Cass. civ. Sez. V, Sent., 05-04-2012, n. 5571 Rimborso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 20.2.2008 n. 16 la Commissione tributaria del Lazio sez. 27 Roma ha rigettato l’appello dell’Ufficio Roma 3 della Agenzia delle Entrate e confermato la decisione di prime cure che aveva riconosciuto il diritto del contribuente L.P., dirigente ENEL in quiescenza, al rimborso della maggiore imposta IRPEF liquidata con applicazione della aliquota prevista dall’art. 16 TUIR per i redditi a tassazione separata, anzichè con l’aliquota fissa del 12,50% sui rendimenti di capitale, e trattenuta alla fonte dal sostituto d’imposta in occasione della erogazione nell’anno 2000, in un’unica soluzione, del capitale maturato a titolo di previdenza integrativa.

I Giudici territoriali – previo inquadramento nell’ambito del sistema della previdenza complementare e previa qualificazione della prestazione in capitale erogata a favore del dipendente come derivante da contratto di capitalizzazione ovvero di rendita ex art. 1861 c.c. -, in considerazione della disposizione del D.L. n. 669 del 1996, art. 1, comma 5 conv. in L. n. 30 del 1997 che manteneva il previgente regime fiscale nei confronti di coloro che – come l’attuale contribuente – erano iscritti in data anteriore al 28.4.1993 a forme di previdenza complementare, ritenevano, come previsto dall’art. 42, comma 4 TUIR nel testo vigente pro tempore, che l’importo capitale, relativamente alla quota concernente i rendimenti maturati, dovesse essere assoggettato come reddito di capitale all’aliquota del 12,50% stabilita dalla L. n. 482 del 1985, art. 6.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo quattro motivi.

Ha resistito con controricorso l’intimato.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. I Giudici territoriali premesso che, in attuazione dell’accordo sindacale stipulato nell’anno 1986 tra l’ENEL e FNDAI, l’originaria polizza vita a favore dei dipendenti era stata sostituita dal Fondo PIA con gestione diretta da parte dell’ENEL dei contributi periodici versati dai lavoratori e dal datore di lavoro, hanno ritenuto che tale Fondo, in considerazione dell’obbligo assunto dal gestore di eseguire ad una scadenza predeterminata una prestazione pecuniaria definita (quale montante della capitalizzazione dei contributi periodici di natura previdenziale) "senza convenzione relativa alla durata della vita", dovesse qualificarsi giuridicamente come contratto di capitalizzazione ovvero di rendita ex art. 1861 c.c..

Con la conseguenza che, ricadendo tale schema negoziale nella disciplina del sistema di previdenza complementare di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993, ai rendimenti delle prestazioni erogate in forma di capitale era applicabile il regime fiscale più favorevole previsto dall’art. 42 TUIR e della L. n. 482 del 1985, art. 6 per i redditi di capitale, atteso che le disposizioni della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 11, che avevano assoggettato le prestazioni previdenziali integrative anche se rese in forma di capitale al medesimo trattamento fiscale di quelle erogate in forma periodica (entrambe assoggettate al regime a tassazione separata ex art. 16 TUIR), non trovava applicazione nel caso di specie, in quanto il D.L. n. 669 del 1996, art. 1, comma 5 conv. in L. 28 febbraio 1997, n. 30 aveva chiarito che dal nuovo regime fiscale unitario rimanevano comunque sottratti i dipendenti che, come il contribuente, risultavano già iscritti a forme di previdenza complementare in data anteriore al 28.4.1993 (entrata in vigore dello stesso D.Lgs. n. 124 del 1993).

Pertanto, come riconosciuto peraltro anche dalle risoluzioni del Ministero delle Finanze in data 9.9.1998 n. 144 e 9.10.1998 n. 235, sulla quota del capitale corrisposto al dirigente imputabile a "rendimenti", giusta la disposizione dell’art. 42, comma 4 TUIR nel testo vigente al tempo della esecuzione prestazione, andava applicata l’aliquota del 12,50% e non quella prevista dall’art. 16 TUIR per i redditi a tassazione separata.

2. La Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza di appello in relazione ai seguenti vizi di legittimità:

1) violazione o falsa applicazione dell’art. 1325 c.c., nn. 2 e 3 e art. 1861 c.c. ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo la CTR ricondotto l’accordo sindacale del 16.4.1986 tra Enel e FNDAI nello schema del contratto di rendita perpetua ex art. 1861 c.c., sebbene sussista una evidente incompatibilità sia per la causa che per l’oggetto tra la disciplina negoziale della prestazione previdenziale e quella del contratto nominato.

2) motivazione contraddittoria su un fatto decisivo e controverso per il giudizio ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

3) violazione degli artt. 1362, 1363, 1369, 1882 e 1919 c.c.; D.P.R. n. 449 del 1959, artt. 1 e 33 ss. e conseguentemente falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42, comma 4 (testo vigente ratione temporis) e della L. n. 482 del 1985, art. 6;

violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a);

falsa applicazione del D.L. n. 669 del 1996, art. 1, comma 5, convertito in L. n. 30 del 1997 ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) 4) insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il resistente, dopo aver rilevato che con l’accordo in data 16.4.1986 ENEL-FNDAI era stato istituito il Fondo pensione Previdenza Integrativa Aziendale (PIA) in sostituzione del precedente CCNL del 16.5.1985 che prevedeva la copertura assicurativa del personale mediante stipula di polizza sulla vita cumulativa, e dopo aver specificato che dalle attestazioni dell’Enel in data 1.12.005 e 12.10.2005 risultava che la gestione del Fondo era stata condotta dall’Enel secondo il principio della capitalizzazione e la costituzione di riserve matematiche determinate con criteri attuarla, ha sostenuto che la prestazione di natura previdenziale erogata dal Fondo aveva titolo in un contratto di capitalizzazione, alla stipula del quale l’ente pubblico era legittimato in virtù dell’art. 1883 c.c., e che, in ogni caso, il D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 1 aveva disposto la equiparazione delle prestazioni previdenziali integrative erogate mediante stipula di contratti di assicurazione (o di capitalizzazione) a quelle erogate direttamente dal datore di lavoro mediante la gestione dei cd. "vecchi fondi" ove quest’ultima fosse risultata rispondente ai sistemi tecnico – finanziari della capitalizzazione con appostazione delle riserve matematiche (equiparazione confermata anche dopo la introduzione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 14 quater).

Il resistente ha concluso pertanto per la inammissibilità od il rigetto del ricorso.

3. Il primo motivo è inammissibile.

La Agenzia, infatti, da per scontato -peraltro decontestualizzando la statuizione oggetto di critica dalle premesse in fatto che la giustificano- che la obbligazione, assunta dal Fondo previdenziale verso i propri iscritti, di pagare, senza convenzione relativa alla durata della vita, una somma determinata, al decorso di un termine prestabilito "quale montante della capitalizzazione dei contributi periodici -di natura previdenziale- versati in denaro dai dirigenti medesimi", non sia riconducibile allo schema negoziale tipico della rendita perpetua di cui all’art. 1861 c.c., sostenendo tale assunto difensivo con la mera affermazione che sussiste una evidente incompatibilità sia per la causa che per l’oggetto tra l’accordo previdenziale ed il contratto indicato.

In sostanza la ricorrente assume che il tenore dell’accordo del 1986 tra ENEL e FNDAI, così come interpretato dalla CTR, non sia sussumibile nello schema negoziale dell’art. 1861 c.c., ipotizzando il vizio di falsa applicazione di tale norma alla fattispecie concreta.

Premesso che appare poco perspiscuo il richiamo dell’art. 1325 c.c. (norma che individua gli elementi essenziali del contratto) nella rubrica del motivo, la ricorrente omette di specificare le ragioni per cui il fatto rilevato dal Giudice non possa essere ricondotto nel parametro normativo applicato, potendo solo ipotizzarsi – e perciò stesso incorrendo il motivo in esame nella sanzione della inammissibilità per difetto di autosufficienza – che lo scostamento dal modello negoziale tipico venga riferito agli elementi della periodicità della prestazione del debitore e della cessione del capitale da parte del beneficiario della prestazione. Tale "ipotetica" critica svolta dalla ricorrente non riveste carattere dirimente e non assolve, comunque ai requisiti di autosufficienza e specificità del motivo, ex art. 366 c.p.c., in quanto occorre considerare che:

a) i Giudici di appello sono pervenuti alla qualificazione della fattispecie premettendo che con l’accordo ENEL e FNDAI era stata prevista "una prestazione di previdenza integrativa aziendale, in forma di rendita vitalizia o di capitale a favore dei dirigenti che avessero maturato il 65 anno di età……costituita tale prestazione con i contributi periodici dei dirigenti stessi e del datore di lavoro maggiorati dei rendimenti che tali somme avrebbero prodotto", sicchè la censura viene mossa ad una mera sintesi verbale che segue alla più ampia completa descrizione della fattispecie negoziale i cui singoli elementi, pertanto, avrebbero dovuto costituire oggetto di specifica critica da parte della ricorrente;

b) nella sentenza impugnata lo schema normativo di riferimento è quello del "contratto di rendita o di capitalizzazione", venendo in questione, quindi, non soltanto il contratto di rendita perpetua definito dall’art. 1861 c.c., ma anche qualsiasi altro contratto atipico avente ad oggetto "ogni altra annua prestazione perpetua" ( art. 1869 c.c.), con l’ulteriore corollario per cui anche in questi casi trova applicazione l’art. 1865 c.c., comma 1 che consente al debitore di liberarsi del vincolo obbligatorio con la esecuzione di una prestazione "una tantum" avente ad oggetto la capitalizzazione della rendita annua: la censura formulata dalla ricorrente è carente pertanto, in ordine agli aspetti indicati, quanto alla necessaria specificità che deve rivestire il motivo di ricorso, non fornendo alcuno specifico supporto argomentativo alla mera declamazione astratta della "incompatibilità" dell’accordo del 1986 con lo schema della rendita atipica ovvero del negozio di capitalizzazione.

4. Anche il secondo motivo è inammissibile per erronea individuazione del parametro del sindacato di legittimità.

La ricorrente sotto la specie dell’errore di fatto ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in cui i Giudici di merito sarebbero incorsi nella valutazione degli effetti negoziali derivanti dalle clausole dell’accordo del 16.4.1986 stipulato tra ENEL e FNDAI e dalla istituzione del Fondo PIA (in quanto una corretta lettura di tale accordo e la "natura" del Fondo disvelerebbero, secondo la Agenzia delle Entrate, che la prestazione erogata a favore dei dipendenti non era altro che una mera modalità di pagamento -in forma di capitale – di una quota accantonata del reddito lavorativo), viene di fatto a censurare la sentenza per avere ricondotto la fattispecie concreta, come esattamente rilevata dalla CTR, alternativamente negli schemi negoziali del contratto tipico di rendita perpetua ex art. 1861 c.c. ovvero del contratto di capitalizzazione D.P.R. 13 febbraio 1959, n. 449, ex art. 33 (applicabile ratione temporis), con ciò denunciando un tipico errore di diritto ricadente nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sub specie del vizio di falsa applicazione di norma di diritto (che si configura quando i fatti – come oggettivamente rilevati- non appaiono riconducibili alla fattispecie astratta contemplata dalla norma, ovvero, pur essendo a quella riconducibili, vengono tuttavia regolati dal Giudice sulla base di effetti giuridici diversi da quelli considerati dalla norma applicata).

Orbene se, da un lato, l’erronea individuazione del parametro del sindacato di legittimità determina ex se la inammissibilità del motivo, essendo stata ripetutamente affermata da questa Corte la incompatibilità tra i due vizi di legittimità in questione, in considerazione del diverso oggetto della attività del Giudice cui si riferisce la rispettiva critica (dovendo distinguersi la attività interpretativa della fattispecie normativa astratta dalla attività valutativa della fattispecie concreta emergente dalle risultanze probatorie: cfr. Corte cass. 1 sez. 11.8.2004 n. 15499; id. sez. lav.

16.7.2010 n. 16698 "In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’ima e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa"; vedi Corte cass. 2 sez. 29.4.2002 n. 6224, id. 3 sez. 18.5.2005 n. 10385, id. 5 sez. 21.4.2011 n. 9185 sulla inammissibilità del ricorso con cui si denuncia violazione di norma di diritto deducendo nella esposizione del motivo argomenti a fondamento del vizio motivazionale della sentenza; id. 3 sez. 7.5.2007 n. 10295 sulla antinomia tra "error in judicando" e vizio di motivazione), dall’altro rimane in ogni caso assoggettato alla medesima sanzione anche il vizio (apparentemente) motivazionale dedotto in rubrica, avendo la ricorrente omesso del tutto di specificare il contenuto del documento (atto istitutivo del Fondo PIA) che i Giudici di appello avrebbero travisato od inesattamente valutato, impedendo in tal modo a questa Corte di verificare la congruenza e decisività della censura.

5. Il terzo motivo è inammissibile ex art. 366 bis c.p.c., applicabile "ratione temporis", non avendo la ricorrente corredato il motivo del necessario quesito di diritto da sottoporre alla Corte.

6. Il quarto motivo riproduce la stessa censura svolta con il terzo motivo ma in relazione al diverso vizio di insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il motivo si palesa inammissibile in quanto tende ad ottenere una completa revisione del materiale probatorio già esaminato dai Giudici di merito.

La CTR laziale ha, infatti, affermato che dalla convenzione del 1986, dall’esame "dei caratteri e delle modalità di gestione diretta da parte dell’ENEL del Fondo PIA" risultava che la prestazione integrativa era costituita dai contributi periodici, corrisposti dal lavoratore e dal datore di lavoro, "maggiorati dei redimenti che tali somme avrebbero prodotto", ed ha pertanto ricondotto tale rapporto nello schema del contratto di capitalizzazione in quanto "Il Fondo si è impegnato verso i propri dipendenti iscritti, senza convenzione relativa alla durata della vita, a pagare una somma determinata, al decorso di un termine stabilito, quale montante della capitalizzazione dei contributi periodici – di natura previdenziale versati min denaro dai dirigenti medesimi", mentre secondo la diversa ricostruzione interpretativa della ricorrente dal testo dell’accordo del 1986 emergerebbe al contrario che l’importo erogabile non era collegato ad alcun rendimento derivante da investimento finanziario, in quanto predeterminato nella misura del 70% della differenza intercorrente tra l’ultima retribuzione ed il valore della pensione erogata dal sistema previdenziale obbligatorio.

Orbene la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo controllo, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione.

Nella specie tali non emergono dall’esame della sentenza lacune logiche evidenti, dovendo ritenersi intrisencamente coerente l’impianto motivazionale che, anche in relazione all’esame delle modalità di gestione del Fondo PIA, ha portato i Giudici di merito a distinguere nella prestazione rogata ai dipendenti una quota imputabile a capitale ed una quota imputabile a rendimenti.

La questione concernente il regime fiscale applicabile alle somme erogate in un’unica soluzione ai dipendenti ENEL iscritti a forme di previdenza complementare in data anteriore al 28.4.1993 (entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124 recante "disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 3, comma 1 lett. 5)") e costituite, in parte da capitale riveniente dai contributi versati, e per il residuo dai rendimenti netti realizzati attraverso la gestione della sorte capitale ha trovato, peraltro, recente soluzione nella sentenza della Corte a SS.UU. in data 22.6.2011 n. 13642 che dopo aver rilevato:

– che le somme corrisposte in forma di capitale a titolo di previdenza integrativa sono state assimilate fiscalmente ai redditi di lavoro dal D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, comma 9, introdotto dal L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 11, ma soltanto con riferimento alle prestazioni erogate a favore di soggetti iscritti in epoca successiva all’entrata in vigore del decreto;

– che per gli iscritti alle forme di previdenza complementare in data anteriore al 28.4.1993 (e fino alla data dell’1.1.2001 a decorrere dalla quale, a norma del D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 3, non è più consentito distinguere, ai fini della applicazione della imposta, tra capitale e rendimento), come i dirigenti Enel iscritti al Fondo di previdenza complementare (cd. Fondo PIA) a capitalizzazione di versamenti ed a causa previdenziale, occorreva, invece, distinguere nell’importo percepito dal dipendente la quota corrispondente agli accantonamenti versati dal lavoratore e dal datore di lavoro e la quota corrispondente al "rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato", la prima assoggettata al regime di tassazione separata di cui all’art. 10, comma 1, lett. a) e art. 17 TUIR, e la seconda, invece, soggetta alla ritenuta del 12,50% prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 ha enunciato il seguente principio di diritto, al quale il Collegio intende uniformarsi: "in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate informa di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la "sorte capitale", corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento (dovendosi intendere per tale "il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato": paragr. 6.1. della motivazione) si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17".

Orbene per quanto concerne il caso di specie, rileva il Collegio che la pronuncia della CTR laziale appare del tutto conforme all’indicato principio di diritto, avendo tenuto presente i Giudici di appello la netta distinzione tra "quota-capitale previdenziale", avente causa nel rapporto di lavoro, e "quota-rendimenti finanziari", avente causa nella gestione di investimento delle somme accantonate, ed avendo ritenuto applicabile esclusivamente a quest’ultima l’aliquota del 12,50% prevista per i redditi di capitale dalla L. n. 482 del 1985, art. 6.

In conclusione il ricorso della Agenzia delle Entrate deve essere rigettato, potendo dichiararsi interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio in considerazione della sopravvenuta pronuncia delle SSUU n. 13642/2011.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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