Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-07-2011) 20-10-2011, n. 37974 Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

G.G., in proprio quale avv.to cassazionista del foro di Bari e parte in causa, ha proposto ricorso straordinario per cassazione ex art. 625 bis c.p.p. avverso la sentenza n. 934/2010 emessa il 4 maggio 2010 dalla 6^ sezione penale della Corte di cassazione con cui è stato dichiarato inammissibile il suo ricorso con il conseguente passaggio in giudicato della condanna per diffamazione e calunnia.

A sostegno dell’impugnazione il ricorrente deduce:

a) l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità relativo all’errore percettivo causato da una svista nella lettura degli atti interni al giudizio e connotato dall’influenza esercitata nel processo formativo della volontà, viziato dalla inesatta percezione delle risultanze processuali che, in caso contrario, avrebbe condotto ad una decisione diversa in ordine al regime della prescrizione applicabile, ritenuto nel caso di specie essere quello antecedente all’entrata in vigore della legge Cirielli, L. n. 251 del 2005, nonostante il deposito della sentenza "de qua" in epoca successiva; in ogni caso la Corte avrebbe dovuto dichiarare di n.d.p. per intervenuta prescrizione in ordine al reato di diffamazione, essendo pacificamente decorso detto termine.

In data 14 luglio 2011 il ricorrente ha fatto pervenire una istanza a mezzo fax "per rimessione in termini e differimento dell’udienza in camera di consiglio", in considerazione dell’avvenuta notifica in data 21 giugno 2011 dell’avviso di udienza, quando già era ricoverato in ospedale, da dove è stato dimesso solo alcuni giorni prima dell’udienza. La circostanza avrebbe inciso sul possibile esercizio del diritto di difesa.

Il ricorso è da rigettare nel "merito".

Occorre, per dare risposta alla idea di errore di fatto che sostiene il ricorso, ricordare che storia, ratio e lettera dell’art. 625 bis c.p.p., – introdotto dalla L. 19 aprile 2001, n. 128, art. 6, su chiara sollecitazione della Corte Costituzionale (sent. n. 395 del 2000) e sul modello di quanto era avvenuto in relazione all’art. 395 c.p.c., comma 4, (sentenza n. 17 del 1986 cui seguiva l’introduzione dell’art. 391 bis, sentenza n. 36 del 1991) – hanno contribuito alla formazione di canoni interpretativi divenuti consolidati (v. tra le molte altre, Sez. un. c.c. 27 marzo 2002, Basile), anche per via della sostanziale adesione ad essi di larga parte della dottrina e della speculare elaborazione già formatasi, appunto, sull’art. 395 c.p.c., comma 5. Così, il rilievo che la regola dell’intangibilità dei provvedimenti della Corte di Cassazione – pur avendo perduto il carattere di assolutezza per effetto appunto dell’art. 625 bis c.p.p. in materia penale e di quello, analogo, della revocazione per la materia civile – resta un cardine del sistema delle impugnazioni e della formazione del giudicato nonchè del sistema stesso processuale (Sezioni Unite, sentenza 2002, Basile nonchè C. Cost. n. 294 del 1995, e ivi citate nn. 247 del 1995, 21 del 1982, 136 del 1972, 51 e 50 del 1970; Corte di Giustizia, sentenza 1.6.1999, C-126/97, punto 46; sentenza 30.9.2003, C-224/01, p. 38; Corte EDU, da ultimo sentenza del 12 gennaio 2006, Kehaya e altri c. Bulgaria, ric. n. 47797/99 e 68698/01), e sta alla base del principio che le disposizioni regolatrici del ricorso straordinario non possono trovare applicazione oltre i casi in esse considerati in forza del divieto sancito dall’art. 14 disp. gen., costituendo, appunto deroga all’intangibilità del giudicato.

Natura eccezionale del rimedio e lettera della disposizione che lo istituisce non consentono di sindacare a mezzo di ricorso straordinario altro (asserito) errore di fatto che non sia quello costituito da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte di Cassazione nella lettura degli atti del giudizio di legittimità, che deve essere connotato altresì dall’influenza esercitata sulla decisione (in tal senso "viziata") dalla inesatta percezione di risultanze processuali, il cui svisamento conduce ad una sentenza diversa da quella che sarebbe adottata senza l’errore e la cui ingiustizia o invalidità costituiscono effetto di detto errore.

Di conseguenza:

– va esclusa ogni possibilità di dedurre errori valutativi o di giudizio;

– l’errore di fatto censurabile secondo il dettato dell’art. 625 bis c.p.p., deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di Cassazione (S.U. n. 16103 del 2002, Basile citata), e, per usare la terminologia dell’art. 395 c.p.c., n. 4, cui si è implicitamente rifatto il legislatore nella introduzione dell’art. 625 bis c.p.p., nel supporre "la esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa" ovvero nel supporre "l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita": e purchè tale fatto non abbia rappresentato "un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare", anche implicitamente ovvero che al dibattito processuale "appartiene per legge (questioni rilevabili d’ufficio)" (cfr. S.U. civili nella sentenza 14.2.1983 da cui C. Cost. n. 17 del 1986 e, ove non bastasse la "storia" della norma, v. il dibattito in Assemblea nella seduta 844 del 24.1.2001, in relazione all’emendamento 5.56.3 degli onorevoli Pecorella, Saponara, Marotta);

– esso (l’errore di fatto) deve rivestire "inderogabile carattere decisivo";

– può consistere dunque anche nell’omissione dell’esame di uno o più motivi del ricorso per Cassazione, sempre che risulti dipeso "da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura", ovverosia sempre che l’omesso esplicito esame lasci presupporre la mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda, secondo "un rapporto di derivazione causale necessaria", una decisione che può ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a seguito della considerazione del motivo; con l’avvertenza (cfr. Cass. Sez. 5, n. 11058 del 10/12/2004, Buonanno) che il disposto dell’alt 173 disp. att. c.p.p., comma 1, secondo cui "nella sentenza della Corte di Cassazione i motivi di ricorso sono enunziati nei limiti strettamente indispensabili per la motivazione", non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle censure e non analiticamente riprodotto in sentenza sia stato non letto anzichè implicitamente ritenuto non rilevante;

– deve escludersi che nell’area dell’errore di fatto denunziabile con ricorso straordinario possano essere ricondotti gli errori percettivi non inerenti al processo formativo della volontà del giudice di legittimità, perchè riferibili alla decisione del giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere -anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie ovvero con la revisione (S.U. n. 16103 del 2002 citata, Basile).

In conclusione, e per quel che rileva ai fini del presente giudizio, esulando dall’errore di fatto ogni profilo valutativo, esso coincide con l’errore revocatorio, secondo l’accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della "invenzione" o della "omissione", non estensibile al travisamento delle risultanze, in cui sia in tesi incorsa la stessa Corte di Cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio. Il cosiddetto "travisamento del fatto", e cioè il travisamento del significato anzichè del significante, non può in nessun caso legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., tantomeno quando sia dedotto come vizio della decisione del giudice di merito. E neppure può essere, comunque, dedotto ai sensi dell’art. 625 bis c.p., l’errore revocatorio in cui sarebbe incorso il giudice di merito. I criteri di interpretazione dei fatti, dibattuti nel giudizio di legittimità e oggetto di valutazione anche implicita, non possono essere riproposti sotto forma di errori di fatto.

Tanto premesso, è evidente dalla lettura dello stesso ricorso straordinario, oltre che dalle sentenze impugnate e dagli atti di legittimità, che il ricorrente ipotizza difetti di giudizio estranei al paradigma dell’art. 625 bis c.p.p..

Non può in particolare ricondursi alla nozione di errore di fatto nessuno degli "errori" di lettura, comprensione o valutazione degli atti processuali del giudizio di merito, ovvero di valutazioni giuridiche in ordine all’applicazione, relativamente al termine di decorrenza, dell’istituto della prescrizione operativo, che peraltro, nel caso in esame è stato correttamente applicato, in base al principio ormai consolidato, in base al quale lo spartiacque per l’applicazione del regime transitorio è dato dal termine dell’avvenuta pronuncia della sentenza, antecedente o meno, rispetto all’entrata in vigore della legge Cirielli. La giurisprudenza prevalente ritiene, anche a seguito dell’intervento della Corte costituzionale sul punto, che ai fini dell’applicazione delle disposizioni transitorie previste dalla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, la pendenza del grado d’appello, che rileva per escludere l’applicazione delle nuove norme più favorevoli, ha inizio dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, che deve ritenersi intervenuta nel momento della lettura del dispositivo, non in quello, eventualmente successivo, del deposito della motivazione (Cass., Sez. 6 27 novembre 2006, n. 42189, Olivo, C.E.D. Cass. 234954; Cass., Sez. 6, 20 novembre 2007, n. 1574, Altieri e altri, ivi 240156; Cass., Sez. 6 26 maggio 2008, n. 31702, Serafìn e altro, ivi 240607; Cass., Sez. 5 16 luglio 2008 , n. 3733, Dimaano, ivi 241699; Cass., Sez. 5, 14 maggio 2009, n. 34231, Mattioli, ivi 244100; Cass., Sez. 4, 14 marzo 2008, n. 16477, De Paoli, ivi 239527; Cass., Sez. 6 20 maggio 2008 , n. 27324, Borelli e altro, ivi 240525; Cass., Sez. 3 10 luglio 2008, n. 38836, Papa, ivi 241291; Cass., Sez. 5, 15 luglio 2008, n. 38587, Folgori, ivi 241698; Cass., Sez. 5 18 giugno 2008, n. 38696, Guidi, ivi 241693; Cass., Sez. 6 10 ottobre 2008, n. 40976, Nobile, ivi 241319; Cass. Sez. 5, 21 febbraio 2008, n. 13350, Mihalic, ivi 239389; Cass, sez. 6, 26 maggio, n. 31702.; Cass, Sez. 5 19 giugno 2008, n. 38720, Rocca, ivi 241937; Cass. Sez. 5, 16 luglio 2008, n. 37333, C.E.D, Cass. 241699; Cass, Sez. 6, 22 ottobre 2008, n. 13523, De Lucia, ivi 243826; Cass, Sez. 5 5 dicembre 2008, n. 2076, Serafini, ivi 242362; Cass., Sez. 5 16 gennaio 2009 n. 7697, ivi 242966; Cass, Sez. 2 21 gennaio 2009, n. 3709, Bassetti, ivi 242561;

Cass, sez. 5, 14 maggio 2009, n. 34231, ivi 244100); la declaratoria di inammissibilità del ricorso inoltre, conformemente alla giurisprudenza ormai consolidata delle Sezioni Unite comporta che il ricorso per cassazione proposto esclusivamente per far valere la prescrizione eventualmente maturata dopo la sentenza impugnata, viola il criterio enunciato nell’art. 581 c.p.p., lett. a) ed esula dai motivi in relazione ai quali può essere proposto il ricorso, a norma dell’art. 606 c.p.p.; deve pertanto essere rigettato (v. SS.UU., 27 giugno 2001, Cavalera).

In base alla documentazione acquisita, al contenuto della medesima, al tempo in cui è stata trasmessa e alle sue modalità, all’assenza dell’indicazione di una natura assoluta dell’impedimento oltre che per la tipologia del rito, non sussistono le condizioni per il differimento dell’udienza.

All’infondatezza del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *