Cass. civ. Sez. V, Sent., 04-04-2012, n. 5380

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La S.n.c. Del Colle e e, in liquidazione, ha assegnato ai suoi soci le azioni della SpA Del Colle di cui era titolare, versando all’Erario, ai sensi della L. n. 449 del 1997, art. 29, oltre che l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP, con aliquota del 10% calcolata sulla differenza tra il valore normale delle azioni assegnate ed il loro costo fiscalmente riconosciuto, anche, l’imposta sostituiva del 20%, calcolata sulle riserve in sospensione d’imposta. Ritenendo di non dovere tale seconda imposta, secondo l’orientamento espresso con la Risoluzione Ministeriale Dip. Entrate del 6.6.2000, la contribuente ha, quindi, proposto istanza di rimborso, ed ha, successivamente, impugnato il silenzio rifiuto formatosi su di essa, con esito per lei negativo sia in primo grado, nonostante l’Ufficio avesse, in udienza, aderito all’istanza, che in appello, avendo la CTR del Veneto, con sentenza n. 122/21/05 depositata il 20.3.2006, escluso la sussistenza di una doppia imposizione, per essere l’aliquota del 20% volta a compensare il beneficio fiscale, accordato alla società al momento dell’originario conferimento.

La contribuente ricorre per la cassazione della sentenza, in base a due motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate non hanno presentato difese.

Motivi della decisione

Va, preventivamente, rilevata, ex officio, l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non ha partecipato al pregresso grado di giudizio (cfr. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 75, 110 e 112 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10, 11, 36 e 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere il giudice di primo grado valutato che, all’udienza del 13.12.2002, il funzionario dell’Agenzia non si era opposto alla sua istanza di rimborso, con istanza congiunta di compensazione delle spese, e per non aver, in conseguenza, dichiarato cessata la materia del contendere, essendo venute meno le ragioni del conflitto. La sentenza di secondo grado è, parimenti, nulla, prosegue la ricorrente, "perchè ha deciso su controversia che doveva ritenersi cessata, con conseguente venir meno del potere giurisdizionale di decidere nel merito". Il motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto: a) se le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11, debbano interpretarsi nel senso che, in forza della rappresentanza organica del funzionario delegato dal dirigente a presenziare all’udienza, spetti a questo il potere di manifestare la volontà dell’Agenzia Entrate nei senso di aderire all’istanza di rimborso presentata, rimuovendo l’atto, silenzio rifiuto, oggetto del ricorso, così riconoscendo la fondatezza sostanziale della pretesa del contribuente e definendo il relativo rapporto giuridico d’imposta"; b) se la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, in tema di cessazione della materia del contendere, conseguente alla rimozione dell’atto amministrativo, sia pure esso il silenzio rifiuto su istanza di rimborso, debba interpretarsi nel senso che una volta venuta meno la controversia tra contribuente ed Ufficio dell’Agenzia Entrate, per riconoscimento da parte di questo della fondatezza sostanziale della pretesa del contribuente, con la conseguente definizione del rapporto giuridico d’imposta, venga meno il potere dovere del Giudice di pronunciarsi sul merito, non potendo che procedersi con la dichiarazione della cessazione della materia del contendere e conseguente nullità, rilevabile anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo della sentenza che erroneamente ha deciso nel merito". Il motivo è inammissibile: l’impugnata sentenza, pur dando conto del "parere favorevole al rimborso" espresso "direttamente in udienza" dall’Ufficio, affronta il merito dell’appello, valutando le censure avanzate dalla contribuente, tra le quali non enuncia, nè esamina, quella relativa all’omessa declaratoria della cessazione della materia del contendere da parte dei primi giudici, i quali, a loro volta, avevano rigettato, nel merito, la richiesta di rimborso. Gli effetti sostanziali della mancata opposizione dell’Ufficio alla richiesta della contribuente, ed i risvolti processuali di tale condotta costituiscono, dunque, temi estranei rispetto a quelli valutati nella sentenza impugnata, sicchè, in questa sede, la ricorrente avrebbe dovuto sostenere di aver sollevato la questione con l’appello e, quindi, denunciare l’omessa pronuncia del giudice del merito, riportando, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le parti rilevanti degli atti processuali relativi alla questione, oppure riconoscere che il motivo è nuovo. Insomma: o per difetto di autosufficienza o per novità il motivo è inammissibile, dovendo, inoltre, rilevarsi che i quesiti formulati sono privi di ogni specificità in riferimento alla "ratio decidendi" della sentenza impugnata, con violazione dell’art. 366 bis c.p.c., ed ulteriore profilo d’inammissibilità del motivo stesso (Cass. n. 2864 del 2009).

