Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-05-2011) 20-10-2011, n. 37949 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza deliberata il 14 luglio 2010 e pubblicata il successivo 23 luglio la Corte di appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di D. M. di applicazione della continuazione tra i delitti di tentato omicidio e minacce (commessi in Lecce dal 2/12/1996 fino all’8/8/1997), oggetto di sentenza emessa il 2 marzo 2000 (irrevocabile il 4/06/2001) dalla stessa Corte, con la quale era stato condannato alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione, e i reati già unificati in sede esecutiva col vincolo della continuazione, giusta precedente ordinanza della Corte di appello di Lecce, in data 2 febbraio 2007, che aveva determinato la pena unica dell’ergastolo in relazione al più grave delitto di omicidio aggravato, con l’isolamento diurno per un anno e sei mesi per gli altri reati, ex art. 81 c.p., commi 2 e 3 e art. 72 c.p., comma 2.

Con la stessa ordinanza la Corte ha dichiarato inammissibile, nel resto, la richiesta del D., mirante ad ottenere l’applicazione della continuazione per ulteriori reati, oggetto di sentenze della Corte di appello di Lecce in date 9/12/1988, 19/4/1994 e 14/11/1994, emesse, rispettivamente, per i delitti di favoreggiamento personale continuato (commesso in Galatone fino all’8/2/1988), ricettazione (commesso in Copertino il 13/10/1987), tentato omicidio e porto illegale di armi (commessi in Trepuzzi e Squinzano il 2/3/1993).

La Corte territoriale ha ritenuto che la richiesta del D., inerente ai reati di cui alla predette sentenze, fosse mera riproposizione di identica domanda già respinta con precedente ordinanza del 2 febbraio 2007 della stessa Corte, divenuta definitiva; mentre l’unico elemento nuovo, relativo ai delitti di tentato omicidio e minacce di cui alla più recente sentenza del 2 marzo 2000, costituito da due relazioni di servizio riservate, a firma dell’ispettore C. della casa circondariale di Lecce, nelle quali si riferiva la progettazione di fatti delittuosi, da parte del D., in danno di persona, svolgente l’attività di benzinaio, la quale, in passato, aveva trattenuto una relazione sentimentale con la moglie del condannato, rimasta effettivamente vittima dei predetti reati, non era idoneo a configurare i fatti giudicati come rientranti nella strategia del sodalizio mafioso di cui il D. era stato riconosciuto partecipe, trattandosi di fatti ispirati da ragioni personali e non associative, come tali non riconducibili al programma dell’organizzazione criminale di appartenenza dell’istante.

Con riguardo all’ulteriore richiesta del D. di riduzione, nell’ambito della già riconosciuta continuazione, delle singole pene infittegli per i reati satellite, applicando nei suoi riguardi lo stesso trattamento più favorevole che sarebbe stato riservato ad altri condannati ( D.T. e G.), aventi la sua stessa posizione, la Corte ha ritenuto l’istanza inammissibile perchè meramente ripetitiva di identica domanda già decisa con la precedente ordinanza del 2 febbraio 2007, precisando che non integravano "elementi nuovi" le allegate pronunzie del giudice dell’esecuzione a favore di altri condannati, poichè, essendo la pena base quella dell’ergastolo, non era praticabile per i reati satelliti l’aumento fino al triplo previsto dall’art. 81 c.p., comma 2, essendo solo consentito l’inasprimento della pena perpetua con l’isolamento diurno, come in effetti era stato disposto, senza escludere a priori, quale effetto favorevole del riconoscimento della continuazione in executivis, la possibilità di determinare quest’ultima sanzione anche in misura inferiore a quella minima prevista per il caso di concorso materiale di reati (Sez. 1, 4/3/2004 n. 15499, Ouahid).

Ha precisato la Corte che le diverse decisioni allegate dall’istante con riguardo ad altri condannati, i quali si sarebbero trovati nella sua stessa posizione processuale ma avrebbero beneficiato di un trattamento sanzionatorio più favorevole a seguito del riconoscimento della continuazione, non potevano comportare alcun vincolo per il decidente, nè giustificare la reiterazione dell’eventuale errore in cui esse fossero incorse.

