Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-07-2011) 20-10-2011, n. 37956

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

l. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Ancona, sull’appello degli imputati, riformava parzialmente la sentenza del Tribunale della stessa città con la quale, tra gli altri, erano stati dichiarati responsabili per i reati a loro rispettivamente ascritti e condannati alle pene ritenute di giustizia A. S., + ALTRI OMESSI .

In particolare, la Corte di appello per tutti gli imputati escludeva le aggravanti di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, conv. con modif. dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, per avere commesso i fatti avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen., e di cui all’art. 80 T.U. stup. e, concedesse le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle restanti aggravanti, riduceva per l’effetto la pena loro inflitta, confermando le restanti statuizioni.

Gli imputati erano stati ritenuti responsabili:

– A.S., + ALTRI OMESSI di aver partecipato ad un’associazione dedita al narcotraffico (capo a);

della illecita detenzione e cessione continuata di stupefacente nella disponibilità dell’organizzazione (capo b); inoltre il Fi., + ALTRI OMESSI aver detenuto e ceduto a terzi quantitativi di eroina ricevuta da D. G.G. (capo d).

– i restanti imputati, C.A. e D.M.B.M. di concorso nel reato sub b); Ca.Gi., + ALTRI OMESSI di illecita detenzione di stupefacente in quantitativi non limitati, anche al fine di cessione a terzi.

2. Esponevano in fatto i giudici di merito che le indagini che avevano portato al rinvio a giudizio degli imputati erano scaturite dalla confluenza in un unico troncone di due separate inchieste, di cui la prima avente ad oggetto il controllo delle attività svolte nelle Marche da un personaggio di origine campana, ma operante in Calabria, ci.gi., e la seconda tendente ad identificare i responsabili dell’immissione di consistenti quantitativi di stupefacente nel mercato di alcune zone dell’Anconetano.

Quanto al primo filone, si era appreso che ci.gi., dopo essere stato a capo di un’associazione mafiosa e detenuto sino all’85, si era trasferito nelle Marche dove aveva avviato una fitta rete di rapporti con alcuni personaggi di origine calabrese. Quanto al secondo filone di indagini, gli investigatori, dopo aver individuato un fornitore di droga, Fi.Fa., disponevano una vasta attività di indagine che conduceva ad identificare un rilevante numero di persone coinvolte in attività di spaccio ed a collegare detta attività, svolta prevalentemente da soggetti del luogo, con quella posta in essere dal ci. e dal figlio lu.

g. e da altri calabresi con i quali questi erano in contatto.

I due filoni venivano quindi unificati in un’unica indagine, atteso anche il contenuto delle dichiarazioni di alcuni soggetti che avevano intrapreso la strada della collaborazione. In particolare, risultavano rilevanti le dichiarazioni di ci.lu.gi. e Pe.La. dalle quali era emersa l’attività delinquenziale posta in essere dal sodalizio, con un’abbondanza di particolari e di dettagli relativi a persone, luoghi e tempi. Utili, anche se di minore consistenza sotto il profilo quantitativo, risultavano essere anche le dichiarazioni di A.G., + ALTRI OMESSI Le propalazioni di costoro, oltre a riscontrarsi reciprocamente, avevano ricevuto conferma dagli esiti delle intercettazioni, dall’attività di p.g. e dalle deposizioni dibattimentali offerte dai testi.

I giudici di merito, nel valutare pienamente credibili le dichiarazioni dei collaboranti, ritenevano prive di pregio le argomentazioni difensive finalizzate a minare la credibilità del Pe.. Per contro, non venivano ritenute credibili le dichiarazioni dei collaboratori ci. ed A. nelle parti in cui avevano escluso il coinvolgimento nei fatti di soggetti a loro vicini, cercando di assumersi ogni responsabilità in ordine ai fatti, al fine di preservare le posizioni dei loro congiunti o di persone a loro comunque vicine. Del pari non venivano ritenute attendibili le dichiarazioni di ci. in ordine alla posizione dei fratelli A., volte a creare confusione in relazione ai reali fornitori, così da non coinvolgere il padre che rappresentava il punto di contatto con i fratelli A..

Gli elementi probatori raccolti comprovano, secondo i giudici di merito, la esistenza, operatività e mantenimento stabile di una struttura bene organizzata con la collaborazione consapevole di vari soggetti per introdurre quantitativi di cocaina ed eroina dalla Calabria (e anche da altre località) da spacciare nella provincia di Ancona.

3. L’assetto associativo, pur facendo capo a ci.lu.

g. – da ritenersi al vertice dell’organizzazione -, era composto da due articolazioni aventi ognuna propri compiti ed organizzazione, i componenti delle quali erano rispettivamente a conoscenza l’uno dell’altro e pienamente consapevoli di agire in vista di un programma comune indeterminato per la commissione di reati in materia di stupefacenti.

Al "gruppo Cirillo", partecipavano Ci.Ro. con ruolo di collegamento con i fornitori calabresi dai quali trasportava le prime forniture al ci. e di collegamento con l’altro "gruppo Fiocco"; i fratelli G. e A.S. con ruolo di stabili fornitori di stupefacenti al ci.; P.F. cui era assegnato il compito di curare i rapporti con i fratelli A.; Mi.Sa. con il ruolo di trasportatore dello stupefacente e di spaccio per conto del ci.; S. G., uomo di fiducia del ci. al quale faceva da "guarda spalle", e partecipava al trasporto di stupefacente dalla Calabria e ad azioni di recupero credito.

Partecipanti al "gruppo Fiocco", erano Fi.Fa., quale promotore e organizzatore; i fratelli Se., luogotenenti del Fi., che prendevano ordini direttamente da lui per il trasporto dello stupefacente, la distribuzione ai vari "cavalli" (tossicodipendenti spacciatori), alla riscossione e al recupero dei relativi proventi; i fratelli Pe., che avevano il compito particolare, quali non tossicodipendenti, di curare la custodia degli stupefacenti che poi veniva consegnata ai vari "cavalli", e che partecipano al trasporto di forniture di stupefacenti dai fornitori di Dazio e Rimini e alle azioni di recupero dei proventi dello spaccio.

La fitta rete di rapporti esistente tra ci.lu.gi. ed i suoi uomini, da un lato, e Fi.Fa. ed i suoi, dall’altro, così come i regolari contatti tra gli appartenenti al primo ed al secondo gruppo, dimostravano, secondo i giudici di merito, la sussistenza di un programma comune e la piena consapevolezza dei soggetti in questione, da un lato, di agire nell’ambito di un’organizzazione dove ciascuno aveva compiti ben divisi e prestabiliti, dall’altro, di contribuire con la propria condotta e di essere agevolato dalla condotta altrui al raggiungimento dello scopo.

Il Fi. ed il suo gruppo si serviva a sua volta di "cavalli", ovvero in gergo soggetti tossicodipendenti per immettere nel mercato i quantitativi di droga, quali erano risultati c.m., + ALTRI OMESSI .

Le indagini portavano a identificare altri soggetti coinvolti nel traffico di stupefacenti, quali Ca.Gi., + ALTRI OMESSI . 4. Avverso la suddetta sentenza ricorrono per cassazione gli imputati indicati in epigrafe, chiedendone l’annullamento per i motivi di seguito indicati, esaminando preliminarmente i motivi comuni, – Ca., + ALTRI OMESSI hanno eccepito la genericità dell’imputazione e indeterminatezza dei fatti contestati, in quanto non sarebbe indicato alcun preciso dato ponderale delle sostanze stupefacenti, la collocazione spaziale e temporale degli episodi (genericamente indicata dal 1993 al 1995), nonchè alcun episodio specifico in ordine al quale poter articolare la difesa.

– Fi., + ALTRI OMESSI deducono la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, in quanto, relativamente al reato associativo, è stata ritenuta in sentenza l’esistenza di due associazioni finalizzate allo spaccio di sostanze stupefacenti anzichè, e diversamente dall’ipotesi di accusa, di un’unica associazione, modificando anche il ruolo descritto nel capo di imputazione. In particolare, Fi. deduce che dal ruolo di partecipe originariamente contestato si sarebbe passati a ritenere quello di promotore e organizzatore di altra compagine associativa, compresente sul territorio e addirittura per certi versi concorrente con la prima, attribuendo al medesimo condotte oggettivamente e soggettivamente diverse da quelle originariamente contestate e sulle quali la difesa non avrebbe potuto svolgere alcun ruolo. Si deduce che con motivazione illogica la Corte di merito ha escluso la violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e difesa e quindi la reclamata violazione del diritto di difesa.

