Cass. civ. Sez. V, Sent., 04-04-2012, n. 5376 Rimborso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di un motivo, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, rigettando l’appello dell’Ufficio, ha riconosciuto ad B.A., quale vedova di G.E., già dirigente della Enel spa deceduto nel 1988, il diritto al rimborso della maggiore IRPEF, rispetto all’aliquota del 12,5%, versata in relazione alla liquidazione della rendita relativa alla pensione integrativa aziendale (PIA) spettante al coniuge.

Ciò in quanto, secondo il giudice d’appello, essendosi il G. iscritto al fondo anteriormente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1992, n. 124, art. 13, comma 9, non troverebbe nella specie applicazione il nuovo regime fiscale da tale disposizione introdotto, alla luce di quanto disposto dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 1, comma 5, convertito nella L. 28 febbraio 1997, n. 30.

Per i contratti di capitalizzazione – come quello Enel, accordo che aveva convertito la polizza assicurativa nel PIA -, in considerazione della funzione sostanzialmente equivalente ai contratti di assicurazione, il regime fiscale applicabile era quello previsto per le prestazioni in forma di capitale prima della riforma attuata dalla L. n. 335 del 1995, a prescindere dalle finalità previdenziali, ossia, come previsto dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6, l’aliquota del 12,5%.

La contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria, ed articola tre motivi di ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

I ricorsi, siccome proposti nei confronti della stessa sentenza, vanno riuniti per essere definiti con unica pronuncia.

Con l’unico motivo di ricorso l’amministrazione censura la decisione, sotto il profilo della violazione di legge, assumendo che l’inapplicabilità del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, comma 9, alle prestazioni erogate in forma di capitale a titolo di trattamento pensionistico complementare, qualora derivanti dall’iscrizione a fondo pensionistico già in essere alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, comporterebbe la tassazione di tali prestazioni ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17.

Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

La questione del regime fiscale delle somme corrisposte a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale erogato dal fondo previdenziale FONDENEL/P.I.A. è stata recentemente affrontata dalle Sezioni unite di questa Corte che, con la sentenza n. 13642 del 2011, resa in controversia analoga, ha chiarito che, "in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma, lett. a), e 17 del TUIR, solo per quanto riguarda la "sorte capitale" corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 del TUIR".

Alla stregua di tale principio, il meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 (aliquota del 12,5% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) si applica, a coloro che siano iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale FONDENEL/P.I.A. da epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, solo limitatamente agli importi maturati entro il 31 dicembre 2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento finanziario del capitale. Per tale va intenso, carne espressamente precisato nella parte motiva della citata sentenza delle Sezioni unite (ultima parte del penultimo periodo del paragrafo 6.1), il "rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte ohi Fondo, del capitale accantonato".

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è in questi termini fondato, atteso che la sentenza impugnata ha ritenuto applicabile l’aliquota del 12,5% all’intero importo percepito dal contribuente a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale; mentre avrebbe dovuto applicare tale aliquota solo al rendimento imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato, quantificando il relativo importo in base agli investimenti concretamente effettuati dal Fondo sul mercato finanziario, alla stregua delle norme contrattuali via via applicabili, e delle plusvalenze con essi realizzati.

Quanto al ricorso incidentale condizionato proposto dalla B., con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, assumendo che mentre in primo grado l’ufficio non avrebbe contestato che il contribuente aveva percepito un reddito a titolo di capitale, eccependo semplicemente che l’aliquota agevolata andasse applicata non sull’intero importo erogato, ma sul rendimento, in secondo grado avrebbe invece introdotto un’eccezione nuova, avendo dedotto per la prima volta che occorreva individuare la normativa applicabile in base al tipo di erogazione di capitale, affermando che il T.U.I.R. del 1986, art. 42, comma 4 riguarderebbe un ambito più limitato; con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non essersi pronunciata sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per essere stata dedotta la questione nuova di cui al primo motivo.

I motivi sono inammissibili.

Dalla sentenza impugnata non è dato evincere nè la novità della deduzione dell’ufficio nè la proposizione, da parte dell’appellata, della relativa eccezione di inammissibilità dell’impugnazione.

La ricorrente incidentale non ha riprodotto i passi degli atti difensivi interessati, e così non ha ottemperato al principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che deve consentire al giudice di legittimità, quanto al primo motivo, di apprezzare l’esistenza del vizio denunciato, e, quanto al secondo motivo, di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli dal corretto svolgersi dell’iter processuale: a tal fine è necessario, infatti, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini, e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel caso di specie, i passi delle difese di primo grado, e dell’appello dell’amministrazione con cui la censura ritenuta inammissibile per la sua novità sarebbero state formulate, nonchè delle controdeduzìoni in appello della B., con le quali tale eccezione di inammissibilità sarebbe stata formulata (cfr. Cass. n. 23420 del 2011).

Con il terzo motivo del ricorso incidentale, denunciando la "nullità della sentenza per omessa pronuncia relativamente all’inammissibilità dell’appello e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4", la B., premesso di aver eccepito in secondo grado che "dall’esame dell’atto di appello non era possibile dedurre se il medesimo era stato depositato presso" la segreteria del giudice che aveva emesso la sentenza impugnata, dovendosi "in difetto di prova contraria l’appello considerarsi inammissibile" ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (recte, art. 53), si duole dell’omessa pronuncia sul punto da parte del giudice d’appello.

Il motivo, come formulato, è inammissibile, in quanto la sentenza impugnata, avendo affrontato e definito il merito della controversia, si è implicitamente pronunciata sull’inammissibilità, rilevabile diffido, dell’impugnazione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, "non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo:

nella specie, la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame" (Cass. n. 5351 del 2007 e n. 10696 del 2007).

La sentenza va quindi cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale perchè accerti se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato finanziario, quali siano stati i risultati dell’investimento ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali, e, sulla scorta di tale indagine, quantifichi la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcoli l’imposta dovuta dal contribuente (e, conseguentemente, l’ammontare del suo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,5%, secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 del TUIR. In conclusione, il ricorso va in tali termini accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia perchè si pronunci sulla domanda restitutoria del contribuente determinando l’imposta dovuta secondo i principi enunciati.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *