Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-05-2011) 20-10-2011, n. 37947 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 16.11.2010 il Tribunale di Lecce, costituito ex art. 310 cod. proc. pen., rigettava l’appello proposto da C. F. e C.M. avverso l’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Brindisi il 27.9.2010 con la quale veniva disattesa l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, applicata ai predetti in relazione al reato di omicidio, commesso il 9.4.2010.

Il fatto si era verificato mentre la vittima, N.M., stava procedendo alla triturazione di rami di olivo mediante l’utilizzo di un macchinario che emetteva un forte rumore di cui si era lamentato l’indagato C.M. che aveva inveito contro il N. e lo aveva minacciato di morte. Ne era nato un diverbio nel corso del quale il N. aveva colpito C. con una "furcedda" (attrezzo agricolo); era seguita una colluttazione nella quale era intervenuto il figlio del C., F. che aveva colpito la vittima con i pugni ripetuta mente. Quindi, nel momento in cui il N. si trovava a terra tramortito dai colpi ricevuti, anche C. M. lo aveva colpito con un bastone sottratto alla stessa vittima.

Il tribunale evidenziava come la valutazione in ordine agli indizi ed alle esigenze cautelari a carico dei predetti aveva formato oggetto di precedente decisione del tribunale del riesame che aveva confermato l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere. Richiamava, quindi, la predetta valutazione con specifico riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti, alla esclusione della sussistenza della scriminante e della configurabilità, allo stato, dell’omicidio preterintenzionale.

Tanto premesso, il tribunale affermava che – a differenza di quanto affermato dalla difesa – all’esito della consulenza medico legale la ricostruzione dei fatti e, quindi, della condotta degli indagati e la qualificazione giuridica degli stessi doveva ritenersi ulteriormente confermata.

Anche alla luce degli esiti della consulenza risultava che l’azione posta in essere unitariamente e sinergicamente dai due indagati si connotava in maniera tale da far ritenere la sussistenza del dolo in capo ad entrambi e che proprio la prosecuzione dell’azione nella fase successiva alla caduta al suolo della vittima escludeva che si potesse ritenere l’omicidio preterintenzionale.

2. Avverso il citato provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione con un unico atto, a mezzo dei difensori di fiducia, gli Indagati.

Con il primo motivo censurano l’omessa motivazione del tribunale in ordine alle circostanze introdotte dalla difesa con memoria depositata successivamente (29.10.2010), volta ad integrare i motivi di appello alla luce del contenuto di conversazioni intercettate presso la casa circondariale di Brindisi che non erano nella disponibilità della difesa al momento della proposizione dell’appello.

Con il secondo motivo viene dedotto il vizio di motivazione per illogicità della stessa. In specie, i ricorrenti si dolgono della mancata nuova valutazione in sede cautelare avuto riguardo alla qualificazione giuridica del fatto al fine di superare la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, alla luce degli elementi di novità introdotti dalla relazione dei consulenti del pubblico ministero. Contestano, quindi, la motivazione della ordinanza impugnata con riferimento alla valutazione del contenuto della predetta consulenza.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è inammissibile perchè – indipendentemente dalla tempestività della introduzione di motivi di appello nuovi – si sostanzia in censure aspecifiche e, stante la mancanza di qualsivoglia allegazione, non è autosufficiente.

Il requisito della specificità dei motivi è espressione di un’esigenza di portata generale, che implica, a carico della parte, non solamente l’onere di dedurre le censure che intende muovere a uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime e le ragioni per le quali si ritiene ingiusta o contra legem la decisione, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio sindacato (Sez. 4, n. 24054, 01/04/2004, Distante, rv.

228586).

Va ribadito, altresì, quanto alla autosufficienza del ricorso, che è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (Sez. 5, n. 11910, 22/01/2010 Casucci, rv. 246552).

E’ infondata la doglianza di cui al secondo motivo di ricorso con il quale i ricorrenti lamentano la illogicità della motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla valutazione degli esiti della consulenza medico legale del pubblico ministero che introdurrebbe circostanze nuove, idonee alla diversa qualificazione giuridica del fatto.

Invero, i ricorrenti ripropongono le valutazioni in fatto che già hanno formato oggetto dell’appello e sulle quali la motivazione dell’ordinanza impugnata deve ritenersi immune dal denunciati vizi ed in specie sotto il profilo della logica e della coerenza quanto alla valutazione degli elementi acquisiti in rapporto alla fase processuale delle indagini preliminari.

Il tribunale, infatti, ha sottolineato come fosse stato rilevato dai consulenti del pubblico ministero che le lesioni allo sterno ed alle costole e le conseguenti emorragie, determinate dal colpi di bastone usato da C.M., avessero accelerato il processo causale, che aveva portato al decesso della vittima, innescato dalla precedente lesione al cranio determinata dall’azione di C. F.. Inoltre, contrariamente, a quanto sostenuto dalla difesa, i consulenti non avevano affermato che C.F. aveva colpito la vittima con il pugno una sola volta, avendo semmai ritenuto – al solo fine di chiarire che le lesioni al cranio causa della morte erano derivate dal colpo ricevuto dalla vittima e non dalla caduta – che era stato uno solo il colpo che aveva procurato la lesione mortale. Del resto, lo stesso indagato in sede di interrogatorio aveva ammesso di avere sferrato quattro pugni al volto del N..

Ha, pertanto, ribadito che l’azione posta in essere unitariamente e sinergicamente dai due indagati si connotava in maniera tale da far ritenere la sussistenza del dolo in capo ad entrambi e che la prosecuzione dell’azione nella fase successiva alla caduta al suolo della vittima escludeva che si potesse ritenere l’omicidio preterintenzionale.

Conseguentemente il ricorso deve essere rigettato ed i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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