– A.S., + ALTRI OMESSI denunciano l’inutilizzabilità delle intercettazioni per difetto di motivazione dei relativi decreti di autorizzazione e di proroga, nonchè vizio di motivazione sul punto della sentenza impugnata, in quanto la Corte di appello, senza offrire una congrua motivazione, avrebbe respinto le relative eccezioni formulate. In particolare, era stato dedotto che dalla motivazione per relationem dei suddetti decreti, non era dato comprendere quale fosse stata l’attività di controllo sull’organo inquirente che deve necessariamente essere espletato al fine di legittimare l’intercettazione e/o la sua prosecuzione.

– A.S., + ALTRI OMESSI lamentano altresì l’inutilizzabilità delle intercettazioni per difetto di motivazione dei decreti assunti dal P.M. ex art. 268 c.p.p., comma 3, ritenuti anch’essi carenti di motivazione rispetto alle esigenze di giustificazione, nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata in quanto la Corte di appello, senza offrire una congrua motivazione, avrebbe respinto le relative eccezioni formulate dalle difese.

– A.S., + ALTRI OMESSI deducono il vizio della motivazione in ordine all’interpretazione del contenuto delle comunicazioni intercettate (secondo alcuni ricorrenti, congetturale) e circa i criteri interpretativi forniti dalla P.G. Si evidenzia anche che il contenuto delle intercettazioni, utilizzate quale riscontro esterno a conferma della credibilità della chiamata in correità, sarebbe stato estrapolato dalle risultanze della deposizione testimoniale del Maresciallo f. e da brogliacci informali, anzichè dalla disposta trascrizione integrale delle stesse agli atti del giudizio, il cui contenuto risulterebbe nettamente difforme e contrastante.

– A.S., + ALTRI OMESSI lamentano violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla valutazione frazionata delle dichiarazioni di alcuni collaboratori. L’iter argomentativo seguito dai giudici d’appello risulterebbe manifestamente illogico nella parte in cui ritengono credibili le dichiarazioni dei collaboratori per affermare la penale responsabilità di alcuni imputati, mentre ne escludono l’attendibilità per la parte in cui costoro dichiarano l’estraneità ai traffici illeciti di altri imputati.

– Fi., + ALTRI OMESSI eccepiscono che il vizio della motivazione, in quanto la Corte di merito avrebbe, con motivazioni superficiali, disatteso le doglianze difensive in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Le dichiarazioni rese da costoro, con relativa chiamata in correità degli odierni imputati, sarebbero, secondo i ricorrenti, da considerarsi inattendibili per la mancanza del requisito del "disinteresse" e perchè prive di validi elementi di verifica.

– Fi., + ALTRI OMESSI denunciano il vizio della motivazione, quanto alla ritenuta sussistenza dell’ipotesi di reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 – T.U. stup., che mal si concilierebbe con i requisiti minimi imposti dalla norma citata per configurare una associazione dedita al narcotraffico, posto che, relativamente al programma criminoso, la compagine associativa era formata da tossicodipendenti aventi un unico scopo, quello di evitare la crisi di astinenza dall’assunzione di sostanze stupefacenti. In tal senso, deporrebbe l’ultimo periodo dell’art. 671 cod. proc. pen., comma 1, in base al quale fra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza, con la conseguenza che lo stato di tossicodipendenza verrebbe ad escludere la sussistenza di un programma indeterminato di consumazione dei reati in materia di sostanze stupefacenti e quindi il presupposto stesso del reato associativo. Inoltre, il dato strutturale del possesso di autovetture e di cellulari, valorizzato dalla Corte di appello, risulterebbe privo di significato, poichè corrisponde a comuni massime di esperienza che qualsiasi attività è comunque sorretta dall’uso anche minimo di beni e mezzi senza che ciò importi la prova dell’esistenza di una struttura organizzativa che vada al di là del mero accordo.

– Ca., + ALTRI OMESSI lamentano la violazione e la inosservanza dell’art. 73, comma 5, – T.U. stup. e la carenza e la illogicità della motivazione sul punto, avendo la Corte di appello di Ancona disatteso la richiesta effettuata dalla difesa degli imputati di applicare la suddetta circostanza attenuante, senza motivare alcunchè in ordine ai motivi di rigetto o non tenendo nella debita considerazione le deduzioni difensive contenute nell’atto di appello ed in particolare la condizione di tossicodipendenza degli imputati e il ruolo modesto attribuito agli imputati, anche in considerazione dei quantitativi di stupefacente.

Esaminando i motivi specifici A.S. lamenta:

– la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la omessa valutazione di elementi di prova decisivi, la erronea applicazione della legge penale quanto al reato associativo, in quanto l’attribuzione della responsabilità al prevenuto in ordine ai delitti contestati sarebbe il frutto di argomentazioni manifestamente illogiche e in violazione di tutti i criteri giuridici di valutazione della prova. Si evidenzia che dalle dichiarazioni del ci. risulterebbe indicata, per quanto riguarda alcune forniture di stupefacente, altra famiglia Albanese di Gioia Tauro;

mentre il dichiarante D.D. aveva escluso il coinvolgimento dei fratelli A. e A.S. nei traffici illeciti del ci., confermando che il fornitore era un A. di Gioia Tauro; la stessa identificazione dell’imputato quale conversante nelle comunicazioni intercettate sarebbe un elemento del tutto privo di idoneo riscontro probatorio, essendo il frutto di una personale interpretazione della P.G..

– la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la omessa valutazione di elementi di prova decisivi, erronea applicazione della legge penale quanto al reato di cui all’art. 73 – T.U. stup., non avendo la sentenza offerto alcuna motivazione con riferimento ai singoli fatti di cessione di stupefacente per cui è intervenuta la condanna.

Ca. denuncia:

– la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità delle motivazione, in quanto la parte motiva della sentenza impugnata, pur esistendo graficamente, non evidenzierebbe l’iter argomentativo adottato dalla Corte di appello per pervenire alla decisione impugnata, essendo ricorso il giudice di secondo grado ad una mera operazione di "copia ed incolla" delle motivazioni della sentenza di primo grado riguardanti l’imputato, alle quali avrebbe aggiunto l’elencazione degli atti di indagine asseritamente considerati prova della sua responsabilità, senza tuttavia far comprendere, sotto nessun profilo, come l’imputato abbia posto in essere le condotte delittuose a lui attribuite. In particolare, dalle dichiarazioni di Pe. nulla risulterebbe riferito circa il ruolo di spacciatore del Ca., così dalla deposizione del maresciallo f. risulterebbe soltanto un neutro contatto tra il Ca. ed il Pe., mentre nelle telefonate richiamate dalla Corte di appello (la cui attribuzione al Ca. è peraltro priva di riscontri) non si parlerebbe mai di droga e al più risulterebbero compatibili con un’attività di acquisto, ma non di spaccio. In ogni caso, dette telefonate non potrebbero confermare l’attendibilità delle dichiarazioni del Pe. circa l’attività di spaccio al minuto svolto dal Ca. per conto del gruppo Fiocco e che i contatti con alcuni correi sarebbero connessi all’attività di spaccio di stupefacenti. Del tutto mancante in sentenza, inoltre, sarebbe la motivazione in merito alla condotta riferita al Ca. nell’imputazione secondo la quale lo stesso avrebbe trasportato un quantitativo di droga per conto dei correi ricevendo in cambio di 1 o 2 grammi di eroina. Tale episodio non troverebbe la prova in nessuna telefonata e in nessuna dichiarazione dei coimputati. Su tale questione – oggetto di gravame – nessuna risposta sarebbe stata data dalla Corte di appello.

Ci. deduce:

– il difetto e la contraddittorietà della motivazione, in ordine alla sussistenza di prove a suo carico, in quanto la Corte di appello si sarebbe basata su prove inesistenti o travisate, omettendo di valutare le prove indicate dalla difesa. Si evidenzia che a carico dell’imputato sono poste le dichiarazioni di ci. e di Pe., tra loro contrastanti, quanto ai viaggi per acquistare la fornitura di droga (sia per il luogo sia per i quantitativi che per le modalità). Le dichiarazioni di ci. non avrebbero trovato alcun riscontro nè nelle dichiarazioni degli altri due collaboratori Pe. ed A.G., nè nell’attività di indagine. La motivazione risulterebbe illogica quanto alla valorizzazione, in chiave accusatoria, di alcune circostanze prive di consequenzialità logica rispetto all’affermazione della cosciente partecipazione all’organizzazione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti (alcune lettere di corrispondenza tra Ci. ed un detenuto; una telefonata intercorsa fra Al.Gi. e Fi.Fa.; la circostanza che Ci. avrebbe svolto il ruolo di autista del padre del ci.). Le stesse circostanze (in particolare, quanto alle presunte scarpe con tacco introdotte all’interno della Casa Circondariale) risulterebbero del tutto inverosimili e sfornite di supporto probatorio, mentre altre non avrebbero alcuna valenza dimostrativa (la telefonata fra Al. e Fi. dimostrerebbe soltanto che i due interlocutori conoscevano Ci.; così la circostanza che il Ci. era stato impiegato per breve tempo come autista presso il padre di ci.).