La Corte distrettuale, infine, ha osservato che la domanda del D. di declaratoria di avvenuta espiazione della parte di pena relativa ai delitti previsti dall’art. 4-bis Ord. Pen. doveva essere valutata dal Magistrato o dal Tribunale di sorveglianza, in sede di deliberazione sui benefici penitenziari eventualmente richiesti dal condannato, non mancando di rilevare l’erroneità dell’assunto del ricorrente, posto che, per stabilire l’avvenuta espiazione della pena inflitta per i reati satellite cosiddetti ostativi, avrebbe dovuto farsi riferimento non alla pena temporanea originariamente inflitta, bensì alla metà di essa, in applicazione analogica e in bonam partem dell’art. 184 cod. pen. (Sez. 1, 2/3/2010 n. 18119, Cuccuru).

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il D. personalmente, deducendo tre motivi di ricorso.

2.1.2. Con i primi due motivi lamenta violazione di legge e difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 3 Cost. e all’art. 81 c.p., comma 2, censurando la dichiarata inammissibilità del ricorso perchè fondato, a suo avviso, su una serie di elementi da ritenersi nuovi ovvero conosciuti dall’istante dopo la prima ordinanza del giudice dell’esecuzione in data 2 febbraio 2007, e, comunque, erroneamente valutati dallo stesso giudice.

A) Il primo dei detti elementi è indicato nei provvedimenti di cumulo adottati dalla Corte di appello di Lecce, quale giudice dell’esecuzione, nei confronti di due condannati versanti nella sua stessa posizione processuale, G.G. e D.T. G., ai quali, in sede di applicazione della continuazione in fase esecutiva, erano state ridotte le pene inflitte per i reati satellite rispetto al più grave delitto di omicidio punito con l’ergastolo, e, in particolare, era stata diminuita la pena per i reati associativi, a titolo di aumento della pena base dell’ergastolo ad anni tre di reclusione, mentre per il ricorrente essa era rimasta ferma ad anni sei per il delitto previsto dall’art. 416-bis cod. pen. e ad anni 25 per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, violandosi così il fondamentale principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge; in proposito, ha dedotto che la Corte d’appello, nella precedente ordinanza del 2 febbraio 2007, avrebbe errato nel ritenere impraticabile la richiesta riduzione di pena per i reati satellite rispetto al più grave delitto punito con l’ergastolo, limitandosi a disporre la sola pena temporanea dell’isolamento diurno ai sensi dell’art. 72 c.p., comma 2, poichè quest’ultima disposizione varrebbe solo quando i plurimi reati sono stati oggetto del medesimo procedimento e non anche, come nella fattispecie, nel caso di reati giudicati con più sentenze emesse in distinti processi, le cui pene andrebbero comunque ridotte, ove riconosciuta la continuazione in sede esecutiva, come da richiesta legittimamente avanzata nel presente procedimento.

B) Il secondo elemento nuovo ovvero erroneamente apprezzato consisterebbe nella data dei reati oggetto della sentenza della Corte di appello di Lecce del 14/11/1994, recante condanna alla pena di anni 13 di reclusione per i delitti di tentato omicidio continuato e porto illegale di armi, indicata come corrispondente a quella del 4/04/1993 nella citata ordinanza del 2 febbraio 2007, mentre i medesimi reati risultano commessi il 2/03/1993 e il 31/03/1993 ovvero in data anteriore (e non successiva) a quella degli ultimi fatti già riconosciuti in continuazione, di cui alla sentenza della stessa Corte di appello del 29/04/1994, ai quali sarebbero legati per le analoghe modalità esecutive e la stretta contiguità spazio- temporale.

