Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 30-08-2011) 21-10-2011, n. 38146 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Canosa di Puglia, con sentenza del 25/1/11 pronunciata ex art. 444 c.p.p., ha applicato a C.N., imputato del reato di cui all’art. 648 c.p. la pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

Propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, con i seguenti motivi:

-il giudice non ha compiutamente valutato gli elementi acquisiti al processo che gli avrebbero consentito di emettere sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p. visto che il reato risulta consumato il 26/10/01 e, quindi, per effetto della riqualificazione del fatto nella ipotesi del citato art. 648 c.p., comma 2, il termine di prescrizione si è maturato in data 26/4/09, antecedentemente alla pronuncia impugnata;

-manca la motivazione sulla insussistenza delle cause di non punibilità.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha inoltrato in atti requisitoria scritta nella quale conclude per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Rilevasi che questa Corte ha avuto modo di affermare che il giudice che decide sulla richiesta di applicazione della pena, ai sensi dell’art. 444 c.p.p. una volta escluso, sulla base degli atti, che debba essere pronunciato proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p. non può successivamente dichiarare estinto per prescrizione il reato nella fase in cui valuti positivamente l’accordo concluso fra le parti in ordine al riconoscimento di attenuanti e al conseguente loro bilanciamento, accordo finalizzato alla determinazione della pena da infliggere in concreto e non già ad ottenere la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione a seguito dell’abbreviazione del relativo termine derivante dalla riduzione della pena edittale (Cass. 28/1/03. n. 13710: Cass. S.U. 21/6/2000, n. 18).

Proprio la sequenza logica degli adempimenti, indicati nell’art. 444 c.p.p. impedisce di ritenere che il giudice, dopo avere escluso, sulla base degli atti, che debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento, ex art. 129 c.p.p. in relazione alla fattispecie delittuosa al suo esame, possa nella fase in cui valuta nelle sue componenti l’accordo raggiunto tra le parti per l’applicazione della pena, essere restituito nell’esercizio di un potere che egli ha già consumato: una volta superato il preliminare momento della verifica circa la insussistenza delle cause di non punibilità il procedimento di applicazione della pena, come normativamente disciplinato, non ammette che due epiloghi soltanto: l’accoglimento ovvero il rigetto dell’accordo intervenuto tra le parti. Ne consegue che nel patteggiamento, la indicazione nel patto di circostanze attenuanti vale solo per la determinazione della pena da infliggere in concreto, non già per farne conseguire anche la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.

Evidenziasi che l’accertamento delle condizioni per il proscioglimento avviene esclusivamente sulla base degli atti e non dell’accordo strumentale per la applicazione della pena.

Quindi, esaurito con esito negativo il doveroso accertamento preliminare avente ad oggetto l’esame degli atti tendente a verificare la inesistenza di cause di non punibilità, il compito del decidente è quello di passare a controllare la legittimità dei termini dell’accordo e la congruità del trattamento sanzionatorio concordato: l’indagine entra, pertanto, nell’orbita tutt’affatto particolare del rito speciale ex art. 444 c.p.p. ed i poteri del giudice restano, allora, inevitabilmente condizionali dalla peculiare natura strutturale e funzionale del procedimento, nonchè dallo specifico contenuto del negozio processuale.

In questa ottica, profondamente diversa da quella propria dell’area di operatività dell’art. 129 c.p.p. la eventuale indicazione nel patto di circostanze attenuanti non può avere altro valore, per le parti. se non quello di individuare la soluzione punitiva ritenuta più adeguata al caso concreto, e. per il giudice, quello di verificare i necessari parametri di determinazione della pena congrua ai sensi dell’art. 27 Cost., comma 3, (Cass. S.U. 25/11/98, n. 3).

Del pari manifestamente infondata si palesa la seconda censura, con cui si eccepisce la mancanza di motivazione in ordine alla insussistenza di cause di proscioglimento, rilevato che, dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta l’impugnata pronuncia, emerge che il decidente ha dimostralo di avere effettuato la verifica prevista ex lege dando atto che non ricorre alcuna delle ipotesi di cui all’art. 129 c.p.p..

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il C. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso deve, altresì, a norma dell’art. 616 c.p.p., essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.500.00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.500,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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