– il difetto di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità per il reato di cui all’art. 74 T.U. stup., in quanto la prova della partecipazione dell’imputato all’associazione poggerebbe su considerazioni superficiali e, a tratti, contraddittorie rispetto alle risultanze processuali. Gli elementi valorizzati attesterebbero unicamente la conoscenza tra loro di singoli appartenenti all’associazione in formazione, ma non la consapevole adesione dell’imputato al sodalizio criminoso.

D.M.B.A. lamenta:

– la violazione di legge in ordine alla declaratoria di inammissibilità della richiesta di patteggiamento allargato, erroneamente ritenuta tardiva.

– il vizio della motivazione, in quanto limitata a ritenere attendibili le dichiarazioni rese dai pentiti, senza neppure indicare quali fossero. Risulterebbero utilizzate come prova principale sia le dichiarazioni rese del teste Ab., il quale durante la sua deposizione avrebbe soltanto spiegato le intercettazioni telefoniche, sia le intercettazioni telefoniche, dalle quale non emergerebbe in alcun modo la prova certa del coinvolgimento dell’imputato nel presunto giro di spaccio di sostanze stupefacenti. Non vi sarebbe stato alcun sequestro di sostanza stupefacente a suo carico, mentre risulterebbero sequestrati degli orologi falsi.

F. denuncia:

– La nullità dell’avviso di fissazione udienza in appello, per omesso avviso al difensore, e la mancata traduzione dell’imputato.

– la inosservanza della legge penale, in quanto erroneamente l’imputato sarebbe stato identificato nel " G." o nel " Fo.", semplicemente sulla base di pure presunzioni ed indizi, peraltro discordanti.

Fi. lamenta:

– la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla richiesta ex art. 603 cod. proc. pen. di assunzione di tre testimonianze e di acquisizione di documentazione medica relativa alla condizioni di salute mentali riguardanti uno degli imputati, collaboratore di giustizia, che aveva reso testimonianza in sede dibattimentale.

– la carenza e illogicità della motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia ed inosservanza, erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, in quanto le dichiarazioni del Pe. risulterebbero prive di riscontri esterni, avendo la Corte di appello fatto solo un generico cenno ai contenuti delle conversazioni telefoniche come pure alle dichiarazioni rese da altri collaboranti ed imputati.

M. deduce:

– la mancanza di motivazione e il travisamento della prova, risultando la sentenza impugnata carente di correlazione con le emergenze processuali: e segnatamente sia con la chiamata di correità, posta a fondamento del ritenuto convincimento di colpevolezza, per essere ivi addebitato all’accusato la detenzione e lo spaccio di hashish e non di eroina, oggetto invece della pronuncia di condanna; sia con gli esiti delle intercettazioni, dalle quali non risulterebbe alcun riferimento all’asserito traffico di sostanza stupefacente di tipo eroina. E’ censurata la sentenza anche per la mancanza della certezza del fatto contestato e della sua commissione da parte dell’imputato. La motivazione sarebbe infine carente in ordine alla formulata richiesta con l’atto di appello di assoluzione ex art. 530 c.p.p., comma 1, dal reato di cui all’art. 73, comma 4, T.U. stup..

Mi. denuncia:

– la violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato associativo, in quanto la prova della partecipazione dell’imputato poggerebbe su considerazioni superficiali e, a tratti, contraddittorie, rispetto alle risultanze processuali. Gli elementi valorizzati attesterebbero unicamente la conoscenza tra loro di singoli appartenenti all’associazione in formazione, ma non la consapevole adesione dell’imputato al sodalizio criminoso.

– la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione del ricorrente al sodalizio criminoso, limitandosi il giudice di appello a formulare una, peraltro, scarna e superficiale "presunzione" di appartenenza al sodalizio, partendo da una condotta occasionale.

– la violazione di legge per disparità di trattamento ed illogicità manifesta della motivazione, in quanto per un singolo episodio di fornitura di sostanza stupefacente – analogo a quello contestato al ricorrente – la Corte di appello avrebbe attribuito all’imputato C. la responsabilità in ordine al solo reato di cui all’art. 73 T.U. stup..

P. lamenta:

– la carenza di motivazione e la inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, avendo la sentenza impugnata fondato la responsabilità dell’imputato sulla base elementi – dichiarazioni di collaboratori di giustizia, prive di qualsivoglia riscontro, e conversazioni telefoniche intercettate, prive di rilievo – interpretati in modo del tutto personale. La Corte di merito, avendo inoltre riconosciuto la episodicità dell’apporto dell’imputato al sodalizio criminoso (viaggio effettuato in Calabria su commissione del ci.), non poteva ritenere integrato il contributo richiesto dall’art. 74 T.U. stup. alla stabilità dell’unione illecita, destinata a durare nel tempo per l’attuazione del programma criminoso.

Pa. denuncia:

– la carenza, la manifesta illogicità della motivazione e il travisamento del fatto, in quanto la Corte di appello sarebbe pervenuta alla formulazione di un giudizio di colpevolezza nei confronti dell’imputato sulla base di una ricostruzione dei fatti vistosamente parziale ed infondata, perchè fondata su elementi labili ed effimeri, certamente insufficienti a ritenere integrato il reato contestato (così le esigue telefonate intercorse tra l’imputato ed il Fi. avrebbero ad oggetto circostanze del tutto inconsistenti e prive di rilievo rispetto ai fatti; così il debito di trenta milioni, le dichiarazioni testimoniali e i servizi di osservazione).

S. eccepisce:

– la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, non avendo la Corte di appello operato nessun esame critico della credibilità intrinseca del Pe., principale "accusatore" del S., le cui dichiarazioni risulterebbero interessate, generiche e sospette di mendacità, nè avrebbe esposto dei riscontri individualizzanti (considerato che nessuna delle intercettazioni richiamate risulterebbe a supporto degli episodi narrati dal Pe., in considerazione della loro collocazione temporale in epoca precedente ai presunti fatti da questo imputati al S., che invece si trovava in carcere, e dunque del tutto slegate dalla narrazione).

– la inosservanza e la erronea applicazione degli artt. 191 e 268 cod. proc. pen., art. 89 disp. att. cod. proc. pen., in quanto la Corte anconetana avrebbe illegittimamente assegnato valenza probatoria alle dichiarazioni rese dai testi Ab. e f., facenti parte del pool investigativo che aveva provveduto alle intercettazioni telefoniche, che sono stati chiamati in dibattimento ad esprimere interpretazioni soggettive e personali sul contenuto delle intercettazioni eseguite, sulla scorta della pedissequa lettura di schede informative e relazioni di servizio, indebitamente acquisite al fascicolo del dibattimento, con un procedimento, pertanto, di acquisizione della prova in violazione delle norme stabilite dal codice di rito.

– la inosservanza e la erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, degli artt. 74 e 73 T.U. stup., in quanto la Corte di appello non avrebbe superato il deficit dell’elemento costitutivo della fattispecie associativa già presente nella sentenza di primo grado, avendo limitato l’apporto dell’imputato ad un ruolo episodico e marginale.

T. infine deduce:

– la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei correi Pe. ed O., la cui utilizzabilità per riscontro incrociato non risulterebbe sottoposta alle previe dovute verifiche (assenza di "patto scellerato" tra i dichiaranti). In ogni caso, le dichiarazioni del coimputato O. non avrebbero offerto elementi individualizzanti, ovvero in grado di collegare il fatto stesso alla persona del chiamato; mentre le intercettazioni di conversazioni telefoniche, valorizzate quale riscontro alle dichiarazioni dei correi, risulterebbero effettuate a distanza di un anno dai fatti, pertanto prive di alcun valore individualizzante, e comunque di contenuto assolutamente neutrale.

Motivi della decisione

1. Esaminando preliminarmente i motivi comuni, deve osservarsi, relativamente al motivo con cui è denunciata la genericità dell’imputazione e indeterminatezza dei fatti contestati, che l’insufficiente enunciazione dell’imputazione nel decreto che dispone il giudizio determina una nullità relativa, che come tale deve essere eccepita, pena altrimenti la sanatoria, entro il termine previsto dall’art. 491 c.p.p., comma 1. Sul punto, non risulta dagli atti – nè i ricorrenti l’hanno peraltro allegata – la tempestiva (ovvero subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti) deduzione della suddetta nullità, con la conseguenza che l’intervenuta sanatoria ne impedisce la denuncia in questa sede (tra le tante, Sez. 5, n. 20739, 25/03/2010, Di Bella, Rv. 247590).

