essere valutate dall’organo centrale, con la conseguente possibilità che gli enti locali insoddisfatti si rivolgano al giudice amministrativo.

Anche la previsione di un termine di sei mesi per la chiusura del procedimento sarebbe ragionevole, in considerazione delle esigenze di speditezza.

Quanto alla censura concernente la previsione contenuta nel comma 5 dell’art. 1 del d.l. convertito, la difesa erariale sostiene che essa sarebbe inammissibile, in quanto non sarebbero stati indicati i parametri violati, e comunque infondata, riferendosi solo a norme statali. La Regione, infatti, non avrebbe posizioni costituzionalmente garantite a mantenere l’efficacia di una normativa non sua.

L’Avvocatura sostiene l’infondatezza anche della presunta violazione dell’art. 120 Cost., non costituendo le norme censurate esercizio di potere sostitutivo.

Infondata sarebbe, da ultimo, anche la censura concernente la violazione del principio di leale collaborazione. La mancanza di una disciplina specifica dell’intesa Stato-Regioni significherebbe unicamente che il ruolo da riconoscere ad essa sarebbe quello che emerge dalla norma, mentre i rimedi per il suo mancato raggiungimento sarebbero quelli ordinari.

Considerato in diritto

1. – La Regione Umbria ha impugnato il decreto legge 7 febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., in quanto emanato in assenza delle condizioni di straordinaria necessità ed urgenza, dal momento che la situazione addotta a fondamento della sussistenza di tali requisiti non sarebbe basata su dati oggettivi, nonché per violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost., in quanto – ove si individuasse nel decreto-legge impugnato una manifestazione del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni – ne mancherebbero i presupposti e le forme da tale disposizione previsti. La ricorrente, inoltre, ha impugnato il suddetto decreto-legge per violazione dell’art. 117, primo comma, secondo comma lettera m), e terzo comma, Cost., in quanto detterebbe una disciplina di dettaglio in una materia assegnata alla potestà legislativa concorrente delle Regioni quale quella relativa a “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”; sarebbe violato, altresì, l’art. 118, primo e secondo comma, Cost., in quanto il decreto-legge impugnato attribuirebbe nella suddetta materia un potere autorizzatorio allo Stato, riconoscendo quindi “una competenza amministrativa generale e di tipo gestionale” all’amministrazione statale in assenza di esigenze di carattere unitario.

In subordine, e più specificamente, la Regione ha impugnato l’art. 1, commi 1, 2, 3 e 5, del d.l. n. 7 del 2002, per violazione dell’art. 117, primo e terzo comma, Cost., nonché dell’art. 118, primo e secondo comma, Cost.; l’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5, è stato impugnato, infine, per violazione dell’art. 97, primo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione.

Con successivo ricorso, la Regione Umbria ha impugnato la legge 9 aprile 2002, n. 55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), per violazione sia dell’art. 77, secondo comma, Cost., sia dell’art. 120, secondo comma, Cost., perché avrebbe convertito in legge un decreto-legge in assenza dei presupposti di necessità e di urgenza, e, comunque, in quanto non riconducibile ai poteri governativi di tipo sostitutivo. Inoltre, la legge sarebbe censurabile per violazione dell’art. 117, primo, secondo lettera m), e terzo comma, Cost.

In via subordinata, la Regione ha impugnato la legge n. 55 del 2002 per le parti in cui ha modificato le disposizioni del d.l. n. 7 del 2002, nonché per le parti di quest’ultimo già impugnate con il precedente ricorso e convertite senza modificazioni – riproponendo le medesime censure – per violazione dell’art. 117, primo e terzo comma, Cost., dell’art. 118, primo e secondo comma, Cost., nonché dell’art. 97, primo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione.