C) Il terzo elemento nuovo, come tale già riconosciuto nell’ordinanza impugnata, ma erroneamente svalutato dalla Corte territoriale che ha confermato il precedente giudizio negativo della continuazione, risiederebbe nelle predette relazioni riservate di servizio circa i progetti criminosi del D. contro la persona offesa dai fatti di cui alla sentenza del 2 marzo 2000 della Corte di appello di Lecce, siccome coinvolta in una relazione extraconiugale con la moglie del ricorrente, posto che il tentato omicidio del rivale, pur ispirato da motivazioni personali, sarebbe stato attuato dal D. con modalità tipicamente mafiose, avvalendosi della sua posizione all’interno del sodalizio criminale, al punto che, in sede cautelare, fu anche contestata l’aggravante ad effetto speciale di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, convertito nella L. n. 203 del 1991. 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione agli artt. 81, 72, 73, 76 e 78 cod. pen., rilevando l’erroneità del ritenuto assorbimento delle pene per i reati satellite in quella base dell’ergastolo, con il solo inasprimento della sanzione dell’isolamento diurno, sotto lo specifico profilo del suo interesse (ingiustamente negato dal giudice dell’esecuzione) ad ottenere la riduzione delle pene temporanee inflittegli con distinte sentenze per i reati previsti dall’art. 4- bis Ord. Pen., riconosciuti in continuazione con quello ritenuto più grave perchè punito con l’ergastolo, in funzione dello scioglimento del cumulo al fine di abbreviare i tempi di espiazione delle pene per i delitti ostativi e poter essere ammesso alla fruizione dei benefici penitenziari.

Annota al riguardo il ricorrente che, senza la diminuzione delle pene infintegli nelle plurime sentenze irrevocabili per i reati già riconosciuti in continuazione con quello più grave sanzionato con l’ergastolo, ai fini dell’accessibilità ai benefici penitenziari, dovrebbe prima espiare le pene per i delitti ostativi, e, quindi, espiare almeno la metà delle pene inflittegli per i reati non ostativi, con l’aberrante conseguenza di dover subire, secondo il calcolo esemplificato in ricorso, ben 43 anni e 6 mesi di reclusione prima di poter richiedere un semplice permesso premio.

Siffatto esito sarebbe, invece, scongiurato nel caso di riduzione degli aumenti per i delitti satellite, poichè, in sede di scioglimento del cumulo, non rivivrebbero le pene originariamente inflitte, ma quelle minori determinate ai sensi dell’art. 81 c.p., comma 2, dal giudice dell’esecuzione.

Motivi della decisione

3. I motivi di ricorso sono inammissibili.

3.1. Non sussiste violazione dell’art. 81 c.p., comma 2, nè del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., poichè la Corte di appello di Lecce, con motivazione adeguata e coerente, ha ritenuto che non costituissero elementi nuovi le decisioni asseritamente più favorevoli in materia di applicazione della continuazione in sede esecutiva, che sarebbero state adottate nei riguardi di altri condannati, con posizioni giuridiche analoghe a quella dell’attuale ricorrente, i quali avrebbero beneficiato di significativa riduzione delle pene temporanee loro inflitte, in luogo dell’applicazione dell’isolamento diurno. Ha osservato, in proposito, la Corte distrettuale che il medesimo tema era stato già esaminato nella precedente ordinanza del 2 febbraio 2007 della stessa Corte, e che l’eventuale errore commesso nei provvedimenti relativi agli altri condannati per omessa applicazione dell’art. 72 c.p., comma 2, richiamato dall’art. 81 c.p., comma 3, non avrebbe potuto comportare alcun vincolo per il giudice dell’esecuzione adito dall’attuale ricorrente.

Quanto al presunto errore nella data di commissione dei reati di cui alla sentenza del 14 novembre 1994 (esclusi dalla continuazione applicata con la citata ordinanza del 2 febbraio 2007) rispetto alla data di commissione dei delitti oggetto della sentenza del 29 aprile 1994 (inclusi, invece, nella continuazione applicata con la medesima ordinanza), anch’esso non rappresenta un elemento nuovo, secondo l’ineccepibile motivazione dell’ordinanza impugnata, trattandosi di dati temporali emergenti dal certificato penale del ricorrente, che non ha subito variazioni dal 2 febbraio 2007 alla data di instaurazione dell’attuale procedimento, su domanda proposta dall’interessato il 7 ottobre 2008.

