Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-04-2012, n. 5367 Crediti di lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 2 dicembre 2009 e notificata il successivo 5 marzo 2010, la Corte d’appello di Messina, riformando la decisione di primo grado, ha respinto le domande di P.V. G., R.G. e F.C.A., i quali avevano chiesto alla Cassa edile per la provincia di Messina, dopo il fallimento delle società del gruppo presso il quale avevano prestato lavoro subordinato operaio, il pagamento della somma loro trattenuta dai datori di lavoro nel corso del rapporto a titolo di accantonamento per ferie, festività etc, ai sensi dell’art. 19 del C.C.N.L., per essere versata alla Cassa edile.

Nel caso esaminato, il datore di lavoro non aveva mai versato tale somma alla Cassa, la quale era stata quindi ammessa al passivo fallimentare delle società indicate col privilegio ex art. 2754 c.c., collocato quindi in posizione subordinata al soddisfacimento dei crediti assistiti dal privilegio ex art. 2751-bis c.p.c., n. 1 e tuttora insoddisfatto al momento della sentenza.

P.V.G., R.G. e F.C. A. hanno notificato in data 3-4 maggio 2010 ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidandolo a tre motivi.

Resiste alle domande la Cassa edile intimata con controricorso.

L’intimata curatela del fallimento delle società non ha svolto difese in questa sede.

Motivi della decisione

1 – Col primo motivo di ricorso, viene dedotta la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte, pur riconoscendo implicitamente che il rapporto tra datore di lavoro, Cassa edile e lavoratore è qualificabile come delegazione di pagamento dal primo alla seconda nei riguardi del terzo, (stante l’obbligo della Cassa di richiedere al datore di lavoro fallito le somme accantonate), non ne aveva tratto la conseguenza desumibile dalla disciplina dettata in materia di delegazione di pagamento dall’art. 1271 c.c., alla stregua del quale, come insegnato da Cass. 21 giugno 2005 n. 13300, la Cassa è obbligata a pagare ai lavoratori le somme dovute per accantonamenti dal datore ad essa iscritto anche ove questi non gliele abbia versate ed è contestualmente legittimata a chiedere al datore di lavoro la somma da accantonare, salvo che questi abbia pagato direttamente al lavoratore.

Nel caso in esame quest’ultima ipotesi liberatoria della Cassa non era avvenuta, non avendo il curatore ammesso al passivo fallimentare i crediti al riguardo vantati dai lavoratori nei confronti del datore di lavoro, per cui i ricorrenti insistono sulla sussistenza dell’obbligo in capo alla Cassa.

2 – Col secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza della Corte d’appello di Messina per insufficiente motivazione in ordine alla deduzione, formulata in sede di appello dai ricorrenti, secondo la quale, poichè la Cassa aveva optato per l’ammissione al passivo dei crediti in parola, avendone tra l’altro l’obbligo, su di essa incombeva l’obbligo simmetrico di versare ai lavoratori le somme accantonate dal datore di lavoro, anche in assenza di versamento da parte di quest’ultimo.

3 – Col terzo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione del C.C.N.L. per le imprese edili, che aveva recepito il regolamento delle Casse edili. In proposito, infatti la sentenza non aveva fatto corretta applicazione della lettera H del regolamento della Cassa edile della provincia di Messina, il quale stabilisce che, in caso di fallimento della datrice di lavoro, la Cassa deve anticipare il 50% del trattamento economico per gratifica natalizia, festività, ferie etc. non percepito, previa garanzia del curatore che l’attivo del fallimento è sufficiente alla copertura delle liquidazioni di tutti i dipendenti e di quanto dovuto alla Cassa, garanzia che nel caso di specie neppure era stata richiesta al curatore, avendo la Corte valutato in maniera meramente presuntiva che sussistessero le condizioni per la relativa prestazione.

La controricorrente deduce:

inammissibilità del ricorso ex art. 360-bis c.p.c., perchè il principio di diritto di cui viene chiesta l’affermazione contrasterebbe con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 1 ottobre 2003 n. 16014 e 14 luglio 2006 n. 16014, contraddette dalla ritenuta isolata Cass. 21 giugno 2005 n. 13300);

l’inammissibilità del primo motivo:

perchè indica come contraddittoria una motivazione ritenuta implicita, mentre la contraddittorietà postulerebbe una pronuncia esplicita. I ricorrenti avrebbero potuto al riguardo semmai lamentare il vizio di omessa pronuncia (esplicita);

perchè viola l’art. 366 c.p.c., n. 4;

l’infondatezza del motivo, in quanto il momento costitutivo della delegazione di pagamento (titolata o causale e non pura) non è rappresentato dalla iscrizione alla cassa, ma dal versamento da parte del delegante della provvista al delegato;

la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4 e comunque l’infondatezza del secondo motivo;

l’inammissibilità e l’infondatezza del terzo.

Il ricorso, i cui motivi vanno esaminati congiuntamente, è infondato.

Va anzitutto rilevato che nonostante che il ricorso appaia finalizzato a trarre le conseguenze utili per i lavoratori dall’affermazione del principio di diritto relativo alla qualificazione del rapporto tra datore di lavoro, cassa edile e lavoratore come delegazione di pagamento nascente dalla semplice iscrizione del datore di lavoro alla Cassa o dall’applicazione da parte sua del C.C.N.L., in contrapposizione alla tesi difensiva della Cassa secondo la quale tale rapporto nasce unicamente col versamento alla stessa degli accantonamenti non esplicita mai tale principio di diritto come motivo di censura alla sentenza della Corte d’appello che ha optato per la tesi della Cassa, limitandosi a dedurre pretesi vizi di motivazione (irrilevanti, quando si tratta di interpretazione di norme di diritto: arg. art. 384 c.p.c., u.c.).

Il terzo motivo, poi, intitolato nella rubrica alla violazione delle norme del C.C.N.L. che avrebbe recepito il regolamento nazionale delle casse edili provinciali, investe in realtà l’applicazione del regolamento della Cassa provinciale di Messina, l’unico infatti indicato come allegato al ricorso e non direttamente interpretabile da questa Corte a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, proprio in quanto provinciale.

Ma, anche a prescindere dai rilievi formali indicati, comportanti comunque lacune o incertezze nello svolgimento dei motivi e nei relativi riferimenti ai documenti allegati, è l’intero ragionamento svolto nei tre motivi che, nei limiti in cui è comprensibile, appare intimamente contraddittorio.

Da un lato infatti i ricorrenti sostengono che, in base al C.C.N.L., che recepisce (sembra di capire) il regolamento nazionale della Cassa, essi sarebbero destinatari dell’obbligo di pagamento degli elementi retributivi indicati da parte della Cassa, a ciò delegata dai datori di lavori, onde essa non potrebbe sottrarsi a tale obbligo col dedurre il mancato versamento degli accantonamenti da parte dei datori di lavoro, data la disciplina di cui all’art. 1271 c.c..

Dall’altro lato, col terzo motivo i ricorrenti fondano la loro richiesta sull’all. H al regolamento della Cassa edile provinciale di Messina (e la causa è iniziata invocando unicamente tale disposizione, come attestato anche dai ricorrenti), il quale prevede che, in caso di fallimento del datore di lavoro, la Cassa anticipa, subito il 50% dell’accantonamento e alla chiusura del fallimento l’altro 50%, unicamente nel caso in cui il curatore garantisca che "l’attivo del fallimento sia sufficiente alla copertura delle liquidazioni a tutti i dipendenti e che le spettanze dei lavoratori saranno corrisposte alla Cassa edile totalmente".

E’ evidente che la norma a sostegno della seconda ipotesi contraddice il principio costituente la base della prima: se, in sede provinciale è necessaria la garanzia di "capienza" del fallimento per ottenere un anticipo dalla Cassa, i ricorrenti non spiegano quale rapporto intercorra tra la disciplina nazionale e quella provinciale.

Di più: i ricorrenti nulla dicono relativamente al contenuto della disciplina nazionale (in altre occasioni ritenuta da questa Corte istituente una delegazione di pagamento, nascente dalla semplice iscrizione alla Cassa: cfr., oltre Cass. n. 13300/2005, citata anche dai ricorrenti, anche la recentissima Cass. 7050/2011; ma, contra, ad es. Cass. n 14658/03, che individua nel versamento alla Cassa degli accantonamenti il momento costitutivo della delegazione), in particolare in ordine alla possibilità che essa possa essere derogata da quella provinciale.

A ciò aggiungasi che i ricorrenti non deducono neppure di avere prodotto in questa sede, anche attraverso la produzione dei fascicoli di parte, il C.C.N.L. contenente il regolamento nazionale della Cassa, in violazione della disciplina di cui al combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) (cfr., al riguardo, da ultimo, Cass. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726).

Ne consegue che, anche a voler ritenere la censura di cui al terzo motivo subordinata rispetto a quella dei motivi precedenti e tenuto conto della indicata impossibilità di accogliere il ricorso sulla base della disciplina di cui al C.C.N.L., ignota a questa Corte, residua il tema della violazione del citato all. H al regolamento della Cassa provinciale di Messina, in realtà proposto come inerente un vizio di motivazione della sentenza che non avrebbe dato rilievo adeguato al fatto che la garanzia di "capienza" non era stata neppure richiesta al curatore del fallimento.

Anche tale prospettazione è peraltro infondata, avendo i giudici di merito direttamente escluso tale "capienza" integrale, con una valutazione di fatto incensurabile in questa sede, in quanto congruamente fondata sull’esame della situazione del passivo fallimentare e alla luce del fatto che i crediti della Cassa per gli accantonamenti erano stati ammessi solo al privilegio parziale ex art. 2754 c.c..

Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso va respinto.

L’esito altalenante del giudizio nei gradi di merito consiglia l’integrale compensazione tra le parti litiganti delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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