Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-07-2011) 20-10-2011, n. 37955 Giudizio d’appello rinnovazione del dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza 9/4/2008, confermava la decisione 12/10/2004 del Tribunale di Noia, che aveva dichiarato I.A. colpevole del reato di cui all’art. 416-bis c.p., commi 1, 4 e 5 cod. pen., per avere fatto parte dell’associazione armata di tipo mafioso facente capo a F.M. e operante nella zona vesuviana, e lo aveva condannato alla pena di anni quattro, mesi sei di reclusione e all’interdizione temporanea per anni cinque dai pubblici uffici, con sottoposizione, a pena espiata, alla misura di sicurezza della libertà vigilata per un anno.

Il Giudice distrettuale, disattesa la richiesta difensiva di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e ritenuta l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaborante A. B. oltre il termine di 180 giorni di cui al D.L. n. 8 del 1991, art. 16-quater come integrato dalla L. n. 45 del 2001, evidenziava che l’inserimento di I.A. nel clan Fabbrocino, per accaparrarsi subappalti e commesse di opere pubbliche (costruzione della linea ferroviaria "a monte del Vesuvio" e raddoppio della s.s. n. 268), avvalendosi della forza intimidatrice dell’associazione, era conclamato da plurimi dati probatori di assoluta attendibilità e tra loro convergenti: a) dichiarazioni del collaborante G. P., il quale aveva riferito che lo I. "spadroneggiava nella zona per conto dei Fabbrocino" ed aveva avuto rapporti con la società appaltatrice dei lavori ("Callisto Pontello spa") della tratta ferroviaria a monte del Vesuvio, ottenendo di eseguire in regime di subappalto alcuni di tali lavori; b) dichiarazioni del collaborante D.F. circa l’interessamento di N.E. e B.B., vicini al clan Fabbrocino, affinchè lo I. venisse autorizzato a proseguire i lavori di movimento terra relativi alla tratta ferroviaria a monte del Vesuvio anche nella zona di Somma Vesuviana di competenza del D.; c) dichiarazioni del collaborante A.B., che aveva riferito, per averlo appreso da B.B. e da A.F., dell’intraneità dello I. al clan Fabbrocino, dell’interesse dello I. ad eseguire lavori nella zona controllata dall’ A., della minaccia a mano armata di alcuni esponenti del clan ai danni di un ingegnere di Visciano e a protezione della posizione dello I., dell’ulteriore intervento del sodalizio per risolvere contrasti insorti tra l’imputato e l’imprenditore C.A., dell’estorsione posta in essere dall’imputato ai danni della ditta che stava eseguendo lavori sull’autostrada Napoli- Salerno; e) il collaborante A.M. aveva confermato le circostanze relative all’intervento del clan sull’ingegnere di Visciano e alla composizione del conflitto tra lo I. e il C.; d) il collaborante F.A. aveva riferito, per cognizione diretta, di plurimi episodi indicativi della partecipazione al sodalizio camorristico dello I. ed altrettanto aveva fatto il collaborante O.S. (deceduto);

e) esiti delle intercettazioni telefoniche e ambientali tra vari esponenti del sodalizio camorristico, che, nel corso delle conversazioni, avevano fatto riferimento allo I. come persona partecipe dell’associazione. La Corte territoriale sottolineava, inoltre, che l’aggravante dell’associazione armata era desumibile dall’episodio in danno dell’ingegnere di Visciano, destinatario di minaccia a mano armata ad opera di emissari del clan, per indurlo a desistere dal frapporre ostacoli all’ingresso dello I. nell’appalto al medesimo "riservato". 2. Ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei propri difensori avv. Stefano Montone e avv. Giuseppe Mandarino, che hanno presentato distinti atti d’impugnazione, l’imputato, deducendo vari motivi di censura sia sotto il profilo della violazione della legge processuale e della legge penale, sia sotto quello del vizio di motivazione in ordine al formulato giudizio di responsabilità, doglianze specificamente indicate e analizzate in prosieguo.