La Corte distrettuale, pertanto, ha legittimamente ritenuto inammissibili le predette censure mosse dall’istante alla precedente ordinanza del 2 febbraio 2007, le quali avrebbero potuto e dovuto essere denunciate con ricorso a questa Corte di cassazione avverso il predetto provvedimento, ormai definitivo.

Ne discende la manifesta infondatezza delle medesime doglianze riproposte in questa sede dal ricorrente, sub specie di violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, poichè la loro inammissibilità è stata, invece, correttamente rilevata dal Giudice dell’esecuzione nei termini suddetti.

3.2. Quanto all’ulteriore elemento apprezzato come "nuovo" nel provvedimento censurato, poichè attinente all’effettiva emersione, dopo il 2 febbraio 2007, delle riferite relazioni riservate della polizia penitenziaria in merito alla progettazione in carcere, da parte del D., di attività delittuose in danno del presunto amante della propria moglie, la motivazione adottata dalla Corte territoriale per escludere la continuazione dei reati effettivamente commessi dal ricorrente nei confronti del rivale (tentato omicidio e minacce), di cui alla sentenza di condanna del 2 marzo 2000, con gli altri fatti cui è stata applicata la continuazione giusta precedente ordinanza del 2 febbraio 2007, è immune da vizi logici e giuridici, poichè sottolinea l’estraneità dei suddetti reati alla strategia dell’associazione di tipo mafioso in cui militava il D., costituente il collante degli altri crimini unificati ex art. 81 c.p., comma 2, mentre le censure mosse dal ricorrente, sul punto, sono generiche e, comunque, manifestamente infondate, anche perchè obliterano il dato, oltremodo significativo, della non contestata aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, convertito in L. n. 203 del 1991, con riguardo ai medesimi delitti, pur originariamente ipotizzata nell’ordinanza di custodia cautelare ad essi pertinente.

Segue l’inammissibilità anche della suddetta censura.

3.3. Va, infine, rilevato che la doglianza del ricorrente in punto di effetti perversi dello scioglimento del cumulo ai fini della maturazione, a suo favore, delle condizioni di ammissibilità dei benefici penitenziari, ove si aderisse alla tesi del Giudice dell’esecuzione che esclude le riduzioni delle pene detentive temporanee per reati riconosciuti in continuazione col più grave delitto punito con l’ergastolo, è anch’essa manifestamente infondata, vuoi perchè pretende indebitamente di anticipare un tema, quello dello scioglimento del cumulo ai fini della verifica dei requisiti di ammissibilità dei benefici penitenziari, rientrante nella competenza funzionale del Magistrato e del Tribunale di sorveglianza, e non dell’adito Giudice dell’esecuzione; vuoi perchè omette di considerare la norma mitigatrice di cui all’art. 184 cod. pen., correttamente richiamata nel provvedimento impugnato, in accordo con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di benefici penitenziari, richiesti dal condannato in espiazione dell’ergastolo e di pena detentiva temporanea inflitta per reato ostativo, allorchè si debba procedere allo scioglimento del cumulo per la verifica della già intervenuta espiazione di quest’ultima, tradottasi, per la concorrenza con la pena perpetua, in applicazione dell’isolamento diurno che sia stato interamente eseguito, si deve fare riferimento alla pena temporanea originariamente inflitta, ridotta della metà (Sez. 1, sentenza n. 18119 del 02/03/2010, dep. 13/05/2010, Cuccuru, Rv. 247068, che richiama precedente sentenza n. 34574 del 2007 della stessa sezione, non massimata, affermativa dello stesso principio).

4. Alla luce di tutto quanto precede, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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