Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-06-2011) 19-10-2011, n. 37897

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 9 novembre 2010 il Tribunale del riesame di Catanzaro, confermando il provvedimento emesso dal locale giudice per le indagini preliminari, ha disposto che E.B. rimanesse sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, quale indagato per concorso negli omicidi di A.N. e B.A. e nel tentato omicidio di A.L., nonchè per i connessi reati in materia di armi.

Ha ritenuto quel collegio che la gravità indiziaria risiedesse nelle propalazioni dei collaboratori di giustizia F.D., L.S. e O.L., ritenute intrinsecamente attendibili e riscontrantisi reciprocamente, oltre ad essere a loro volta riscontrate dagli accertamenti della polizia giudiziaria.

Quanto alle esigenze cautelari, ha ravvisato il pericolo di reiterazione dei reati in aggiunta alla presunzione di pericolosità dettata dall’art. 275 c.p.p., comma 3, reso applicabile dall’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite dei difensori, affidandolo a due motivi.

Col primo motivo il ricorrente rinnova l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaborante F. D., per la loro tardività rispetto al termine di 180 giorni di cui alla L. 15 marzo 1991, n. 82, art. 16 quater.

Col secondo motivo deduce carenza di motivazione in ordine all’attendibilità dei collaborantì, in ispecie del F. e dell’ O., in rapporto alla contraddittorietà delle dichiarazioni da loro rese in tempi diversi e alla fonte indiretta delle notizie riferite; nonchè in ordine alla eccepita inutilizzabilità del materiale captativo.

Motivi della decisione

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

A sostegno del primo motivo il ricorrente si è richiamato ad alcune enunciazioni giurisprudenziali che, in contrasto con quelle cui il Tribunale ha prestato adesione, avevano affermato l’inutilizzabilità, non solo nella fase dibattimentale, ma anche nell’ambito del procedimento cautelare, delle dichiarazioni rese dal collaborante oltre il termine di 180 giorni dall’inizio della collaborazione.

Senonchè il contrasto giurisprudenziale, all’interno del quale si era manifestato l’orientamento interpretativo evocato dal ricorrente, è stato in seguito composto dall’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte Suprema: le quali, con quattro sentenze conformi recanti i nn. 1149/09, 1150/09, 1151/09 e 1152/09, tutte deliberate in data 25 settembre 2008, hanno enunciato il principio secondo cui "le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare sono utilizzabili nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, oltre che nell’udienza preliminare e nel giudizio abbreviato". Alla stregua di tale deliberato dell’organo supremo di nomofilachia può ormai considerarsi ius receptum l’utilizzabilità nel giudizio cautelare delle dichiarazioni rese oltre la scadenza del predetto termine.

Il secondo motivo di ricorso, come già si è accennato in narrativa, è articolato in due distinte censure: l’una riferita a un denunciato vizio di motivazione in ordine alla valutazione degli elementi indiziari tratti dalle propalazioni dei collaboranti; l’altra appuntata sull’eccezione di inutilizzabilità delle conversazioni intercettate.

In ordine alla prima di tali censure occorre premettere che, attesi i limiti del sindacato esperibile nel giudizio di cassazione, possono venire in considerazione soltanto i temi riguardanti la correttezza logico-giuridica della motivazione addotta, esulando dal novero dei vizi denunciagli in questa sede quelli che si traducono nel sollecitare il riesame del giudizio di attendibilità dei collaboranti, sotto il profilo della – contestata – coerenza e uniformità del loro narrato.

Così doverosamente circoscritto, il controllo di legittimità non può che pervenire ad esito positivo. Il Tribunale, invero, ha dato compiutamente conto della metodologia seguita nella valutazione del materiale indiziario riveniente dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, in piena aderenza ai canoni dettati dall’art. 192 c.p.p.; a tal fine ha preso in osservazione la chiamata in correità effettuata da F.D. – descrittiva delle fasi prodromiche ed immediatamente antecedenti l’esecuzione dell’omicidio di A.N. – e ne ha evidenziato i caratteri di chiarezza, precisione, specificità e spontaneità quali indici sicuri di genuinità e affidabilità, non contraddetti dalla iniziale reticenza del propalante, che ne aveva dato in seguito una plausibile giustificazione adducendo il timore di ritorsioni; ha individuato nella chiamata in reità proveniente da L.S., totalmente autonoma e pienamente confermativa su tutti i punti essenziali riguardanti il coinvolgimento di E.B. quale autore materiale, il necessario riscontro alle dichiarazioni del F., apprezzabile anche in termini di reciprocità secondo il noto principio della "convergenza del molteplice". Analogamente il Tribunale ha operato nel vagliare le risultanze riguardanti l’omicidio di B.A. detto "(OMISSIS)", muovendo dalle chiamate in reità formulate dal F. e dal L. e ravvisando un significativo riscontro nelle dichiarazioni di O.L.:

il quale, dopo un iniziale tentativo di tutelare la propria estraneità al fatto, aveva finito per ammettere il proprio coinvolgimento nell’omicidio, indicandone l’esecutore materiale in E.B., in piena convergenza col narrato degli altri due collaboranti. Delle dichiarazioni dell’ O., riprodotte testualmente nell’ordinanza per la parte qui d’interesse, il giudice del riesame ha rilevato la genuinità e spontaneità, oltre all’autonomia della fonte rispetto a quelle del F. e del L. (a loro volta autonome fra loro); sull’argomento dell’attendibilità ha, inoltre, confutato con puntuale motivazione le obiezioni mosse dalla difesa. Infine, ad ulteriore conferma della credibilità dei collaboranti, ha rimarcato quel collegio che le loro dichiarazioni hanno trovato ulteriori e precisi riscontri in una molteplicità di accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria.

Stante la consequenzialità logica che pervade l’iter argomentativo nella sua interezza, unitamente alla riscontrata osservanza dei canoni di valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p., così come precisati dall’elaborazione giurisprudenziale, è innegabile che il Tribunale abbia adeguatamente soddisfatto l’obbligo di motivazione; il che è quanto basta, come si è dianzi osservato, perchè il provvedimento resista al vaglio di legittimità.

L’eccezione di inutilizzabilità delle conversazioni intercettate, oggetto della seconda censura, non ha ragion d’essere in quanto il giudice del riesame non ha fatto alcun utilizzo concreto di tali risultanze, avendo fondato il proprio giudizio esclusivamente sulle propalazioni dei collaboranti e sui relativi riscontri.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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