In ogni caso, l’assunto dei ricorrenti, concernente l’asserita genericità dell’imputazione formulata, è stato correttamente confutato dalla Corte territoriale la quale, con motivazione coerente agli atti processuali, ha rilevato come i capi di imputazione fossero sufficientemente circostanziati con riferimento alle principali modalità e ai singoli compartecipi delle condotte associative, bene a conoscenza degli imputati e in merito alle quali si era svolta un’ampia trattazione dibattimentale; e con riferimento alle modalità e alle persone cui venivano attribuiti gli atti di cessione o di ricevimento delle sostanze stupefacenti, con la indicazione delle circostanze aggravanti attribuite. Di talchè non può dubitarsi che gli imputati siano stati posti nelle condizioni di esercitare compiutamente il diritto di difesa.

Sul punto infatti deve ribadirsi che la nozione di "insufficiente enunciazione del fatto contestato", contenuta nell’art. 429 c.p.p., comma 2, deve essere dedotta dall’interprete con riferimento alla finalità che il decreto che dispone il giudizio si propone, e cioè quella di consentire all’imputato di conoscere il fatto che gli viene contestato in modo di porlo in grado di difendersi; che la insufficiente motivazione non è una categoria di carattere assoluto, nel senso che l’esistenza del vizio non va valutata in astratto, ma in relazione alla sua concreta idoneità a soddisfare la finalità suindicata; e che tale vizio rileva soltanto quando non sia del tutto possibile collocare nel tempo e nello spazio l’episodio criminoso contestato e non risultino chiari i profili fondamentali del fatto per il quale il giudizio è stato disposto (Sez. 1, n. 12149 del 02/03/2005, Cifarelli, Rv. 231615).

Non è pertanto necessaria, come sembrano pretendere i ricorrenti, una rappresentazione cronachistica del fatto contestato, ma scopo dell’imputazione è quello di rendere definibile l’oggetto dell’addebito e, quindi, possibile un’efficace difesa, che non viene quindi menomata se non si puntualizza questo o quel termine di riferimento della condotta isolatamente considerato.

2. Il motivo concernente la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. ed il relativo vizio di motivazione è infondato. La Corte di appello, quanto al delitto di cui all’art. 74 T.U. stup., ha invero ritenuto in sentenza non l’esistenza di due autonome e distinte compagini associative, ma di un unico sodalizio, organizzato al suo interno in due articolazioni intrinsecamente interconnesse in funzione della comune finale illecita attività di spaccio di sostanze stupefacenti. Tale precisazione non ha comportato una mutazione del fatto, posto che, come ha correttamente osservato la Corte di appello, la formulazione dell’imputazione del reato associativo delineava già analiticamente la suddivisione dei ruoli e dei compiti fra gli associati.

Va ribadito al riguardo l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui "per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione" (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).

Con particolare riferimento alle censure sul punto articolate dal ricorrente Fi., va altresì osservato che la sentenza impugnata ha riconosciuto all’imputato il ruolo di colui che, all’interno della suddetta associazione criminale, era responsabile della organizzazione per il territorio anconetano delle fasi della distribuzione e del recupero dei crediti vantati ed il capo di imputazione che lo riguardava, oltre a far riferimento espresso all’art. 74 T.U. stup., comma 1, descriveva, nella distribuzione gerarchica dei ruoli, la condotta a lui contestata non come quella di mera partecipazione all’associazione, bensì appunto come quella di "provvedere alla distribuzione, anche mediante la collaborazione di spacciatori di minor livello, della sostanza stupefacente loro fornita ed al recupero dei crediti maturati".

Le posizioni dei ricorrenti Se. e Pe. risultano derubricate, con l’attribuzione della meno grave condotta della "partecipazione" di cui all’art. 74 cit., comma 2, consistita in compiti essenzialmente esecutivi di decisioni prese ed ordini dati dalle figure di spicco dell’associazione, ma ontologicamente riguardanti pur sempre la distribuzione della droga ed il recupero dei crediti non pagati loro contestati.

3. Relativamente ai motivi in cui è denunciata l’inutilizzabilità delle intercettazioni per difetto di motivazione dei relativi decreti di autorizzazione e di proroga, nonchè dei decreti assunti dal P.M. ex art. 268 c.p.p., comma 3, devono ritenersi generiche e quindi inammissibili tutte le relative eccezioni. E’ principio consolidato che, qualora venga eccepita in sede di legittimità l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, è onere della parte, a pena di inammissibilità del motivo per genericità, indicare specificamente l’atto asseritamente affetto dal vizio denunciato e curare che tale atto sia comunque effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione (Sez. 5, n. 37694 del 15/07/2008, Rizzo, Rv. 241300), nonchè chiarire la relativa incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv.

243416). Tale onere, nella specie, non è stato assolto dai ricorrenti.

In ordine al denunciato vizio di motivazione sul punto della sentenza impugnata, deve osservarsi che il giudizio sulla congruenza di merito e sulla idoneità dell’apparato giustificativo dei decreti in questione spetta al giudice del fatto che, sollecitato, deve fornire motivazione adeguata e corretta sia sotto il profilo normativo e che logico-giuridico, sulla quale si esercita il controllo di legittimità. La Corte di appello nel caso in esame ha fornito risposta alle doglianze difensive (pag. 166 e ss.), con motivazione adeguata e priva di vizi logico-giuridici. Quanto ai decreti di intercettazione e di proroga ha infatti evidenziato che i decreti trovavano supporto argomentativo sufficiente nel richiamo per relationem delle richieste del P.M. e delle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, nonchè dell’assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini, non essendo possibile fare ricorso ad altri mezzi di investigazione per acquisire ulteriori elementi di reità a carico delle persona indagate e tentare una "sorpresa in flagranza". In ordine ai decreti esecutivi del P.M., la stessa Corte ha ritenuto assolto l’obbligo di motivazione, posto che in essi si dava atto sia delle "eccezionali ragioni di urgenza" richieste per l’esecuzione delle operazioni mediante l’impiego di apparecchiature diverse da quelle installate presso gli uffici della Procura (grave pregiudizio per le indagini con riferimento ad un’attività criminosa in corso di natura permanente), sia alla inidoneità delle apparecchiature di questo ufficio (necessità di collocare le attrezzature intercettanti a breve distanza dall’apparecchio da intercettare). L’eccezione risulta pertanto infondata.

4. Infondati sono altresì i motivi con cui è denunciata la erronea ed illogica valutazione dei risultati delle intercettazioni. La giurisprudenza di legittimità, che questo Collegio condivide, ha più volte affermato che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (da ultimo, tra le molte, Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724).

Nel caso in esame, la Corte di appello ha fornito, nella valutazione di quelle conversazioni poste a fondamento del giudizio di responsabilità dei ricorrenti, una spiegazione del tutto coerente in ordine al linguaggio utilizzato dagli imputati, in modo che la ricostruzione del contenuto delle conversazioni non ha lasciato margini di dubbio sul significato complessivo dei colloqui captati.

In particolare, il significato di alcuni termini convenzionali (come ad es. "coniglio", "maglioni", "cavalli") è stato decifrato dalla Corte di merito grazie alle dichiarazioni degli stessi imputati (così, Pe., Se.Da., O.), ovvero puntualmente confermati dai fatti che si sono potuti accertare (come ad es. "la roba marrone è stata qualificata come stupefacente grazie ad un servizio di osservazione).

Quanto alla censura relativa alla fonte di prova utilizzata, va osservato che dalla sentenza impugnata risulta che la Corte di merito, lungi dal recepire acriticamente le interpretazioni, le valutazioni e le considerazioni espresse dai testi impegnati nelle operazioni captative (cfr. pag. 172 e ss.), ha tenuto conto esclusivamente della trascrizione delle registrazioni.

Le doglianze infine con le quali alcuni ricorrenti lamentano la difformità tra quanto ritenuto dal giudice in ordine al contenuto di un’intercettazione e quello che realmente emerge dalle trascrizioni, sono inammissibili per genericità. Va ribadito al riguardo che è possibile prospettare in sede di legittimità che il significato di una intercettazione sia palesemente diverso da quello proposto dal giudice di merito soltanto in presenza del vizio di travisamento della prova, sempre che l’errore sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio (Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Donno, Rv.

237994). Il che impone al ricorrente un preliminare peculiare onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi (integrale esposizione e riproduzione nel ricorso, allegazione in copia, ecc.) (tra le tante, Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233711).

Onere nella specie non assolto.

Ne consegue che le critiche mosse al senso e al significato dato ai colloqui registrati devono ritenersi non accogliibili.