3. Il ricorso è solo in parte fondato e deve essere accolto nei limiti di seguito precisati.

3.1. Con un primo motivo, si deduce la violazione e l’erronea applicazione della legge processuale, con riferimento agli artt. 603, 187, 234 e 238-bis cod. proc. pen., nonchè il vizio di motivazione, per non essere stata disposta la sollecitata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, finalizzata a risentire a chiarimento alcuni testi già escussi ( O., C., A.), ad acquisire e valutare la documentazione prodotta dalla difesa.

La doglianza non è fondata.

Nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603 c.p.p., comma 1, con riferimento alla riassunzione di prove testimoniali già acquisite nel dibattimento di primo grado, è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non potere decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione dell’istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. U, 24/1/1996, Paragoni; Sez. 4, n. 18660 del 19/2/200). Quanto alla prova documentale sopravvenuta o comunque scoperta dopo il giudizio di primo grado, il giudice di appello, se pure non è tenuto a subordinare la rinnovazione del dibattimento alla ritenuta impossibilità di decidere allo stato degli atti, come richiesto dall’art. 603 c.p.p., comma 1, deve comunque delibare l’utilità e la rilevanza della prova richiesta, escludendo la rinnovazione quando tale apprezzamento sia negativo (Sez. 6, n. 29137 del 5/5/2004).

La sentenza in verifica, nel disattendere la richiesta di rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale, giustifica in generale, con motivazione adeguata e logica, tale scelta, sottolineando la sufficienza del materiale probatorio acquisito ai fini della valutazione del caso in esame e la irrilevanza, agli stessi fini, della documentazione prodotta, non idonea a condizionare il processo valutativo della fattispecie. Si è di fronte ad un apprezzamento di merito non censurabile sotto il profilo della legittimità, fatta eccezione di quanto si preciserà in seguito, con riferimento alla ritenuta aggravante dell’associazione armata.

3.2. Con un secondo motivo, si deduce la violazione e l’erronea applicazione della legge processuale, con riferimento alla disciplina di cui alla L. n. 45 del 2001, per non essere state osservate le regole di ascolto – previa redazione del verbale illustrativo – del collaborante A.B., escusso nel corso delle udienze dell’8/7/2003 e del 24/1/2004, pur risalendo l’avvio del percorso collaborativo del predetto all’anno 1998, con conseguente inutilizzabilità delle relative dichiarazioni rese.

Rileva, al riguardo, la Corte che la sanzione dell’inutilizzabilità che, ai sensi del D.L. n. 8 del 1991, art. 16-quater, comma 9, convertito nella L. n. 82 del 1991, come modificata dalla L. n. 45 del 2001, art. 14, colpisce le dichiarazioni del collaboratore di giustizia rese oltre il termine di centottanta giorni, previsto per la redazione del verbale informativo dei contenuti della collaborazione, trova applicazione solo con riferimento alle dichiarazioni rese fuori del contraddittorio e non a quelle rese nel corso del dibattimento (Sez. 1, n. 35368 del 13/6/2007; Sez. 6, n. 27040 del 22/1/2008).

3.3. Con un terzo motivo, si lamenta la violazione e l’erronea applicazione della legge processuale, con riferimento agli artt. 192 e 526 cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta attendibilità delle propalazioni dei collaboratori di giustizia.

Preliminarmente devesi osservare che la chiamata in correità o in reità effettuata dai collaboratori di giustizia, tutti imputati di reato connesso o collegato, specie se fondata su dichiarazioni de relato, per potere assurgere al rango di prova pienamente valida a carico del chiamato ed essere posta a base di una pronuncia di condanna, necessita del positivo apprezzamento in ordine all’intrinseca attendibilità non solo del chiamante, ma anche della fonte di riferimento, oltre che dei riscontri esterni alla chiamata stessa, i quali devono avere carattere individualizzante, cioè riferirsi ad ulteriori, specifiche circostanze, strettamente e concretamente ricolleganti in modo diretto il chiamato al fatto di cui deve rispondere, essendo necessario, per la natura indiretta dell’accusa, un più rigoroso e approfondito controllo del contenuto narrativo della stessa e della sua efficacia dimostrativa (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003).

