Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-09-2011) 20-10-2011, n. 37963

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 15 luglio 2010, riteneva S.N. responsabile del reato di tentativo di rapina aggravata impropria perchè, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, introducendosi all’interno dell’Ufficio postale ubicato in (OMISSIS) compiva atti diretti in modo non equivoco ad impossessasi di beni ivi custoditi, e quindi usava minaccia con un piede di porco nei confronti degli appartenenti alle forze dell’ordine prontamente intervenute per guadagnare la fuga e l’impunità. L’imputato proponeva impugnazione e la Corte di appello di Roma, con sentenza del 16 febbraio 2011, confermava la sentenza impugnata.

Avverso tale decisione l’imputato propone impugnazione per cassazione, deducendo;

a) Violazione e/o erronea interpretazione dell’art. 628 c.p., commi 1 e 2. Riqualificazione del reato di rapina impropria nel reato di tentato furto in concorso con il reato di minaccia.

Il ricorrente, censura la decisione impugnata per avere errato nell’applicazione della legge penale, laddove ha ritenuto la sussistenza del reato di tentativo di rapina impropria, senza considerare che al momento dell’intervento degli agenti non si era ancora verificato l’impossessamento di alcun bene; a parere del ricorrente la Corte di appello avrebbe dovuto ravvisare l’ipotesi dei distinti reati di tentativo di furto e di minaccia alla stregua di quella giurisprudenza di legittimità che, per la ricorrenza della rapina impropria presuppone, come elemento imprescindibile, l’avvenuta sottrazione della cosa. Chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il motivo proposto è infondato. Il ricorrente propone una interpretazione giuridica del delitto di rapina impropria non condivisa dalla prevalente giurisprudenza di legittimità.

Il ricorrente ritiene che la sentenza di appello sarebbe incorsa in violazione della legge penale per avere ritenuto la rapina impropria (nella specie: tentata) senza considerare che nella fattispecie l’azione delittuosa era stata interrotta (a causa dell’intervento della Polizia) prima che l’imputato potesse impossessarsi di alcunchè; argomenta il ricorrente che, non essendo ancora avvenuta alcuna sottrazione del bene, la condotta minacciosa adoperata per darsi alla fuga e garantirsi l’impunità non poteva integrare l’ipotesi della rapina impropria tentata bensì quella dei distinti reati di tentativo di furto e di minaccia. Si tratta di un motivo infondato.

La difesa fa riferimento ad una giurisprudenza, del tutto minoritaria, che ha escluso la rapina impropria laddove la violenza intervenga prima che sia completata la sottrazione del bene (Cass. Pen. Sez. 5, 13.04.2007, n. 32551); la decisione citata dal ricorrente si fonda sulla considerazione che l’azione delittuosa di cui all’art. 628 c.p., comma 2 configura una ipotesi a formazione progressiva, ove la sottrazione deve costituire un antecedente rispetto alla violenza, atteso che quest’ultima è finalizzata ad assicurare l’impossessamento o l’impunità. Questo Collegio ritiene di aderire al diverso indirizzo, largamente maggioritario e costantemente seguito da questa sezione, che ha ravvisato il delitto di rapina impropria anche laddove l’impossessamento non sia ancora completato; si è infatti ritenuto che: "E’ configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei all’impossessamento della "res" altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità" (Cassazione penale, sez. 2, 25 settembre 2007 n. 38586). Invero, l’ipotesi di cui all’art. 628 cpv. c.p., si perfeziona anche nei casi in cui la condotta di impossessamento della cosa non sia completata ma sia ancora in atto (Cass. Pen. Sez. 2, 23 maggio 2007, n. 23418), atteso che il criterio qualificante della condotta criminosa va individuato nell’esercizio della violenza o della minaccia mentre è ancora "in itinere" l’azione difensiva, il cui esercizio impedisce all’agente di completare l’azione di sottrazione del bene (Cass. Pen., Sez. 2, 10 novembre 2006 n. 40156), sottrazione per la quale erano ormai avviati in maniera non equivoca gli atti esecutivi. (Cass. Pen. Sez. 2, 16 maggio 2001, n. 28044); (v. anche Cass., sez. 2, 26 novembre 2010, n. 44365, CED 249185).

La prevalente giurisprudenza si fonda sulla considerazione che l’elemento caratteristico della rapina impropria si fonda su una fattispecie "a tempi invertiti" atteso che la violenza o la minaccia non sono presi in considerazione come "modalità per la sottrazione ed impossessamento" – come nell’ipotesi di rapina consumata – ma come "mezzi diretti ad assicurare l’impossessamento ovvero l’impunità", ove elementi primari divengono questi ultimi aspetti rispetto all’attività di sottrazione del bene; nell’ipotesi di cui all’art. 628 e.p., comma 2 restano fermi gli elementi imprescindibili della rapina e cioè: – l’impossessamento del bene – e – la violenza e minaccia – ma si invertono le finalità, atteso che, nel caso della rapina consumata, la violenza ha un carattere cronologicamente anteriore essendo diretta all’appropriazione che, a sua volta, assume una valenza consumativa del reato, mentre, nel caso della rapina impropria, la violenza (o minaccia) ha un carattere cronologicamente successivo all’appropriazione (ovvero – come nella specie – al tentativo di appropriazione) sicchè sono proprio la violenza o la minaccia ad assumere la valenza consumativa del reato. La sentenza impugnata risulta immune da censure in quanto ha ravvisato la penale responsabilità dell’imputato sulla scorta della predetta giurisprudenza, avendo sottolineato che la condotta minacciosa dell’imputato era diretta ad assicurarsi l’impunità e si era manifestata dopo che egli aveva compiuto degli atti idonei ed inequivocabilmente diretti ad impossessarsi dei beni presenti nell’ufficio ove era penetrato dopo averne forzato due porte di accesso.

Il ricorso va pertanto rigettato; invero la presenza del contrasto giurisprudenziale sopra menzionato impedisce di ritenere inammissibili i motivi proposti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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