2. – Anche le Regioni Basilicata e Toscana hanno impugnato la legge n. 55 del 2002, nella parte in cui disciplina un procedimento unico per il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto interferirebbe con norme di dettaglio in materie di competenza legislativa ripartita delle Regioni, nonché dell’art. 118 Cost., in quanto l’attribuzione allo Stato della funzione amministrativa di rilascio dell’autorizzazione si porrebbe in contrasto con i criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, violando altresì la potestà delle Regioni di disciplinare le procedure di svolgimento delle funzioni nelle materie di competenza legislativa ripartita.

La Regione Basilicata e Toscana impugnano la legge n. 55 del 2002 anche nella parte in cui prevede che l’autorizzazione unica abbia effetto di variante urbanistica, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto violerebbe la potestà legislativa regionale in materia di “governo del territorio”.

3. – Data la sostanziale identità delle censure prospettate, i quattro ricorsi possono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con unica sentenza.

I ricorsi in esame non sono fondati.

In via preliminare, occorre affrontare la questione di legittimità costituzionale posta dalla Regione Umbria sul decreto-legge n. 7 del 2002, in relazione alla lamentata carenza dei presupposti contemplati nell’art. 77 Cost.

Quanto alla deducibilità di tale vizio da parte delle Regioni in occasione della promozione della questione di legittimità costituzionale in via diretta, la recente giurisprudenza di questa Corte ha affermato la perdurante distinzione – anche dopo la riforma costituzionale del Titolo V – dei parametri invocabili da Stato e Regioni, rispettivamente nei riguardi di leggi regionali o di leggi od atti con forza di legge statali (sentenza n. 274 del 2003), al tempo stesso confermando che le Regioni possono contestare l’esistenza dei presupposti costituzionali degli atti con forza di legge “quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni o delle Province autonome ricorrenti” (sentenza n. 303 del 2003). D’altra parte, fin dalla sentenza n. 302 del 1988, questa Corte ha espressamente riconosciuto che le Regioni possono impugnare un decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione dell’art. 77 Cost., ove adducano che da tale violazione derivi una compressione delle loro competenze costituzionali.

Peraltro, diversamente da come asserisce la Regione ricorrente, un decreto-legge può di per sé costituire legittimo esercizio dei poteri legislativi che la Costituzione affida alla competenza statale, ivi compresa anche la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost.

I rilievi sollevati dalla Regione Umbria relativamente alla mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza del d.l. n. 7 del 2002, atto sicuramente incidente sui poteri regionali in materia, sono infondati; se la giurisprudenza di questa Corte sul punto ha più volte affermato che il sindacato sull’esistenza e sull’adeguatezza dei presupposti della decretazione d’urgenza può essere esercitato solo in caso di loro “evidente mancanza” (fra le molte, si vedano le sentenze n. 16 del 2002, n. 398 del 1998, n. 330 del 1996), non può disconoscersi che, nel caso del d.l. impugnato, a fondamento dell’intervento normativo del Governo si pone una situazione nella quale, in assenza di un effettivo e rapido rafforzamento delle strutture di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica, si possono produrre serie situazioni di difficoltà o addirittura interruzioni più o meno estese della fornitura di energia, con conseguenti gravi danni sociali ed economici. Ciò al di là dell’enfasi del primo comma dell’art. 1 del d.l. in questione (nel testo originario), che faceva riferimento all’“imminente pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale” (formula, non a caso, corretta in semplice “pericolo di interruzione” dalla legge di conversione n. 55 del 2002).

La sicura esistenza di elementi di fatto contrari all’“evidente mancanza” dei requisiti di urgenza del d.l. n. 7 del 2002 rende inutile la valutazione degli eventuali effetti sananti prodotti dalla legge n. 55 del 2002 di conversione di tale decreto.

4. – Quanto appena affermato rende altresì inutile l’esame dell’ulteriore rilievo prospettato dalla Regione Umbria circa il fatto che il d.l. impugnato non avrebbe potuto neppure trovare giustificazione negli speciali poteri sostitutivi attribuiti al Governo dall’art. 120, secondo comma, Cost., di recente specificati dall’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), dal momento che – come ha anche notato l’Avvocatura dello Stato – non vi sono elementi formali o sostanziali per considerare il d.l. n. 7 del 2002 come atto adottato su questa base giuridica.

5. –Possono quindi essere affrontate le censure mosse dalle Regioni ricorrenti sulla legittimità costituzionale delle disposizioni del d.l. n. 7 del 2002 e della legge di conversione n. 55 del 2002, in relazione alla asserita violazione dell’art. 117 Cost.

Al riguardo, appare decisiva la ricostruzione di quale sia – al di là della stessa volontà del legislatore statale, quale deducibile dai lavori preparatori, o delle ricostruzioni suggerite dall’Avvocatura dello Stato – l’oggettivo fondamento costituzionale degli atti impugnati.

Il testo originario del d.l., mentre non fa alcun riferimento alle disposizioni costituzionali, sembra indicare il proprio fondamento nel ruolo riconosciuto al Ministero delle attività produttive dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), di organo nazionale preposto “alla sicurezza ed all’economicità del sistema elettrico nazionale”.

Solo la legge di conversione introduce alcuni riferimenti diretti ed indiretti alle disposizioni costituzionali e, in particolare, fa riferimento al fatto che la nuova disciplina resterebbe in vigore “sino alla determinazione dei principi fondamentali della materia in attuazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e comunque non oltre il 31 dicembre 2003” (art. 1, comma 1, del d.l. n. 7 del 2002 nel testo modificato).

L’Avvocatura dello Stato ha, reiteratamente sostenuto, che la disciplina contenuta negli atti impugnati rientrerebbe negli ambiti di competenza legislativa esclusiva dello Stato relativi a “sicurezza” (art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.] e “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” [art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.]; l’Avvocatura, inoltre, ha sostenuto che queste norme inciderebbero anche nella materia della “tutela della concorrenza”, anch’essa affidata alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.). Peraltro, sempre secondo la difesa erariale, la disciplina impugnata sarebbe destinata a restare solo temporaneamente in vigore, poiché, successivamente al superamento della fase di carenza produttiva, si eserciterebbe liberamente la legislazione concorrente delle Regioni in tema di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”.

Tali argomenti non possono essere condivisi.

Deve anzitutto negarsi che il concetto di “sicurezza” utilizzato nella legislazione sull’energia come “sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica” e “sicurezza tecnica” (cfr. art. 2, n. 28, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2003/54/CE del 26 giugno 2003 relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE) possa essere confuso con la materia “ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale”, di cui alla lettera h) del secondo comma dell’art. 117 Cost., che già questa Corte ha interpretato come riferibile esclusivamente agli interventi finalizzati alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico (sentenza n. 407 del 2002). Tanto meno appare condivisibile l’opinione che i possibili effetti in termini di ordine pubblico del cattivo funzionamento del settore energetico potrebbero giustificare limiti preventivi ai poteri regionali, dal momento che – semmai – il verificarsi di situazioni di fatto di questo tipo potrebbe eventualmente legittimare l’attivazione degli speciali poteri sostitutivi del Governo sulla base di quel “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica” che è presupposto espressamente contemplato dall’art. 120, secondo comma, Cost. Analogamente è da dirsi per la pretesa riconduzione della normativa impugnata alla competenza legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.: come questa Corte ha già affermato (cfr. le sentenze n. 88 del 2003 e n. 282 del 2002), tale competenza legittima una eventuale predeterminazione legislativa dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, ciò che nella specie non è intervenuto. La stessa utilizzazione di questi livelli essenziali quale fondamento dell’esercizio dei poteri sostitutivi, ai sensi del secondo comma dell’art. 120 Cost., di norma presuppone che lo Stato abbia previamente esercitato la propria potestà legislativa di tipo esclusivo.

Tuttavia, né il d.l. n. 7 del 2002 né la legge di conversione n. 55 del 2002 hanno un contenuto normativo di questo tipo, ma semplicemente disciplinano un nuovo complesso procedimento amministrativo finalizzato a garantire la produzione e l’approvvigionamento dell’energia elettrica.

Identiche considerazioni possono essere svolte in riferimento alla pretesa che la legislazione impugnata possa essere riconducibile alla “tutela della concorrenza” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., dal momento che la disciplina in questione non è affatto caratterizzata dagli istituti e dalle procedure tipiche di questa particolare materia.

6. – La disciplina oggetto degli atti impugnati insiste indubbiamente nell’ambito della materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, espressamente contemplata dall’art. 117, terzo comma, Cost. tra le materie affidate alla potestà legislativa concorrente delle Regioni. Secondo le ricorrenti, il legislatore statale avrebbe invaso la competenza regionale, in quanto non si sarebbe limitato a stabilire i principi fondamentali della materia, disciplinando invece, in termini analitici, il procedimento di rilascio dell’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica.

In effetti, è incontestabile che la disciplina impugnata non contiene principi fondamentali volti a guidare il legislatore regionale nell’esercizio delle proprie attribuzioni, ma norme di dettaglio autoapplicative e intrinsecamente non suscettibili di essere sostituite dalle Regioni. Tuttavia, occorre considerare che il problema della competenza legislativa dello Stato non può essere risolto esclusivamente alla luce dell’art. 117 Cost. E’ infatti indispensabile una ricostruzione che tenga conto dell’esercizio del potere legislativo di allocazione delle funzioni amministrative secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell’art. 118 Cost., conformemente a quanto già questa Corte ha ritenuto possibile nel nuovo assetto costituzionale (cfr. sentenza 303 del 2003).

In questa logica, il d.l. n. 7 del 2002 e la sua legge di conversione n. 55 del 2002, pur senza negare il vigente ordinamento costituzionale ed in particolare l’attribuzione di potestà legislativa di tipo concorrente alle Regioni in tema di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, hanno ridefinito in modo unitario ed a livello nazionale i procedimenti di modifica o ripotenziamento dei maggiori impianti di produzione dell’energia elettrica, in base all’evidente presupposto della necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative.

Conseguentemente, per giudicare della legittimità costituzionale della normativa impugnata, è necessario non già considerarne la conformità rispetto all’art. 117 Cost., bensì valutarne la rispondenza da un lato ai criteri indicati dall’art. 118 Cost. per la allocazione e la disciplina delle funzioni amministrative (parametro quest’ultimo del resto esplicitamente invocato dalle Regioni ricorrenti), dall’altro al principio di leale collaborazione, così come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare nella richiamata sentenza n. 303 del 2003.

Quanto appena affermato rende evidente l’infondatezza delle censure concernenti la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nonché di quelle relative alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), formulate dalla Regione Umbria.

Quanto invece alla lamentata violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al limite costituzionale – al di là della mancanza di qualsivoglia motivazione al riguardo nel ricorso della Regione Umbria – deve comunque notarsi che la deduzione del mancato rispetto del limite costituzionale in tale disposizione previsto non può costituire autonomo motivo di censura, risultando inevitabilmente collegato alla violazione di ulteriori e specifiche norme costituzionali.

7. – E’ possibile a questo punto passare all’esame delle censure prospettate dalle Regioni ricorrenti in relazione alla asserita violazione dell’art. 118 Cost.

La qualificazione della normativa in esame come espressiva di una scelta del legislatore statale di considerare necessario il conferimento allo Stato della responsabilità amministrativa unitaria in materia, “sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” di cui all’art. 118, primo comma, Cost., deve superare la preliminare obiezione delle Regioni ricorrenti sulla idoneità della fonte statale a compiere questa scelta anche là dove le norme costituzionali affidano solo limitati poteri legislativi allo Stato, come appunto nel caso delle materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost.

Il superamento di questa obiezione appare agevole se si considera che la valutazione della necessità del conferimento di una funzione amministrativa ad un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere necessariamente effettuata dall’organo legislativo corrispondente almeno al livello territoriale interessato e non certo da un organo legislativo operante ad un livello territoriale inferiore (come sarebbe un Consiglio regionale in relazione ad una funzione da affidare – per l’esercizio unitario – al livello nazionale).

Questa scelta legislativa che trova sicuro, seppur implicito, fondamento costituzionale nell’art. 118 Cost., in relazione al principio di legalità, deve giustificarsi in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; questi ultimi, tuttavia, non possono trasformarsi – come questa Corte ha affermato nella sentenza n. 303 del 2003 – “in mere formule verbali capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente stabilito, perché ciò equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione”.

Proprio per la rilevanza dei valori coinvolti, questa Corte ha quindi affermato, nella medesima sentenza, che una deroga al riparto operato dall’art. 117 Cost. può essere giustificata “solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata”.

In altri termini, perché nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è necessario che essa innanzi tutto rispetti i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni. E’ necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine. Da ultimo, essa deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali. Quindi, con riferimento a quest’ultimo profilo, nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi – anche solo nei limiti di quanto previsto dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – la legislazione statale di questo tipo “può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà” (sentenza n. 303 del 2003).

Se si applicano i menzionati criteri alla normativa oggetto del presente giudizio, si rileva anzitutto la necessarietà dell’intervento dell’amministrazione statale in relazione al raggiungimento del fine di evitare il “pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale” (art. 1 del d.l. n. 7 del 2002); non v’è dubbio, infatti, che alle singole amministrazioni regionali – che si volessero attributarie delle potestà autorizzatorie contemplate dalla disciplina impugnata – sfuggirebbe la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia elettrica e l’autonoma capacità di assicurare il soddisfacimento di tale fabbisogno. In relazione agli altri criteri, d’altra parte, non si può non riconoscere da un lato la specifica pertinenza della normativa oggetto del presente giudizio in relazione alla regolazione delle funzioni amministrative in questione, dall’altro che tale normativa si è limitata – nell’esercizio della discrezionalità del legislatore – a regolare queste ultime in funzione del solo fine di sveltire le procedure autorizzatorie necessarie alla costruzione o al ripotenziamento di impianti di energia elettrica di particolare rilievo.

Resta da valutare il rispetto dell’ultimo criterio indicato, in relazione alla necessaria previsione di idonee forme di intesa e collaborazione tra il livello statale e i livelli regionali.

Da quest’ultimo punto di vista devono considerarsi adeguati i due distinti livelli di partecipazione delle Regioni disciplinati nel d.l. n. 7 del 2002, quale convertito dalla legge n. 55 del 2002: per il primo comma dell’art. 1, quale opportunamente modificato in sede di conversione, la determinazione dell’elenco degli impianti di energia elettrica che sono oggetto di questi speciali procedimenti viene effettuata “previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano”; per il secondo comma dell’art. 1, l’autorizzazione ministeriale per il singolo impianto “è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, d’intesa con la Regione interessata”. Appare evidente che quest’ultima va considerata come un’intesa “forte”, nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento –come, del resto, ha riconosciuto anche l’Avvocatura dello Stato – a causa del particolarissimo impatto che una struttura produttiva di questo tipo ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al governo del territorio, alla tutela della salute, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, al turismo, etc.

I due distinti livelli di partecipazione – dell’insieme delle Regioni nel primo caso e della Regione direttamente interessata nel secondo – realizzano quindi, ove correttamente intesi ed applicati dalle diverse parti interessate, sufficienti modalità collaborative e di garanzia degli interessi delle istituzioni regionali i cui poteri sono stati parzialmente ridotti dall’attribuzione allo Stato dell’esercizio unitario delle funzioni disciplinate negli atti impugnati. Né mancano, ovviamente, strumenti di tutela contro eventuali prassi applicative che non risultassero in concreto rispettose della doverosa leale collaborazione fra Stato e Regioni.

L’insieme di tali considerazioni evidenzia quindi l’infondatezza dei rilievi delle Regioni ricorrenti relativamente alla pretesa violazione dell’art. 118 Cost., sia in riferimento ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, sia per quel che concerne la fonte statale utilizzata.

8. – Devono ora essere affrontate le censure sollevate dalle ricorrenti in relazione a specifiche disposizioni degli atti normativi oggetto del presente giudizio.

In particolare, alcuni di tali rilievi di costituzionalità riguardano la pretesa illegittima compressione dei poteri amministrativi e rappresentativi degli enti locali interessati, alla luce degli articoli 117 e 118 Cost.: più specificamente, si nega, da parte delle Regioni ricorrenti, che l’autorizzazione unica possa legittimamente essere configurata come sostitutiva di ogni altra autorizzazione di competenza degli enti locali e come modificativa degli strumenti urbanistici o del piano regolatore portuale, in quanto ciò sarebbe incompatibile con le competenze legislative regionali in materia di “governo del territorio”, nonché con le funzioni amministrative che sarebbero riconosciute dall’art. 118 Cost. a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

Tali censure non sono fondate.

Quanto alla pretesa violazione dell’art. 117 della Costituzione, in questa sede ci si può limitare a richiamare le considerazioni svolte più sopra. La disciplina impugnata, infatti, concerne la allocazione e la regolazione di funzioni amministrative (in una materia affidata alla legislazione concorrente) e conseguentemente è nell’art. 118 della Costituzione e nei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che deve trovare il proprio decisivo parametro di giudizio, secondo quanto esposto in precedenza.

L’infondatezza dei rilievi concernenti la lamentata violazione dell’art. 118 Cost., a sua volta, deriva proprio dalla necessaria unitarietà dell’esercizio delle funzioni amministrative che, come evidenziato, sta alla base della scelta del legislatore statale di introdurre eccezioni alla normale attribuzione delle funzioni amministrative al livello comunale prevista dall’art. 118, primo comma, Cost.

La eccezionale compressione delle competenze delle amministrazioni regionali e locali determinata dalla normativa in esame non può dunque ritenersi costituzionalmente illegittima. Ciò va affermato innanzi tutto in quanto, ragionando diversamente, la stessa finalità per la quale tale disciplina è stata posta in essere verrebbe frustrata da un assetto delle competenze amministrative diverso da quello da essa stabilito, anche in considerazione della necessaria celerità con cui – al fine di evitare il pericolo della interruzione della fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale – le funzioni amministrative concernenti la costruzione o il ripotenziamento di impianti di energia elettrica di particolare rilievo devono essere svolte.

In secondo luogo, non possono non assumere decisivo rilievo le conclusioni alle quali si è giunti in precedenza, dal momento che proprio il necessario coinvolgimento delle Regioni di volta in volta interessate mediante quello strumento particolarmente efficace costituito dall’intesa, assicura una adeguata partecipazione di queste ultime allo svolgimento del procedimento incidente sulle molteplici competenze delle amministrazioni regionali e locali.

D’altra parte, anche la legislazione preesistente conosce numerose fattispecie nelle quali alcuni atti espressivi delle scelte urbanistiche dei Comuni cedono dinanzi agli atti finali dei procedimenti adeguatamente partecipati di determinazione dei lavori pubblici di interesse generale (con specifico riferimento alle centrali elettriche, si veda l’art. 12 dello stesso allegato IV, recante <>, del d.P.C.m. 27 dicembre 1988, la cui efficacia è stata sospesa appunto dall’art. 1 del d.l. n. 7 del 2002; e la stessa giurisprudenza di questa Corte si è espressa nel senso di non rilevare violazione dei principi costituzionali in casi analoghi (cfr., ad esempio, sentenza n. 308 del 2003 e sentenza n. 21 del 1991).

9. – Deve essere affrontata, inoltre, la specifica censura prospettata dalla Regione Umbria, secondo la quale il rinvio contenuto nell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 7 del 2002, convertito dalla legge n. 55 del 2002, ad un “procedimento unico al quale partecipano le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ed integrazioni, d’intesa con la regione interessata” violerebbe l’art. 97, primo comma, Cost. ed il principio di leale collaborazione; ciò perché questo procedimento, nel quale non sono previsti precisi tempi e modalità di partecipazione delle amministrazioni interessate, non sarebbe idoneo a garantire la adeguata ponderazione di tutti gli interessi in gioco né, conseguentemente, sarebbe “sufficiente a garantire il rilievo degli interessi della comunità regionale”.

Per ciò che riguarda la pretesa violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., deve essere osservato, innanzi tutto, che la normativa impugnata in realtà disciplina un particolare procedimento amministrativo, il quale deve esaurirsi entro centoottanta giorni e deve culminare in un’autorizzazione unica, con anche una speciale accelerazione per la procedura di valutazione di impatto ambientale prevista dal comma 3 dell’art. 1 del decreto impugnato (nel testo risultante dalla conversione in legge) ulteriormente modificato dall’art. 3 del d.l. 18 febbraio 2003, n. 25 (Disposizioni urgenti in materia di oneri generali del sistema elettrico e di realizzazione, potenziamento, utilizzazione e ambientalizzazione di impianti termoelettrici), convertito nella legge 17 aprile 2003, n. 83 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 25, recante disposizioni urgenti in materia di oneri generali del sistema elettrico. Sanatoria degli effetti del decreto-legge 23 dicembre 2002, n. 281).

Sulla base delle considerazioni già svolte, deve essere evidenziato che, nel caso di specie, il giudizio sul rispetto del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, primo comma, Cost., fa tutt’uno con il giudizio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, dal momento che la scelta concernente la allocazione al livello centrale delle funzioni amministrative si giustifica proprio in relazione alla necessità di garantirne una più adeguata ed efficiente esplicazione. Di talché, lo scrutinio concernente la compatibilità della disciplina impugnata con i principi di cui all’art. 118, primo comma, Cost., conduce a ritenere infondati anche i rilievi sulla pretesa violazione dell’art. 97, primo comma, Cost.

D’altra parte, non solo lo stesso d.l. impugnato introduce – come già visto – la necessità del conseguimento di un’intesa “forte” con la Regione interessata, ma inoltre la legge n. 55 del 2002 ha modificato il comma 3 dell’art. 1, prescrivendo che “è fatto obbligo di richiedere il parere motivato del comune e della provincia nel cui territorio ricadono le opere” (seppure nel rispetto del limite temporale complessivo per la fase istruttoria). Tali prescrizioni – il cui rispetto naturalmente potrà essere garantito nelle competenti sedi giurisdizionali – assicurano indubbiamente un sufficiente coinvolgimento degli enti locali, in relazione agli interessi di cui siano portatori ed alle funzioni loro affidate.

Quanto appena affermato rende evidente, peraltro, anche l’infondatezza della censura concernente la pretesa violazione del principio di leale collaborazione.

10. – Da ultimo, vanno prese in considerazione le censure proposte dalle tre Regioni ricorrenti avverso il comma 1 dell’art. 1 del d.l. n. 7 del 2002, come modificato dalla legge di conversione, per violazione dell’art. 117 Cost., nella parte in cui prevede che la speciale disciplina si applichi “sino alla determinazione dei principi fondamentali della materia in attuazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e comunque non oltre il 31 dicembre 2003”, nonché la censura specificamente prospettata dalla sola Regione Umbria avverso il comma 5 dell’art. 1 del medesimo decreto-legge, nella parte in cui prevede la sospensione dell’efficacia dell’allegato IV al d.P.C.m. 27 dicembre 1988 e del d.P.R. 11 febbraio 1998, n. 53, per violazione degli articoli 117 e 118 Cost.

In particolare, la prima di tali disposizioni è stata contestata da parte delle ricorrenti, che vi hanno letto la volontà di sospendere temporaneamente l’esercizio della potestà legislativa regionale in una materia di legislazione concorrente, addirittura vincolandola alla previa adozione di una normativa di cornice statale, nonostante i principi fondamentali possano essere fin da ora dedotti in via interpretativa dall’attuale legislazione. Se peraltro si considera che lo stesso originario testo del d.l. n. 7 del 2002, nella seconda delle disposizioni qui esaminate (art. 1, comma 5), sospende proprio “fino al 31 dicembre 2003” l’efficacia di tutta una serie di norme primarie e secondarie dello Stato che disciplinano appunto le procedure che il d.l. evidentemente si riprometteva di sveltire ulteriormente attraverso la unificazione e concentrazione dei diversi procedimenti, la (certo non felice) formula legislativa introdotta nel primo comma dell’art. 1 del d.l. ad opera della legge di conversione deve essere interpretata, in coerenza con il quadro costituzionale, come finalizzata semplicemente a ribadire la provvisorietà della soluzione procedimentale configurata dal d.l., in una situazione di urgente necessità che aveva comportato la contestuale sospensione dell’efficacia della normazione previgente e dei relativi principi.

Da questo punto di vista, infondati appaiono i rilievi mossi dalle ricorrenti al primo comma dell’art. 1, così come infondati sono quelli rivolti dalla Regione Umbria alla disciplina di cui al quinto comma del medesimo articolo, dal momento che ogni esercizio di potere legislativo da parte dello Stato comporta inevitabilmente o l’abrogazione o la sospensione dell’efficacia della legislazione statale previgente.

Le successive vicende legislative, culminate con l’adozione dell’art. 1-sexies, comma 8, della recentissima legge 27 ottobre 2003, n. 290 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, recante disposizioni urgenti per la sicurezza del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica. Deleghe al Governo in materia di remunerazione della capacità produttiva di energia elettrica e di espropriazione per pubblica utilità), sembrano evidenziare, seppur con una formula non del tutto chiara (“Per la costruzione e l’esercizio di impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici si applicano le disposizioni del decreto-legge 7 febbraio del 2002, n. 7, convertito, con modificazioni dalla legge 9 aprile 2002, n. 55”), la volontà del legislatore nazionale di stabilizzare definitivamente la soluzione, che era invece solo transitoria, del d.l. n. 7 del 2002 e della legge di conversione n. 55 del 2002.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Umbria avverso il decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale) e avverso il decreto-legge n. 7 del 2002, così come convertito dalla legge 9 aprile 2002, n. 55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), per violazione degli artt. 77, secondo comma, 120, secondo comma, 117, primo comma, secondo comma lettera m), e terzo comma, 118, primo e secondo comma, Cost., con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle Regioni Basilicata e Toscana avverso il decreto-legge n. 7 del 2002, così come convertito dalla legge 9 aprile 2002, n. 55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), per violazione degli articoli 117, terzo comma e 118 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Umbria avverso l’art. 1, commi 1, 2, 3 e 5 del predetto decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, nonché dello stesso decreto-legge n. 7 del 2002, così come convertito dalla legge 9 aprile 2002 n. 55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), per violazione degli artt. 117, primo comma e terzo comma, 118, primo e secondo comma, Cost., con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Umbria avverso l’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 del predetto decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, nonché dello stesso decreto-legge n. 7 del 2002, così come convertito dalla legge 9 aprile 2002, n. 55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 recante – Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), per violazione dell’art. 97, primo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2004.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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