La sentenza impugnata si è fatta carico di apprezzare positivamente l’attendibilità intrinseca dei collaboranti, le cui propalazioni convergono nel significato più sostanziale ad esse sotteso e trovano ulteriori e decisivi riscontri esterni, di carattere individualizzante, oltre che nelle testimonianze di alcuni operatori di polizia giudiziaria, soprattutto nei contenuti delle conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, nel corso delle quali il riferimento degli interlocutori allo I., come persona organicamente inserita nel sodalizio camorristico facente capo a F.M., è univoco e non lascia spazio a dubbi di sorta.

3.4. Con più motivi articolati nei due atti d’impugnazione, si denuncia la violazione e l’erronea applicazione delle regole in tema di valutazione della prova e il connesso vizio di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione dell’imputato all’associazione, sotto il profilo del contributo causale offerto al raggiungimento degli scopi del sodalizio, anche in considerazione del fatto che nessun reato-fine era stato contestato.

Tali doglianze, incentrate essenzialmente sulla interpretazione delle dichiarazioni accusatorie rese dai vari collaboranti e dei contenuti delle conversazioni intercettate, si risolvono in non consentite censure in fatto al percorso argomentativo seguito dalla sentenza in verifica, che attribuisce a tale materiale probatorio un significato coerente con l’ipotesi d’accusa, all’esito di una valutazione delle circostanze fattuali emerse, la quale, in quanto immune da vizi di contraddittorietà o di manifesta illogicità, deve rimanere prerogativa esclusiva del giudice di merito e sfugge a qualunque rilievo di legittimità. 3.5. Con ulteriori due motivi, si censura la sentenza impugnata, per violazione ed erronea applicazione della legge penale e connesso vizio di motivazione, nella parte in cui ritiene sussistente l’aggravante di cui all’art. 416-bis cod. pen., commi 4 e 5 (associazione armata) e nega la concessione delle invocate circostanze attenuanti generiche.

E’ fondata la doglianza relativa alla ritenuta aggravante.

La sentenza impugnata individua la prova della sussistenza di tale aggravante esclusivamente nell’episodio della minaccia a mano annata, su mandato dello I. e dell’ A., in danno di un ingegnere di Visciano, al fine di indurlo a non ostacolare l’ingresso dell’imputato in un appalto a lui riservato dal clan di appartenenza.

Trattasi di motivazione assolutamente riduttiva e insufficiente, considerato che detto episodio, come specificamente allegato dal ricorrente in sede d’appello e ribadito in questa sede, sarebbe stato ritenuto insussistente dalla sentenza 12/11/2004 della Corte d’Appello di Salerno, decisione prodotta dinanzi al Giudice a quo ma non acquisita agli atti e non presa in considerazione.

E’ necessario, quindi, anche ricorrendo a una eventuale integrazione dell’istruttoria dibattimentale, prendere in esame questo specifico aspetto, per verificarne la corrispondenza o meno al vero e la conseguente incidenza sulla configurabilità dell’aggravante di cui si discute, nonchè valutare altri eventuali dati di fatto sintomatici della disponibilità di armi da parte del sodalizio criminoso in cui l’imputato era inserito, a nulla rilevando la utilizzazione effettiva delle stesse.

La doglianza relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche rimane, allo stato, assorbita dalla necessità di definire in tutti i suoi esatti contorni l’addebito mosso all’imputato, ivi compresa l’aggravante di cui all’art. 416-bis c.p., commi 4 e 5, la cui sussistenza o meno evidentemente connota di maggiore o minore gravita il fatto, il che potrebbe comportare la necessità di rivalutarne la gravita e di riconsiderare la opportunità di accordare o no all’imputato, in base al prudente esercizio del potere discrezionale del giudice di merito, le dette attenuanti.

4. Limitatamente alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., commi 4 e 5, la sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto. Nel resto il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., commi 4 e 5, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Core di Appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.

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