Col secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 904 del 1977, art. 10; L. n. 576 del 1975, art. 34; della L. n. 449 del 1997, art. 29; del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127, vigente ratione temporis; del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 67, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Premesso di aver conferito alla S.p.A. Del Colle un ramo d’azienda per un valore fiscalmente riconosciuto di L. 26.858.000, iscrivendo in bilancio la partecipazione ricevuta per una somma pari a L. 1.144.801.000 al 31.12.1998, la contribuente espone che, a fronte di tale plusvalenza, non imponibile della L. n. 904 del 1977, ex art. 10 e della L. n. 576 del 1975, art. 34, aveva iscritto al passivo una riserva di utili in sospensione d’imposta, d’importo pari a L. 1.059.752.299, al netto della perdita di esercizio del 1998. La ricorrente riferisce di aver, quindi, assegnato tale partecipazione ai soci, per atto 13.5.1999, versando il 10% sull’importo di L. 3.626.754.580, quale valore di realizzo – sottratto il valore fiscalmente riconosciuto – ed, inoltre la somma di L. 211.950.000, pari al 20% sull’ammontare della riserva di conferimento ex lege n. 904 del 1977. La ricorrente lamenta, quindi, che, nel rigettare la sua istanza di rimborso, i giudici d’appello non hanno compreso che, per effetto dell’assegnazione ai soci, era stata assoggettata ad imposta l’intera plusvalenza realizzata, con la conseguenza che la riserva non poteva più ritenersi in sospensione d’imposta, per esser divenuta "riserva tassata", in altri termini, la medesima base imponibile (riserva in sospensione d’imposta – plusvalenza iscritta, non fiscalmente riconosciuta) risulta assoggettata ad imposta prima, con l’aliquota del 10% e, poi, con quella del 20%, in violazione del divieto di doppia imposizione. A conclusione, la contribuente sottopone il seguente quesito di diritto: "se la disposizione di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 29, comma 2, debba interpretarsi nel senso che assoggetti ad imposizione con l’aliquota del 20% l’annullamento come conseguenza dell’assegnazione agevolata, di quelle riserve in sospensione d’imposta che si contrappongono a valori dell’attivo che siano fiscalmente riconosciuti nella misura iscritta, mentre non deve intendersi nel senso che assoggetti ad imposizione anche quelle riserve che contrapponendosi a valori iscritti, ma non fiscalmente riconosciuti, vengono assoggettate ad imposizione nel momento in cui viene tassata la complessiva plusvalenza, ivi inclusa quella iscritta e pari alla riserva in sospensione, come sono le riserve L. n. 904 del 1977, ex art. 10 e L. n. 576 del 1975, art. 34, con conseguente liberazione della stessa riserva che diviene riserva tassata, ciò al fine di evitare che una medesima base imponibile, costituita dalla differenza tra il valore fiscalmente riconosciuto ai beni oggetto di conferimento agevolato (pari al valore ante conferimento degli stessi beni) L. n. 904 del 1977, ex art. 10 ed il valore iscritto, venga tassata, prima, in sede di assegnazione e poi, una seconda volta, per effetto dell’annullamento della relativa riserva in sospensione d’imposta, divenuta, però, riserva tassata".

Il motivo è infondato. La L. n. 449 del 1997, art. 29, dispone, per quanto qui interessa, che le società in nome collettivo che, entro il 30.6.1999 (termine originariamente stabilito nel 1.9.1998 e così prorogato dalla L. n. 28 del 1999, art. 13, comma 1), assegnano ai soci (che risultino iscritti nel libro dei soci, entro date determinate) quote di partecipazione in società, devono corrispondere al fisco: a) un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari al 10% sulla differenza tra il valore normale dei beni assegnati e il loro costo fiscalmente riconosciuto;

b) un’imposta sostitutiva nella misura del 20% sulle riserve in sospensione di imposta annullate per effetto dell’assegnazione dei beni ai soci. La norma non consente, dunque, di distinguere, nell’ambito delle riserve in sospensione d’imposta, quelle contrapposte a valori dell’attivo fiscalmente riconosciuti da quelle riferite a poste dell’attivo non fiscalmente riconosciute, nè di esentare queste ultime dall’imposta sostitutiva a seguito del loro annullamento, e ciò in quanto l’imposizione con l’aliquota del 20% riguarda, proprio, le riserve in sospensione d’imposta annullate per effetto dell’assegnazione ai soci, e nella specie, i conferimenti agevolati della L. n. 576 del 1975, ex art. 34, richiamato dalla L. n. 904 del 1977, art. 10, in base ai quali la differenza tra il valore delle azioni o quote ricevute e l’ultimo valore dei beni conferiti, ai fini dell’imposta sul reddito non concorre a formare il reddito imponibile dell’impresa o società fino a quando non sia stata realizzata o distribuita ai soci. Tale esegesi non contrasta col divieto di doppia imposizione, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 8351 del 2002 e n. 19687 del 2011), postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto, condizione che non si verifica, invece, in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito.

In tale ambito, va ricondotto il caso in esame, in quanto, da una parte, viene in rilievo la plusvalenza della partecipazione azionaria e, dall’altra, il venir meno del regime di sospensione, che rende attuale l’imponibilità della riserva, rinviata in occasione del conferimento, di tal che i presupposti sono, rispettivamente, costituiti dalla realizzazione della plusvalenza e dalla cessazione del regime di sospensione. Resta da aggiungere che la risoluzione ministeriale n. 82 del 6.6.2000, citata nel ricorso, non è pertinente al caso in esame, essendo relativa al diverso regime del conferimento d’azienda, effettuato ai sensi del D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 4, senza dire che la ed interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o in risoluzioni, non vincola nè i contribuenti nè i giudici, nè costituisce fonte di diritto (cfr.

Cass. n. 21154 del 2008).

Il ricorso va, in conclusione, respinto. Non va provveduto sulle spese, in assenza di attività difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e lo rigetta nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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