5. Infondate sono anche le doglianze con le quali alcuni ricorrenti si lamentano del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. La Corte di appello ha infatti correttamente richiamato ed applicato i principi elaborati al riguardo dalla giurisprudenza di questa Corte, con particolare riferimento al procedimento logico-giuridico che contraddistingue tale valutazione. Il giudice deve sciogliere il problema della credibilità del dichiarante in relazione, tra l’altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità ed alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei coautori e complici; deve poi verificare l’intrinseca consistenza e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità; infine egli deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni.

Nel caso in esame, la Corte di appello, rispondendo alle doglianze avanzate negli atti di gravame, ha fatto proprio il positivo giudizio espresso dai primi giudici sull’attendibilità sotto il profilo soggettivo delle chiamata di correo, in quanto rese senza che i collaboratori avessero subito pressioni o condizionamenti esterni, effettuate in modo costante sin dall’inizio della collaborazione e fino alle deposizioni dibattimentali, espresse attraverso un racconto dotato di coerenza e logica interne oltre che connotato da una molteplicità di particolari, provenienti da soggetti che non avevano alcun interesse a che i fatti in questione venissero a conoscenza dell’autorità giudiziaria, ritenendo irrilevante l’interesse ad ottenere un più mite trattamento sanzionatorio ed un programma di protezione. Sotto tale ultimo profilo, le doglianze dei ricorrenti non colgono nel segno nel denunciare un personale interesse dei collaboratori a fruire dei benefici premiali, poichè tale generico interesse non è di per sè solo elemento idoneo ad intaccare la credibilità delle dichiarazioni ove il giudice le abbia doverosamente sottoposte a vaglio critico (Sez. 3, n. 8161 del 26/11/2009, dep. 02/03/2010, La Delfa, Rv. 246210). Quanto alle altre censure avanzate dai ricorrenti negli atti di appello, aventi ad oggetto la mancata risposta da parte del giudice di secondo grado, va ribadito che la motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua se il giudice abbia confutato gli argomenti che costituiscono la "ossatura" dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002, dep. 14/01/2003, Delvai, Rv. 223061). La motivazione per relationem è in ogni caso legittima, quando le questioni di fatto sottoposte al giudice del gravame siano state – come nella specie – già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice. In tal caso, pertanto, con procedimento argomentativo legittimo, si è fatto rinvio alle valutazioni espresse sulla attendibilità dei dichiaranti dal primo giudice, dalle quali il giudice dell’appello ha ritenuto di non discostarsi.

In ogni caso, va tenuto presente che la valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante e quella della attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni non si muovono secondo parimenti stagni – come sembrano pretendere i ricorrenti – ma è imposta al giudice una considerazione unitaria dei due aspetti, pur logicamente scomponibili (Sez. 6, n. 11599 del 13/03/2007, Pelaggi, Rv. 236151).

Ciò comporta che, pur in presenza di elementi incerti circa l’attendibilità del racconto, il giudice non può esimersi dal vagliarne la tenuta probatoria alla luce delle complessive emergenze processuali, posto che, salvo il caso estremo di sicura inattendibilità del dichiarato, per cause soggettive od oggettive, il convincimento del giudice deve formarsi sulla base di una valutazione globale di tutti gli elementi di informazione raccolti legittimamente nel processo.

Nel caso in esame, la Corte di appello, superando le obiezioni difensive sulla credibilità soggettiva dei correi, ha ritenuto, all’esito di una valutazione unitaria del materiale probatorio raccolto, che il racconto di costoro era da ritenersi attendibile, perchè suffragato da univoci riscontri individualizzanti.

Quanto alla valutazione "frazionata" delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, deve osservarsi che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo condivisibilmente affermato il principio della scindibilità della prova dichiarativa. Si richiede, a tal fine, che non esista un’interferenza fattuale e logica tra la parte della narrazione, ritenuta falsa oppure non confermata, e le restanti parti che siano intrinsecamente attendibili e riscontate e che la falsità di una parte della dichiarazione non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la complessiva credibilità del dichiarante (Sez. 6, n. 20514 del 28/04/2010, Arman Ahmed, Rv.

247346). La verifica dell’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni può portare quindi ad esiti differenziati, anche quando la riconosciuta inattendibilità di alcune di esse dipenda dall’accertata falsità delle medesime, purchè esista una ragione specifica che abbia indotto il dichiarante a rendere quelle singole false propalazioni (Sez. 4, n. 9450 del 24/01/2008, Soldano, Rv.

239254).

Nel caso in esame, la Corte di merito si è attenuta ai suddetti principi interpretativi, palesando, con adeguata motivazione – per ciò incensurabile in sede di sindacato di legittimità – le ragioni per le quali la valutazione frazionata non si è risolta in un complessivo contrasto logico-giuridico della prova dichiarativa. La Corte ha invero ritenuto parzialmente inattendibili le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ci.lu.gi. e A. G. nella parte in cui è stato escluso il coinvolgimento nei fatti di cui al processo di alcuni soggetti e, in particolare, quanto al ci., del padre G., di S.G. e di C.A. e, quanto all’ A., dei propri fratelli A. e S., fornendo una plausibile spiegazione della falsità di quelle parti delle loro dichiarazioni (preservare le posizioni di alcuni stretti congiunti e di persone loro particolarmente vicine) ed esponendo, a carico delle persone chiamate in reità o in correità, l’esistenza di sicuri e penetranti riscontri.

Sul punto, la Corte di merito ha evidenziato, con motivazione priva di vizi logico-giuridici, la portata sinergica delle dichiarazioni accusatorie e la molteplicità degli ulteriori, consistenti elementi di riscontro idonei ad istituire un collegamento diretto con i fatti ed il soggetto contro il quale si procede.

Elementi di riscontro che – come è noto – possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, potendo quindi risolversi anche in altre chiamate in correità.

Quanto alla valenza dimostrativa degli elementi richiamati dai giudici di merito quale riscontro delle suddette dichiarazioni, devono richiamarsi i limiti che incontra il sindacato di legittimità in ordine alle valutazioni operate dai giudici di merito in relazione alle dichiarazioni provenienti dai soggetti indicati nell’art. 192 c.p.p., comma 3 e 4, che non può investire la valutazione di tali dichiarazioni e di ciascun elemento di riscontro, trattandosi di materia riservata esclusivamente al giudice di merito. In questa sede può procedersi soltanto ad una verifica della coerenza logica delle argomentazioni con le quali è stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in se stessi e nel loro reciproco collegamento.

Dell’esito di tale controllo si dirà in seguito esaminando le singole posizioni.

6. In ordine alle doglianze relative all’assenza nella fattispecie accertata dei tratti essenziali del sodalizio criminale, se ne deve constatare l’infondatezza. E’ principio più volte affermato – e che va qui ribadito – che, ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (Sez. 6, n. 40505 del 17/06/2009, Il Grande, Rv. 245282).

E’ sufficiente pertanto anche un’elementare predisposizione di mezzi, pur occasionalmente forniti da taluno degli associati o compartecipi, sempre che gli stessi siano in concreto idonei a realizzare in modo permanente il programma delinquenziale oggetto del vincolo associativo (Sez. 6, n. 25454 del 13/02/2009, Mammoliti, Rv. 244520).

Prive di fondamento giuridico sono anche le censure sulla configurabilità del delitto di cui all’art. 74 T.U. stup. in presenza di partecipanti tossicodipendenti. Basti solo osservare che l’art. 74 cit. prevede una specifica aggravante proprio nell’ipotesi in cui tra i partecipanti ci siano persone dedite all’uso di stupefacenti, la cui ratto è quella di tutelare la collettività da parte di organizzazioni particolarmente pericolose per la maggior spinta propulsiva nella attività di ricerca e distribuzione della droga svolta dai tossicodipendenti.

7. Devono ritenersi infondati i motivi relativi alla richiesta di applicazione dell’attenuante speciale di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup..

La Corte di appello con riguardo a tutti gli imputati ha disatteso la richiesta di applicare la circostanza del fatto della lieve entità, con valutazione di fatto non sindacabile in questa sede di legittimità, in quanto adeguata e rispettosa dei criteri indicati dalla norma (modalità delle condotte, stabile e continuativa attività di detenzione e spaccio, pluralità e quantità delle sostanze trattate). Poichè la ratto della norma è quella di accordare una particolare attenuazione con riferimento alla dimensione offensiva del fatto concreto, ove quest’ultimo si riveli come minimamente pericoloso rispetto al risultato della diffusione degli stupefacenti, valutata nel suo complesso e, quindi, sia sotto il profilo della consistenza qualitativa e quantitativa sia sotto il profilo delle caratteristiche dell’azione, ove venga meno anche solo uno degli indici previsti dalla norma, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri.

8. Passando ad esaminare i motivi specifici presentati dai singoli ricorrenti, deve ritenersi fondato il ricorso di A.S. nei termini appresso indicati.

La sentenza impugnata effettivamente appare affetta da manifeste incongruenze argomentative nell’esposizione degli elementi posti a fondamento del giudizio di colpevolezza dell’imputato per le condotte criminose contestate.

Orbene, la sentenza motiva che ci.lu.gi., illustrando i suoi rapporti con i "fratelli A." con i quali aveva instaurato uno stabile e continuo rapporto di rifornimento di stupefacente da introdurre nelle Marche, avrebbe fatto sempre "implicito" riferimento ai fratelli S. e G. con i quali aveva contatti telefonici. Sul punto, tuttavia è la stessa sentenza (pag. 31), nel riportare le dichiarazioni rese dal ci., come esposte dal primo giudice, a porre in evidenza che costui ebbe ad escludere di aver intrattenuto rapporti con gli A. relativi a rifornimenti di droga. Tant’è che il primo giudice (cfr. pagg. 51, 86 – 91), nel ritenere il collaborante inattendibile sul punto, aveva giustificato questa reticente versione dei fatti, che poteva minare la complessiva credibilità delle sue dichiarazioni, con la preoccupazione del ci. di coinvolgere i fratelli A. e quindi di compromettere la posizione del proprio padre G., anello di collegamento con costoro.

In ogni caso, la sentenza impugnata, oltre a non fornire motivazione alcuna su questa originale ed antitetica lettura delle dichiarazioni del ci., appare del tutto assertiva là dove afferma che il riferimento fatto da quest’ultimo ai fratelli A. doveva riguardare implicitamente anche S..

Nessun elemento di riscontro individualizzante è altresì evidenziato dal giudice di appello a supporto delle dichiarazioni di ci.: così le dichiarazioni di D.D. (tra l’altro ritenute dal primo giudice parzialmente inattendibili, proprio nella parte in cui erano tese ad escludere il ruolo dei fratelli A., cfr. pag. 59); così le conversazioni intercettate, dimostrative, così come esposte, dell’attività di smercio di stupefacente da parte dei "fratelli A.", ma non del personale coinvolgimento di S..

Si è in presenza, pertanto, di gravi carenze e vizi logici manifesti che minano il ragionamento compiuto dai giudici di merito e che impongono l’annullamento della sentenza con rinvio alla Corte di appello competente affinchè proceda ad un nuovo giudizio in ordine alla posizione di A.S..

9. Va accolto il ricorso di Mi. nei termini di seguito esposti.

Fondata è la doglianza con cui lamenta il vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato associativo, in quanto la sentenza impugnata non offre adeguata motivazione sulla partecipazione dell’imputato all’organizzazione criminale. A fronte dell’affermazione del collaboratore ci. che costui "gestiva parte dei suoi traffici in Senigallia" e del coinvolgimento dell’imputato in un unico trasporto di droga in compagnia del ci., la sentenza non espone quali siano le evidenze probatorie dimostrative, anche per facta concludentia, nel senso in precedenza precisato, della consapevole partecipazione dell’imputato al gruppo criminale. A tal fine infatti la sentenza espone degli elementi, ritenuti di riscontro alle propalazioni del ci., non spiegando tuttavia come gli stessi si pongano logicamente in correlazione con i fatti da dimostrare. Così le dichiarazioni rese dal teste Ab. circa le frequentazioni dei ci. con il Mi. e le cambiali rinvenute all’arresto nel 1992 del ci.gi., così le limitate conversazioni intercettate, al più dimostrative, così come rappresentate dal giudicante, di contatti e di rapporti economici tra i due, ma non collegate – nell’ignoranza del loro oggetto – ad un traffico illecito di stupefacenti.

Le gravi lacune della motivazione della sentenza impugnata ne comportano l’annullamento per nuovo giudizio limitatamente al reato di cui all’art. 74 T.U. stup. contestato al Mi..

10. Fondato è anche il ricorso del Ca. nei termini di seguito descritti.

Va accolto il motivo con cui il ricorrente lamenta il vizio della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato a lui ascritto. Al Ca. era addebitato di aver detenuto, al fine di spaccio, quantitativi non modici di stupefacente, tra i quali un quantitativo che provvedeva a trasportare, ricevendo in cambio 1 o 2 grammi di eroina.

I giudici di merito hanno ritenuto provata la suddetta imputazione, in considerazione dello svolgimento da parte dell’imputato di una continuativa attività di spaccio di eroina, risultante dalle dichiarazioni di Pe., dalle intercettazioni telefoniche e dai servizi di osservazione di p.g..

Peraltro, dalla stessa sentenza impugnata (pag. 39), si rileva che:

Pe. ebbe soltanto a dichiarare che l’imputato aveva "fatto parte" del gruppo di Fi., senza fornire indicazioni circa la sua attività di spacciatore o comunque di detentore di sostanze stupefacenti; le altre emergenze processuali richiamate dai giudici di merito non appaiono in ogni caso dimostrare univocamente un’attività di spaccio (il teste f. riferisce di un episodio di spaccio nel quale è il Ca. a versare denaro al Pe.;

nella conversazione del 6 agosto 1994 è il Ca. a richiedere al Se. di acquistare le "cinte"); nulla si dice circa il trasporto di eroina contestato nell’imputazione.

Tali incongruenze rendono gravemente carente e manifestamente viziato il ragionamento giustificativo della sentenza impugnata, con conseguente annullamento della stessa per nuovo giudizio nei confronti del Ca..

11. Deve constatarsi invece l’infondatezza del ricorso di Ci..

La prova della responsabilità dell’imputato è stata fondata dai giudici di merito sulle dichiarazioni dei collaboratori ci. e Pe., tra loro convergenti in ordine ai fatti oggetto di narrazione e confermate da altri riscontri individualizzanti (il tenore delle conversazioni intercettate appare più che esplicito nel dimostrare i rapporti e i traffici illeciti riguardanti l’imputato).

La circostanza che le dichiarazioni di costoro non siano perfettamente sovrapponibili non ne determina di per sè la automatica svalutazione ai fini probatori, essendo sufficiente la loro confluenza sui comportamenti riferiti alla persona dell’imputato e alle imputazioni a lui attribuite, cioè l’idoneità delle dichiarazioni a riscontrarsi reciprocamente nell’ambito della cosiddetta "convergenza del molteplice". Deve pertanto privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere, restando irrilevanti le eventuali divergenze o discrasie che investano elementi circostanziali del fatto. La precisione e specificità delle dichiarazioni va posta anche in relazione alle caratteristiche dei fatti riferiti: è ovvio che per i fatti che si connotano per la loro unicità (per es. un omicidio) il grado di specificità dei dettagli e la loro precisione dovrà essere richiesta con maggiore rigore rispetto ad un’attività ripetitiva ed uniforme con pluralità di condotte (quale è l’attività di traffico di sostanze stupefacenti).

L’imprecisione o l’errore, nel riferire alcuni dettagli dei fatti, ben può dipendere dall’attenzione prestata ai fatti stessi dal dichiarante nell’epoca di loro verificazione, dalle capacità mnemoniche ed intellettive e dal vissuto del dichiarante.

Sono già stati enunciati i limiti del sindacato di legittimità in ordine alle valutazioni operate dai giudici di merito in relazione alle dichiarazioni provenienti dai soggetti indicati nell’art. 192 c.p.p., comma 3 e 4, e ai relativi riscontri. Basti qui osservare che il discorso giustificativo non appare affetto ictu oculi dalle illogicità denunciate in ricorso quanto alla valenza dei vari elementi di prova.

Non è consentito altresì in sede di legittimità procedere alla verifica dell’esistenza del dato probatorio utilizzato, se non nei limiti del vizio del travisamento della prova, con conseguente onere del ricorrente – nella specie non assolto – di suffragare la validità dell’assunto mediante la rappresentazione nelle forme adeguate (completa trascrizione, allegazione di copia, ecc.) dell’atto che si assume travisato.

Quanto al difetto di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità per il reato di cui all’art. 74 T.U. stup., la sentenza impugnata resiste alle censure mosse, avendo i giudici merito motivato il loro convincimento nel rispetto dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema in tema di prova del vincolo permanente, già in precedenza enunciati.

Nel caso in esame, la sentenza impugnata, oltre alle dichiarazioni dei collaboratori, ha valorizzato, quali facta concludentia, i contatti continui dell’imputato con gli altri associati aventi ad oggetto il traffico di stupefacente e la commissione di reati rientranti nel programma criminoso. Quanto alla valorizzazione in chiave probatoria di alcune circostanze emerse dagli atti processuali, va ribadito che la valutazione della prova impone di considerare ogni singolo fatto e il loro insieme non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, bensì di verificare se essi, ricostruiti in sè e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale.

