Cass. civ. Sez. V, Sent., 04-04-2012, n. 5412 Società

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In conseguenza della rettifica del valore di immobile venduto in attività d’impresa, il 10 marzo 2007, l’Agenzia delle Entrate notificò ad Edil Viola s.a.s. (ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25) avviso di accertamento Irap ed Iva per l’anno 2003, correlativamente applicando sanzioni ed interessi. Con avvisi di accertamento notificati rispettivamente il 13 marzo ed il 10 marzo 2007, l’Agenzia, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, imputò, quindi, ai due soci L.G. e R.A., la quota di maggior reddito corrispondente alla rispettiva partecipazione nella s.a.s..

In data 10 maggio 2007, società e soci proposero separati ricorsi avverso detti accertamenti e con successivi atti di "Integrazione del ricorso", depositati il successivo giorno 11, la società ed il socio R. dedussero l’irregolarità della notifica degli accertamenti nei confronti di ciascuno di loro emessi.

L’adita commissione provinciale, riuniti i ricorsi, dichiarò inammissibili, perchè tardivi, i ricorsi proposti dalla società e da R.A. (in quanto notificati il 10 maggio 2007 anzichè il 9 maggio, ultimo giorno utile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, in relazione ad accertamenti notificati il 10 marzo 2007) e respinse, nel merito, il ricorso proposto da L.G..

In esito agli appelli promossi da società e soci e previa relativa riunione, la decisione di primo grado fu confermata dalla commissione regionale.

In merito alle impugnative promosse da Edil Viola e da R. A., i giudici di appello ritennero, per quanto qui ancora rileva, che la notifica degli avvisi di accertamento era ritualmente avvenuta il 10 marzo 2007 (con consegna a mani del padre del legale rappresentante della società, che ne aveva tempestivamente curato la consegna agli interessati); che, peraltro, la questione dell’irregolarità della notifica non era stata proposta nel ricorso introduttivo del giudizio, bensì, inammissibilmente, con atto successivo e risultava, comunque, sanata per effetto della presentazione del ricorso.

In merito all’appello promosso da L.G., i giudici di appello evidenziarono, per quanto ancora rileva, che l’accertamento dell’Ufficio era legittimamente fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti, quali, tra le altre, le risultanze del riscontrato di mutuo all’uopo acceso dagli acquirenti e la circostanza che l’immobile veniva ceduto libero e non locato.

Avverso la sentenza di appello i contribuenti hanno proposto ricorso in due motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, i contribuenti – deducendo "violazione della L. 20 novembre 1982, n. 89, art. 7, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21; omessa e insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5)" – censurano la decisione impugnata per aver ritenuto tardivi i ricorsi della società e del socio R. nonostante la dedotta irregolarità delle notifiche degli avvisi di accertamento.

Il motivo va disatteso.

Esso si rivela, infatti, inammissibile non esaurendo compiutamente (v. Cass. n. 8386/10, in motivazione) la ratio della decisione impugnata, in particolare con riferimento all’affermazione in essa contenuta (decisiva in prospettiva di sanatoria di ogni eventuale vizio di notificazione degli atti) dell’avvenuto tempestivo trasferimento degli avvisi di accertamento dal consegnatario, stretto congiunto del legale rappresentante dalla società, ai destinatari.

La doglianza è, comunque, infondata.

In quanto prospettata solo con memoria integrativa, la deduzione del vizio di notificazione dell’accertamento è stato, infatti, correttamente ritenuto intempestiva dal giudice di appello. Invero, in tema di contenzioso tributario (quale riflesso della relativa natura impugnatoria), l’indagine sul rapporto tributario è rigorosamente circoscritta ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione, che il contribuente abbia specificamente dedotto nel ricorso introduttivo di primo grado, con l’unico temperamento, di cui nella fattispecie non ricorrono i presupposti, costituito dalla facoltà, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2 (cfr. Cass. 7766/06, 28680/05, 12147/04, 9745/03).

D’altro canto, vertendosi in tenia di denunzia di vizio di notificazione certamente non configurante ipotesi di inesistenza, nella specie ogni eventuale irritualità della notifica dell’accertamento deve, comunque, ritenersi sanata per effetto dell’avvenuta impugnazione (cfr. Cass. 10445/11, 15554/09).

Con il secondo motivo di ricorso, i contribuenti – deducendo "violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 (nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, convertito con modificazioni con L. 4 agosto 2006, n. 248); falsa applicazione delle stesse norme nel testo modificato dal citato D.L. n. 223 del 2006, art. 35; violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 3 e 10, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52 e D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 15 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)" – lamentano, in sostanza, l’applicazione retroattiva della sopravenuta norma di cui al D.L. n. 223 del 2006, art. 35 (sulla rettifica del corrispettivo delle cessioni d’immobili secondo il "valore normale", che si presume uguale all’importo del mutuo).

Il motivo va disatteso.

Esso è, infatti, inammissibile poichè non censura adeguatamente il contenuto nella sentenza impugnata in rapporto alle circostanze che hanno indotto il giudice di appello a ritenere fondata la rettifica (e, in particolare, i valori emergenti dal contratto di mutuo acceso per l’acquistare l’immobile ed il suo stato di immobile libero al rogito). Ed è, peraltro, infondato, posto che l’accertamento risulta coerentemente compiuto ai sensi della previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, scaturenti elementi certi relativi ad atti noti alla stessa contribuente.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto del ricorso.

Per la soccombenza, i contribuenti vanno condannati, in solido, alla refusione delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: rigetta il ricorso; condanna i contribuenti, in solido, alla refusione delle spese di causa, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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