12. Infondati sono i ricorsi di c., D.G., Sp. e Z..

Oltre a quanto già osservato in ordine alle sopra richiamate censure presentate dai ricorrenti, deve constatarsi anche l’infondatezza della doglianza riguardante la motivazione della sentenza impugnata.

Relativamente alla posizione di c. e Z., la Corte di merito, lungi dal basarsi sulla sola chiamata del collaboratore Pe., ha richiamato quale elemento di riscontro individualizzante le convergenti dichiarazioni di O. e il contenuto di molteplici conversazioni intercettate dal significato molto eloquente quanto alle attività illecite contestate.

Anche per D.G. e Sp. la Corte di appello ha verificato l’attendibilità oggettiva delle dichiarazioni accusatorie del Pe. attraverso specifici riscontri, costituite nella specie dagli esiti delle operazioni captative, confermative degli acquisti di droga effettuati dagli imputati presso il "gruppo Fiocco" e dei relativi debiti contratti (che avevano determinato il gruppo a "pestare" il D.G.).

13. Infondati sono anche i restanti motivi di ricorso articolati da Fi..

Relativamente alla mancanza di motivazione in ordine alla richiesta ex art. 603 cod. proc. pen., va ribadito il principio secondo cui la rinnovazione, ancorchè parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Ne deriva che mentre la rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dare conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione può essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (da ultimo, tra le tante, Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D. S. B., Rv. 247872).

In ordine alla carenza e illogicità della motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, oltre alle considerazioni già espresse in precedenza, va qui aggiunto che molte delle censure del ricorrente devono ritenersi prive di specificità, poichè non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata, là dove richiamano passaggi delle dichiarazioni del collaboratore Pe. non valorizzate dal giudice dell’appello. Infondata è poi la doglianza dell’assenza di riscontri esterni alle dichiarazioni del Pe.:

la sentenza ha illustrato non solo le convergenti dichiarazioni di altri imputati ( O., Pa., ci.) circa il ruolo assunto dal Fi. nell’organizzazione, la continuativa attività di spaccio effettuata attraversi i "cavalli", i rifornimenti di droga dalla Calabria, ma anche le singole conversazioni intercettate, dimostrative dei rapporti tra i vari associati e delle attività illecite dagli stessi attuate, e gli esiti dei servizi di osservazione, che avevano confermato la fitta rete di contatti con gli altri partecipanti al gruppo criminale.

14. Deve essere rigettato il ricorso di S..

In ordine alla ritenuta credibilità intrinseca del collaboratore Pe. e inattendibilità del collaboratore ci., si richiamano le conclusioni di infondatezza già espresse nella trattazione dei motivi comuni.

Priva di pregio è la deduzione con cui si sostiene che le dichiarazioni del Pe. non descriverebbero una condotta penalmente rilevante a carico del ricorrente. Il ruolo rivestito dall’imputato nel gruppo criminale e i suoi rapporti con il ci., così come riferito dal Pe., non può essere certo svilito a mere neutre frequentazioni, prive di rilevanza penale, visto il contesto associativo in cui le stesse si attuavano e la riferita partecipazione dello stesso imputato – quale staffetta – ad un fornitura di stupefacente proveniente dalla Calabria. Nè può ritenersi il contributo prestato dall’imputato al sodalizio criminale solo occasionale o episodico, come è dato desumere dal compendio probatorio illustrato dai giudici di merito.

Infondata è altresì la dedotta mancanza dei riscontri individualizzanti a tali dichiarazioni. Le varie intercettazioni richiamate a supporto dell’attendibilità della chiamata del Pe. confermano quella fitta rete di contatti intrattenuta con gli associati, il sicuro rapporto fiduciario ed il ruolo da questi descritto (ovvero, di coadiutore del ci., con il quale intrattiene stretti rapporti come confermano i numerosi servizi di osservazione) e lo svolgimento di un’attività di traffico di stupefacenti.

Inammissibili sono in questa sede sia le doglianze con cui il ricorrente, nel criticare la ricostruzione delle vicende operata dal giudice di merito, oppone una serie di circostanze di fatto e una diversa lettura delle emergenze processuali, che non possono essere prese in considerazione in sede di legittimità; sia le censure con cui chiede alla Corte di legittimità di verificare la veridicità delle affermazioni del Pe., attraverso il diretto esame degli atti processuali.

La questione della illegittima utilizzazione probatoria delle testimonianze degli operanti Ab. e f., facenti parte del pool investigativo che aveva provveduto alle intercettazioni telefoniche, sul contenuto delle intercettazioni eseguite, è già stata affrontata, nel senso dell’infondatezza, nei motivi comuni. Si deve, pertanto, stigmatizzare la genericità del motivo di ricorso, non avendo il ricorrente in questa sede, come sue onere, in forza del principio di autosufficienza del ricorso, provveduto a confutare le argomentazioni del giudice di appello che ha evidenziato di non aver utilizzato le deposizioni testimoniali dei predetti ufficiali di polizia giudiziaria per stabilire ed "interpretare" il contenuto delle conversazioni intercettate.

15. Infondato è il ricorso di F..

Oltre alle conclusioni di rigetto già espresse per i motivi comuni, deve ritenersi manifestamente infondata la violazione di legge dedotta nel primo motivo. Dal verbale dell’udienza dell’8 novembre 2007 – nella quale il ricorrente assume si sia verificata la nullità per omesso avviso al difensore di fiducia – si evince che la Corte di appello, preso atto dell’omesso avviso, ha rinviato il procedimento a nuova udienza. Stante il rinvio dell’udienza, ne consegue che nessun rilievo ha l’ulteriore censura avente ad oggetto la mancata traduzione dell’imputato detenuto (che, a dir il vero, dal medesimo verbale risulta in stato di libertà).

Quanto alla dedotta incertezza dell’identificazione del " G." o nel " Fo." nell’imputato, basti qui osservare che la sentenza di appello è pervenuta a tale conclusione sulla base della testimonianza del teste f.. Una volta riscontrata l’esistenza di un logico apparato argomentativo su tale punto della decisione impugnata, non è consentito in sede di legittimità procedere ad una lettura alternativa delle acquisizioni processuali.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

16. Infondato è il ricorso di M. anche per i restanti motivi. Generico e quindi non ammissibile appare il motivo con cui si denuncia la mancata correlazione della motivazione con le emergenze processuali e segnatamente con le dichiarazioni del collaboratore Pe. e con le trascrizioni delle conversazioni intercettate, non avendo il ricorrente assolto al peculiare onere di suffragare la validità del proprio assunto con la idonea rappresentazione del vizio, ovvero attraverso la allegazione della fonte di prova che si assume travisata.

Il discorso giustificativo non risulta inoltre affetto dai vizi denunciati, considerato che la chiamata fornita dal Pe. circa l’appartenenza del M. al "gruppo Fiocco" è stata riscontrata dagli esiti delle intercettazioni, nelle quali è emerso esplicitamente il coinvolgimento dell’imputato in un’attività di spaccio dello stupefacente.

Deve infine ritenersi manifestamente infondata l’ultima doglianza, in quanto non vi è l’interesse dell’imputato, assolto perchè il fatto non sussiste ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, a proporre impugnazione, atteso che tale formula – relativa alla mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorietà della prova – non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria, nè segnala residue perplessità sull’innocenza dell’imputato, nè derivano incidenze pregiudizievoli e l’interesse all’impugnazione non sussiste ove si risolva in una pretesa, meramente teorica ed astratta, all’esattezza giuridica della pronuncia e sia, comunque, tale da non condurre ad alcuna modifica degli effetti del provvedimento (Sez. 5, n. 27917 del 06/05/2009, Merlo, Rv. 244207).

17. Infondato è ricorso di D.F..

Oltre a quanto già osservato in merito ai motivi comuni ad altri ricorrenti, deve constatarsi l’infondatezza della censura relativa alla mancanza di riscontri alle dichiarazioni del collaboratore Pe., posto che la Corte di merito ha evidenziato numerose conversazioni intercettate tra il D.F. e appartenenti al "gruppo Fiocco", dimostrative dell’attività illecita addebitata al predetto.

18. Infondato è il ricorso di C..

Sono state già affrontate le doglianze concernenti il ricorso alla "valutazione frazionata" delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. I giudici di merito hanno fornito una logica spiegazione del perchè non potevano essere ritenute credibili le dichiarazioni di ci.lu.gi. in ordine all’estraneità di C. nei fatti par cui è causa. La versione fornita dal ci., che aveva confessato di aver effettuato un acquisto di cocaina in compagnia e grazie al finanziamento del C. tuttavia all’oscuro dei fatti – risultava infatti inverosimile quanto alla partecipazione inconsapevole del C. alla trattativa e comunque smentita da quanto dichiarato dal coimputato Mi.. Quest’ultimo – che era stato presente ai fatti – aveva dichiarato che il C. partecipò direttamente all’incontro con il fornitore, che si era concluso con l’acquisto della cocaina, e poi all’occultamento della droga presso un capannone.

Infondata è la censura relativa alla mancanza di riscontri alla chiamata in correità di Mi., in quanto i necessari riscontri individualizzanti possono essere offerti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico (come nella specie).

Non possono trovare ingresso in questa sede le censure volte a contestare la ricostruzione dei fatti a cui è pervenuto il giudice del merito, lamentando il travisamento delle dichiarazioni del Mi., in quanto il ricorrente non ha assolto il preliminare onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023).

19. Inammissibile è il ricorso di P..

Manifestamente infondata è la doglianza con cui denuncia la carenza di motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputato, per mancanza di riscontri alle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia. Nella specie, la Corte di appello ha evidenziato che dalle convergenti dichiarazioni dei collaboranti e di altri coimputati era risultato provato il pieno coinvolgimento del P. nella struttura e nell’attività del sodalizio criminoso, facente capo al ci., tanto nelle attività di trasporto e consegna dello stupefacente riferite al gruppo di appartenenza, tanto nel ruolo di "guarda spalle" e coadiutore del ci.. Tali dichiarazioni risultavano ulteriormente riscontrate dalle conversazioni intercettate, dimostrative dei compiti affidati al P. all’interno dell’associazione.

Quanto alla doglianza relativa alla valutazione operata dal giudice di merito circa il significato delle intercettazioni telefoniche e delle dichiarazioni di coimputati, il ricorrente invoca un controllo di merito che esula dai compiti affidati al giudice di legittimità.

Dall’esame del testo della sentenza impugnata non emergono infatti manifeste illogicità della motivazione, rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito.

Deve infine ritenersi manifestamente infondato il motivo riguardante il contributo partecipativo dell’imputato, che si assume limitato ad un unico viaggio in Calabria. Come già esposto poc’anzi, le evidenze processuali hanno consentito di ricostruire il ruolo partecipativo del P. al sodalizio criminale non certo limitato a tale unico episodio.

20. Inammissibile è il ricorso di D.M.B.A..

Manifestamente infondata è la censura con cui il ricorrente lamenta la violazione di legge in ordine alla declaratoria di inammissibilità della richiesta di patteggiamento allargato. La Corte di appello ha correttamente rigettato la richiesta di sospensione del procedimento per valutare l’opportunità di avanzare richiesta di applicazione di pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 5 dalla legge 12 giugno 2003, n. 134 (modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti), in quanto la richiesta di applicazione della pena formulata in base alla suddetta legge è inammissibile nei giudizi di appello. La norma, che consente detta richiesta nei procedimenti in corso di dibattimento per i quali sia decorso il termine di cui all’art. 446 c.p.p., comma 1, è infatti dettata con esclusivo riguardo ai giudizi di primo grado (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226073; Sez. 2, n. 15430 del 09/04/2008, Fierro, Rv. 239797).

In particolare la citata pronuncia delle Sezioni unite ha chiarito, con riferimento alla applicazione della norma transitoria nei giudizi di impugnazione che la richiesta di cui all’art. 444 c.p.p. non può che essere anteriore alla sentenza di primo grado. In presenza di un accertamento di responsabilità non vi sarebbe alcuna base normativa per trasformare la sentenza di condanna in una sentenza di applicazione della pena, con l’eventuale diminuzione della sanzione applicata e con gli altri vantaggi previsti per il patteggiamento.

Una trasformazione del genere nel giudizio di impugnazione sarebbe inoltre ingiustificata perchè avverrebbe in mancanza della corrispettività tipica dell’istituto.

Identica sorte merita anche la restante censura. I motivi di ricorso, con cui si denuncia il vizio della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo b), risultano infatti generici, in quanto il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, riproponendo negli stessi termini le questioni di diritto sostanziale o processuale contenute dei motivi di appello, pur confutati nella sentenza di secondo grado. Ne consegue l’inammissibilità, perchè trattasi di motivi apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso.

21. Inammissibile è il ricorso di Pa..

Il discorso giustificativo non risulta affetto dai vizi denunciati, poichè oltre alle dichiarazioni del collaboratore Pe., che ha indicato l’imputato come uno dei destinatari delle partite di droga immessa dal gruppo sul mercato, i giudici di merito hanno richiamato il contenuto di varie intercettazioni, nelle quali è emerso esplicitamente il coinvolgimento dell’imputato nelle attività illecite contestate, e la deposizione del teste f., che ha riferito della frequentazione da parte dell’imputato dei componenti del gruppo "Fiocco".

Va considerato che il controllo di legittimità sulla motivazione si appunta esclusivamente sulla coerenza strutturale della decisione, di cui viene verificata l’oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico- argomentativo. Da ciò discende l’inammissibilità di quelle critiche alla motivazione le quali, oltre a comportare una invasione nel merito, segnalano pretese inadeguatezze della giustificazione della decisione impugnata, prive delle notazioni indicate dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Nel controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve infatti stabilire se la decisione di merito delinei effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la prospettata giustificazione sia compatibile con il senso comune e sia in linea con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale corrente.

22. Il ricorso di T. è inammissibile.

In ordine alla doglianza con cui si denuncia la omessa verifica dell’attendibilità soggettiva del collaboratore Pe., trattasi all’evidenza di censura inammissibile per genericità in presenza di una motivazione del giudice di merito che affronta espressamente, e certamente in modo non illogico, il tema. La Corte di appello – come già esposto in precedenza – si è pronunciata sull’attendibilità soggettiva del chiamante, condividendo il giudizio positivo espresso in modo articolato dal primo giudice, che ne aveva apprezzato in particolare la spontaneità ed indipendenza da suggestioni o condizionamenti che potevano inficiarne la veridicità. Le doglianze del ricorrente appaiono inoltre meramente assertive quanto a supposte collusioni con altri dichiaranti, posto che non erano emersi specifici elementi atti a far ragionevolmente sospettare accordi fraudolenti o anche solo reciproche suggestioni con l’imputato O..

Quanto all’utilizzazione probatoria delle dichiarazioni del Pe., è principio oramai pacifico che la chiamata in correità o in reità può costituire prova piena della responsabilità dell’imputato quando sia riscontrata da un’altra chiamata che abbia valenza individualizzante. Nel caso in esame, le dichiarazioni di O. sono state correttamente utilizzate quale riscontro individualizzante, in quanto pienamente convergenti non solo sul fatto attribuito (nella specie, la cessione di quantitativi di eroina al gruppo "Fiocco"), bensì anche sulla riferibilità dello stesso all’imputato.

Quanto al richiamo del contenuto di alcune conversazioni telefoniche intercettate tra il T. e il Fi. e Se.Fa., relative al periodo marzo 1994 – maggio 1995, la sentenza non è incorsa in alcuna contraddizione logica, come sostiene il ricorrente.

Il racconto di Pe. (ovvero, che i rapporti di fornitura con il gruppo del T. sarebbero cessati alla fine del novembre 1993) si riferisce infatti al periodo in cui costui fu intraneo all’associazione (segnatamente sino al marzo 1994) e le conversazioni captate, successive alla fuoriuscita del Pe. dal gruppo, sono richiamate dai giudici di merito quale ulteriore elemento dimostrativo dell’oggetto dei rapporti intrattenuti dal T. con quegli esponenti del gruppo "Fiocco" che, secondo il Pe., erano i responsabili dei contati con i fornitori (ovvero, Fi. e, con minor frequenza, Se.Fa.).

Quanto infine alla valenza dimostrativa dei dialoghi intercettati, che il ricorrente assume aver un contenuto assolutamente neurale, si richiamano i principi di diritto già esposti in precedenza sui limiti del sindacato di legittimità, non mancando di rilevare che il giudice del merito ha fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria.

23. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di A.S., Ca.Gi. e, limitatamente all’imputazione di cui all’art. 74 T.U. stup., Mi.

S. con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo giudizio. Devono essere invece rigettati i ricorsi di C. A. + ALTRI OMESSI e condannati i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Sono da dichiararsi infine inammissibili i ricorsi di D.M.B.M., P.F., Pa.Ro. e T.G., con conseguente condanna di tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che si stima equo determinare, in Euro 1.000. Quanto al ricorso di O. deve disporsi lo stralcio della sua posizione come da verbale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.S., Ca.Gi. e, limitatamente all’imputazione di cui all’art. 74 T.U. stup., Mi.Sa. e rinvia alla Corte di appello di Perugia per nuovo giudizio. Rigetta i ricorsi di C.A. A., + ALTRI OMESSI e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di D.M.B.M., + ALTRI OMESSI e condanna tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 1.000. Dispone lo stralcio della posizione di O.R..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *