Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 30-08-2011) 21-10-2011, n. 38140

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Bari con sentenza del 2/3/2011, parzialmente riformando la pronuncia di primo grado del Tribunale di Foggia, ha confermato l’affermazione di responsabilità di D.B.G., C.F., M.N., D.B. S. e Cu.Mi. per i reati di ricettazione loro rispettivamente ascritti aventi ad oggetto plurime autovetture provento di ricceto, che risultavano commercializzate dai predetti, previa alterazione dei dati identificativi, confermando la responsabilità di D.B.S. anche per reato di riciclaggio a questi contestato sub E1).

1.1. La difesa di Cu.Mi. ha eccepito con il primo motivo violazione di legge riferibile all’erroneo accertamento dell’elemento psicologico del reato, ravvisando insufficienza della motivazione, che ha valorizzato a tal fine la qualità di operatore professionale del ricorrente, omettendo di considerare la sua minima partecipazione all’azione, essendo egli intervenuto in qualità di mediatore; tale funzione poteva legittimare il sospetto sulla non lecita provenienza dei beni, non inquadrabile nel dolo necessario per ravvisare il delitto contestato. Per altro verso il ricorrente esclude che tale qualità potesse consentire di ascrivergli una delle condotte penalmente sanzionate, costituite dall’acquistare, ricevere o occultare oggetti di provenienza illecita.

1.2. Con il secondo motivo si lamenta difetto di motivazione in ordine ai singoli rilievi svolti in atto d’appello, mancando qualsiasi argomentazione giustificativa in ordine all’erronea qualificazione del fatto ed alla contestazione relativa all’esistenza del dolo.

2.1. La difesa di C.F.P., D.B.G. e M.N. eccepisce, con separati ricorsi di identico contenuto, con il primo motivo violazione di legge e vizio di motivazione riguardo all’acquisizione e valutazione della dichiarazione de relato resa dall’ufficiale di p.g., richiamando i principi normativi e giurisprudenziali in argomento, che si assumono violati, e valorizzando l’errore nel quale era incorsa la Corte di merito, che aveva ritenuto prestato il consenso delle parti all’acquisizione degli atti da questi redatti, mentre tale consenso era stato limitato alla parte descrittiva della relazione, i cui contenuti dichiarativi, pertanto, devono intendersi esclusi dalla possibilità di valutazione.

2.2. Con il secondo motivo si lamentano analoghi vizi, con riferimento all’intervenuta valutazione delle dichiarazioni accusatole del coimputato non appellante N., malgrado i ricorrenti non avessero mai avuto la possibilità di escuterlo in contraddittorio. Si osserva che, mentre l’accusa non ha mai richiesto l’audizione di N., l’acquisizione di tali dichiarazioni è avvenuta sull’accordo delle parti, con la precisazione che non potessero essere valutate contra alios, mentre nessun accertamento è stato svolto al fine di verificare la sua irreperibilità, circostanze tutte che avrebbero dovuto condurre a concludere per l’inutilizzabilità di tali acquisizioni.

2.3. Con il terzo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione, riguardo la mancanza di riscontri alle dichiarazioni di N., poichè le stesse, anche a volerle considerare utilizzabili, non sono state sottoposte al vaglio di attendibilità oggettiva e soggettiva, nè corroborate da ulteriori elementi di riscontro.

2.4. Con il quarto motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione attinente l’erronea qualificazione giuridica dei fatti.

Richiamati i ruoli rispettivamente svolti dai ricorrenti nel compimento dell’azione illecita, costituita dal conseguimento del prezzo del reato, si ritiene consumato non il delitto ricettazione, ma quello di favoreggiamento reale. Si contesta la legittimità dell’argomentazione della Corte fondata sui principi dettati in materia di concorso di persone nel reato, ove si è omesso di valorizzare a quale frazione dell’azione contestata i ricorrenti avessero preso parte, idonea a consentire l’affermazione di responsabilità a titolo di concorso, che si desume dal preteso possesso dei beni, che non risulta ascrivibile in alcuna fase dell’azione agli odierni ricorrenti.

2.5. Con il quinto motivo si contesta violazione di legge e vizio di motivazione riguardo il rigetto delle istanze di rinnovazione del dibattimento, alle quali non risulta operato alcun riferimento in sentenza.

2.6. Con il sesto motivo si eccepisce nullità della sentenza per "difetto di notificazione dell’avviso di fissazione della sentenza in favore di C.", vizio riferibile, per quel che è dato ricavare dalla lettera del ricorso, ad uno dei difensori di quell’imputato, evidenziando che, pur essendo stato operato il rilievo di rito nel corso della discussione in grado di appello alcuna motivazione in argomento era stata offerta dal giudice di merito.

2.7. Con il settimo motivo si rileva violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla decorrenza del termine prescrizionale, individuata dalla Corte in senso difforme da quanto richiesto dall’accusa, ritenendo che l’attività istruttoria avesse consentito di datare la consumazione del reato al momento in cui gli interessati vennero in contatto per la prima volta con i mezzi, elemento di fatto individuato senza indicare le ragioni di tale collocazione temporale, a fronte di reati presupposti consumati in epoca decisamente anteriore rispetto alla data individuata dal giudice di merito, violando il principio di favor rei che doveva portare ad individuare la consumazione nel giorno successivo alla data del furto.

La diversa data di presentazione dei documenti al PRA per l’immatricolazione, indicata utile dal giudice di merito ai fini in esame, non risulta corretta, posto che tale regolarizzazione presuppone un possesso del bene necessariamente antecedente, e non aderisce ai principi fissati costantemente sul tema dalla giurisprudenza.

2.8. Con l’ottavo motivo si lamenta omessa motivazione e violazione di legge, desumibile dalla mancata indicazione di criteri determinativi della sanzione applicabile quale pena base, a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione, mentre nella specie risulta omessa l’indicazione dei parametri utilizzati a tal fine, oltre che per la determinazione degli aumenti.

Si lamentano analoghi vizi con riferimento alla mancata motivazione del calcolo di sospensione dei termini di decorrenza della prescrizione, operato scomputando tutto il periodo intercorrente tra gli eventi, anche se valutati correttamente impedimenti, senza attenersi al termine di sessanta giorni previsto dalla legge. Ove il calcolo fosse stato eseguito nei termini corretti il periodo di sospensione avrebbe dovuto essere non superiore ai 20 giorni, mentre i difformi criteri eseguiti della Corte avevano condotto a risultati erronei e non motivati.

3.1. La difesa di D.B.S. con il primo motivo lamenta vizio di motivazione della pronuncia impugnata, osservando che nella sua parte espositiva individua la condotta ascritta all’interessato nell’espletamento di due trascrizioni di proprietà relative alla BMW tg (OMISSIS), mentre nella motivazione individua il profilo di responsabilità nell’aver egli curato l’immatricolazione del mezzo, quando l’attività effettivamente svolta era stata la prima, ravvisando in tale elemento di fatto illogicità della motivazione.

3.2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione di norma sostanziale e vizio di motivazione, osservando che i motivi di appello erano incentrati sulla limitazione dell’attività del D. B. all’azione di trascrizione del bene, mentre l’istigazione operata da parte del ricorrente nei confronti di N., e finalizzata a fargli a firmare l’atto di vendita del mezzo, era sconfessata dalla data di formazione di tale atto, successiva al cessare del rapporto di collaborazione con questi, terminato l’anno precedente. Nessuna argomentazione risulta offerta dai giudici di merito sulla consapevolezza da parte del ricorrente della provenienza furtiva del bene.

3.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione della norma sostanziale e vizio di motivazione riguardo l’omessa risposta ai motivi d’appello incentrati sul mancato accertamento di non veridicità del timbro rinvenuto nel possesso del ricorrente, oltre che della sua rispondenza a quello apposto sulla documentazione del mezzo, del quale si attribuisce la ricettazione al ricorrente.

3.4. Con il quarto motivo si rileva omessa motivazione sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento, sollecitata al fine di accertare la procedura seguita presso il Pra in caso sottoscrizione di atti di vendita di autovetture provenienti dall’estero per verificare la legittimità della procedura seguita, mentre la Corte ha pronunciato ordinanza di rigetto delle istanze istruttorie di un coimputato, nulla argomentando sul punto rimessole da esso ricorrente.

3.5. Con il quinto motivo si lamenta mancata motivazione e violazione di legge riguardo la mancata applicazione delle attenuanti generiche, richiamando l’omessa valutazione della personalità dell’imputato, desumibile dalla mancanza di precedenti a suo carico.

3.6. Con il sesto motivo si lamenta erronea applicazione della normativa in tema di prescrizione, per l’individuazione del termine di decorrenza la data in cui gli imputati vennero in contatto con il bene piuttosto che con quella successiva alla consumazione del furto.

3.7. La difesa di D.B.S., con motivi aggiunti, reitera l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese contra alios dal dichiarante N., di cui il P.m. non aveva, in sede di richieste probatorie, neppure sollecitato l’escussione in dibattimento; inoltre si rileva che il giudice le ha considerate fonte di prova senza operare la doverosa valutazione di credibilità oggettiva e soggettiva.

In relazione all’impugnazione proposta sulla non corretta identificazione del termine iniziale di decorrenza della prescrizione, si richiamano elementi di fatto che attesterebbero l’erroneità dell’assunto posto a base della valutazione contenuta nella sentenza, che comunque si assume immotivata.

3.8. Con ulteriore motivo di gravame, contenuto nel medesimo atto si contesta l’affermazione di responsabilità per il delitto di cui agli artt. 648 bis e 648 cod. pen., operata dai giudici di merito sulla base della sostanziale sovrapponibilità tra il timbro alterato trovato nel possesso del D.B. e quello risultato apposto sui documenti falsificati, omettendo di considerare che l’affermazione di responsabilità richiede un accertamento in termini di assoluta certezza, e non di probabilità. Inoltre non risulta da alcun atto che la vettura oggetto del capo di imputazione costituisse provento di furto, circostanza di fatto che esclude la possibilità di ritenere sussistente il contestato delitto di riciclaggio.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, anche per chiarire l’effetto che l’impugnazione in via astratta può spiegare sull’accertamento di responsabilità, si osserva che, alla luce dei controlli eseguiti da questa Corte, deve condividersi la correttezza del calcolo dei termini di prescrizione operato dalla Corte di merito in sentenza, escludendo a quella data la maturazione del termine massimo per tutti i reati sui quali è intervenuta condanna.

Risulta invero corretta l’individuazione di decorrenza del termine prescrizione operata con riguardo alla prova della concreta attività svolta da ciascuno degli imputati, posto che ad essi nella contestazione è attribuita la specifica attività di legalizzazione degli automezzi provento di reato, mediante interposizione, attività che, per quanto più diffusamente si dirà nell’illustrazione dello specifico punto, integra pienamente le fattispecie contestate;

rispetto a tale contestazione nessuna allegazione di parte ha offerto elementi che consentissero di retrodatare il contatto dei singoli con i beni illeciti all’epoca del furto.

Conseguentemente non ha fondamento l’eccezione in forza della quale sarebbe necessario datare la decorrenza iniziale del termine di prescrizione in coincidenza con tale più risalente data, per il principio del favor rei, posto che la consumazione del reato deve essere individuata sulla base delle risultanze e della contestazione;

in ragione di ciò, poichè ai prevenuti è attribuito lo svolgimento delle pratiche di legalizzazione dei mezzi reimmessi sul mercato, e da nessun atto, ed a fortiori neppure da ipotetiche ammissioni degli interessati, risulta che essi abbiano preso possesso del mezzo in epoca antecedente, ogni anteriore diversa datazione risulterebbe artificiosa e del tutto sganciata dalle risultanze di causa.

Infondato, oltre che generico e non aderente alle risultanze, è il motivo di ricorso fondato sull’illegittimo calcolo dei tempi di sospensione del decorso della prescrizione. A prescindere dal rilievo che l’assunto difensivo risulta sul punto del tutto generico, ipotizzando una legittima sospensione dei termini pari a soli 20 giorni, quantificazione del tutto priva di supporto giustificativo, dal controllo eseguito risulta invece che anche tale calcolo sia stato correttamente operato dalla Corte di merito.

In argomento è infondata la contestazione relativa all’erroneo calcolo di una sospensione maggiore di quella di sessanta giorni prevista dall’art. 159 cod. proc. pen. disposta in caso di astensione dalle udienze per adesione alla protesta collettiva da parte del difensori, o di rinvio disposto in caso di concomitante impegno professionale da parte dei medesimi professionisti, risultando ormai pacificamente acquisito nell’interpretazione giurisprudenziale che entrambe le evenienze, non essendo riconducibili ad impedimenti assoluti, non impongono l’applicazione della limitazione contenuta nella disciplina richiamata (S.U. del 30/09/2010 2010, dep. 07/12/2010 imp. Corsini n. 43428).

In forza di tale criterio di calcolo sarebbero prescritti dopo la pronuncia di secondo grado, solo i reati di cui ai capi b) – prescritto il 7/6/2001 -, d) – prescritto il 17/3/2001 -, f) – prescritto il 18/6/2001 -, h) – prescritto il 4/3/2011, ancorchè, secondo l’orientamento ormai costante dì questa Corte (da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 42839 del 08/10/2009, dep. 10/11/2009, imp. Imperato, Rv. 244999), affinchè possa spiegare efficacia la maturazione del termine di prescrizione successiva alla pronuncia di merito è necessario che si instauri un valido giudizio di impugnazione, situazione che si verifica solo ove non si sia in presenza di una causa di inammissibilità originaria del gravame. La verifica di tale circostanza deve conseguentemente essere svolta riguardo ai capi d’accusa richiamati, secondo le osservazioni che seguono.

2.1. Con il primo motivo di ricorso proposto dalla difesa di Cu.

M. si lamenta erronea individuazione dell’elemento psicologico del reato, di fatto riproponendo le medesime eccezioni di merito già superate nella sentenza, senza confrontarsi con la sua motivazione a riguardo; infatti si esclude che possa integrare il reato contestato l’attività di mediazione svolta dall’interessato, dimenticando che la configurazione del concorso di persone nel reato prevede secondo il nostro ordinamento, la corresponsabilità di chiunque partecipi anche ad una minima parte dell’azione collettiva, purchè la stessa sia essenziale al suo compimento, circostanza che non è posta in dubbio neppure dall’interessato.

Il vero nodo dell’accertamento non può che essere costituito dalla coscienza e volontà dell’azione e, come già esaustivamente chiarito dal giudice di merito, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, proprio la sua qualità professionale, nonchè la natura del bene sottoposto a limiti nella sua circolazione, imponeva un accertamento sulla legittimità della circolazione del bene, pacificamente non svolto dall’interessato, che non può integrare la fattispecie contravvenzionale invocata dalla difesa. E’ del resto del tutto pacificamente affermato in giurisprudenza che l’elemento psicologico del delitto contestato non richieda la precisa conoscenza della specifica illecita provenienza, potendo desumersi dagli elementi di fatto in possesso dell’uomo comune (Sez. 4, Sentenza n. 4170 del 12/12/2006, dep. 02/02/2007, imp. Azzaouzi, Rv. 235897), a fortiori ove munito degli cognizioni derivanti dallo svolgimento dell’attività professionale, sicchè nella specie non può che valutarsi esauriente e completa la motivazione con la quale il giudice di merito ha accertato a suo carico la sussistenza del dolo del reato contestato. Infatti le due condizioni oggettive indicate esigono un onere di accertamento della legittimità della provenienza, in mancanza del quale deve ritenersi, quanto meno, l’esistenza del dolo eventuale, avendo l’operatore accettato il rischio dell’illecita provenienza, elemento psicologico ormai pacificamente sufficiente ad integrare la fattispecie delittuosa secondo la giurisprudenza di legittimità e la stessa prospettazione difensiva contenute in ricorso. A ciò consegue che in realtà, a fronte dell’eccepita violazione di legge, si contesta l’iter motivazionale della sentenza, in maniera del tutto generica, non individuando in particolare i percorsi argomentativi che si assumono contrastanti con la logica o contraddittori.

A fronte di tale genericità di deduzione deve al contrario rilevarsi che, secondo il dettato della giurisprudenza in materia, il giudice di merito ha valorizzato le sopra indicate circostanze di fatto che impongono all’operatore un controllo sulla provenienza del bene, pacificamente non eseguito e che consentono di ritenere la prevalenza della volontà di concludere l’affare, a prezzo della rinuncia ad eseguire un controllo doveroso, agevolmente consentito dalla mera verifica del numero di telaio del mezzo, dando prevalenza all’attività lucrativa svolta, che l’agente non ha ritenuto di porre a rischio. Tale ricostruzione risulta operata secondo uno sviluppo logico e coerente, imponendo conseguentemente la valutazione di inammissibilità di tale motivo di ricorso.

2.2. Anche il presente motivo è inammissibile, sulla base di quanto già osservato in precedenza. In particolare, l’ampiezza della motivazione non può che essere correlata ai rilievi svolti in atto d’appello, che nella specie erano oltremodo generici, per di più superati delle stesse allegazioni difensive contenute in ricorso, essendo fondate sulla pretesa impossibilità di configurare il delitto di ricettazione nella figura del dolo eventuale, come s’è detto ammessa dallo stesso ricorrente nella fase successiva, in linea con l’evoluzione giurisprudenziale sul punto.

Per quanto già riportato, il giudice d’appello ha, con motivazione adeguata, giustificato la qualificazione giuridica del fatto e l’accertamento del dolo ed a tali osservazioni non può che farsi richiamo, dichiarando l’inammissibilità del ricorso per genericità. 3.1. Il rilievo procedurale svolto dalla difesa di C., D. B.G. e M., con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni de relato rese dall’ufficiale di p.g. è inammissibile in quanto generico, risultando fondato su pretese violazioni normative, prescindendo dalla identificazione della situazione concretamente verificatasi.

Il controllo eseguito ex officio sugli atti processuali ha consentito di accertare che, su accordo delle parti, nel corso del primo grado venne acquista l’informativa redatta dagli inquirenti, al fine di sottoporre i documenti ivi allegati all’isp. C. nel corso dell’audizione testimoniale, che si è svolta all’udienza successiva proprio utilizzando tale strumento di cognizione, per la consapevole sottoposizione delle domande, a cura delle parti, sulla base di quanto emergeva dai documenti acquisiti. Il motivo di ricorso, difficilmente decifrabile in fatto per la sua assenza di specificità, risulta superato, da un canto dal dato obiettivo di cui si è dato conto nella sentenza di primo grado, costituito dall’audizione diretta del verbalizzante C., dalla mancata deduzione dell’intervenuta richiesta di audizione di eventuali testi di riferimento ex art. 195 c.p.p., comma 4, dall’intervenuta acquisizione degli atti redatti dalla medesimo C., sul cui contenuto questi è stato escusso in contraddittorio.

Peraltro dall’esame della motivazione impugnata non è dato desumere la presenza di alcuna valorizzazione di dichiarazioni di terzi verbalizzanti non escussi, sicchè la relativa eccezione di inutilizzabilità, pur nella sua fumosità, non avendo individuato con precisione l’atto alla quale si riferisce, rivela la sua manifesta infondatezza per irrilevanza nel caso concreto.

Dall’argomentazione contenuta in sentenza si desume da un canto, che la valutazione ha riguardato la documentazione e non valutazioni espresse da terzi non escussi quali testimoni, dall’altro che su tale acquisizione vi è stato il consenso delle parti, circostanze che entrambe legittimano l’utilizzazione degli atti.

Si impone di conseguenza la dichiarazione di inammissibilità del motivo di ricorso per genericità. 3.2. Quanto alla eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni del coimputato N., non escusso in contraddittorio, si rileva che l’esame delle due sentenze di merito permette di escludere qualsiasi valorizzazione di tali acquisizioni in danno dei ricorrenti, essendo i giudici di merito pervenuti all’accertamento di responsabilità dei prevenuti sulla base delle risultanze documentali e delle dichiarazioni degli acquirenti delle autovetture, oltre che in forza delle osservazioni svolte dagli agenti di p.g. di escussi.

Tale conclusione è ampiamente desumibile dalla lettura della sentenza di secondo grado ove il richiamo a N. è operato solo in chiave incidentale, per superarne le deduzioni e valorizzare, in senso esclusivo, quanto emerge aliunde.

La pretesa inutilizzabilità quindi non ha alcuna incidenza sulla valorizzazione delle prove svolta dal giudice di merito, e risulta superata dalla cosiddetta prova di resistenza, rendendo inammissibile il relativo motivo di ricorso.

3.3. L’irrilevanza al fine di decidere delle dichiarazioni di N. emergente dall’esame della motivazione della sentenza impugnata impone, conseguentemente, la dichiarazione di inammissibilità anche dell’ulteriore motivo di ricorso, fondato sul mancato accertamento di riscontri alle dichiarazioni accusatorie, in quanto di fatto queste non risultano utilizzate al fine di giungere all’accertamento di responsabilità. 3.4. L’eccepita erronea qualificazione giuridica dei fatti, basata sul preteso inquadramento dell’azione nel favoreggiamento reale, prescinde del tutto dalla lettera della disposizione normativa richiamata, nonchè della fattispecie contestata in concreto. Nel relativo motivo di ricorso nessuno dei tre ricorrenti contesta la consumazione dell’azione ad essi specificamente attribuita e correttamente individuata sia nel capo d’imputazione, che nella sentenza, e considerata la piena possibilità di inquadramento delle azioni loro attribuite nella figura della ricettazione per intromissione (Sez. 2, Sentenza n. 8714 del 11/02/2011, dep. 04/03/2011, Gueli, Rv. 249815) non può che escludersi l’ammissibilità di tale motivo di ricorso per genericità, posto che la figura giuridica meno grave invocata è incompatibile con la finalità di locupletazione solitamente connessa all’attività di intermediazione nella vendita di auto, non risultando neppure dedotto da alcuno,nel concreto, che l’attività di interposizione sia stata realizzata ad un fine diverso.

3.5. Riguardo l’eccezione di mancata motivazione del rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento si deve preliminarmente rilevare che l’esame dei motivi di appello e dei verbali di dibattimento, ha condotto ad accertare che la richiesta di rinnovazione era stata formulata soltanto dalla difesa di C. il che rende inammissibile, preliminarmente, il motivo di ricorso svolto sul punto dagli altri imputati.

Quanto alla posizione del ricorrente richiamato, contrariamente alle deduzioni difensive, risulta contrastata in sentenza l’utilità degli approfondimenti sollecitati dalla difesa, il che esaurisce il potere di controllo di questa Corte in argomento, non potendo lo stesso tradursi in una valutazione di merito che si sostituisca a quella del giudice d’appello. Anche il motivo proposto sul punto dal ricorrente C. non si sottrae alla valutazione di inammissibilità. 3.6. Il motivo di ricorso in esame, pur riguardando letteralmente il solo C., è stato svolto senza alcuna illustrazione dei motivi di rilevanza per i terzi, nei ricorsi attinenti tutti gli altri ricorrenti e pertanto rispetto ad essi deve accertarsi l’inammissibilità; ad analoga conclusione in ogni caso deve giungersi anche con riferimento all’imputato citato, stante da un canto l’assoluta genericità del rilievo che non individua letteralmente neppure l’atto di cui si assume la nullità, non essendo prevista alcuna comunicazione al difensore di "avviso di fissazione della sentenza" omissione che, in ogni caso, non risulta eccepita nel corso del giudizio di merito e che, riguardando un preteso omesso avviso al difensore attinente una sentenza che risulta impugnata nei termini, non può che essere stata sanata dalla successiva attività.

Anche tale motivo di ricorso deve essere pertanto valutato inammissibile.

3.7. Il motivo di ricorso richiamato riguarda il computo del termine prescrizionale già analizzato sub 1.1. cui deve farsi riferimento.

3.8. L’esame della sentenza nella parte relativa la determinazione della sanzione smentisce, per tutti i ricorrenti, la sussistenza del vizio lamentato in ricorso, relativo al calcolo della pena, essendosi per tutti gli imputati in primo grado individuata la pena base, determinata in relazione al reato ritenuto più grave, ed indicati gli aumenti per la continuazione da apportarsi per tutti gli ulteriori reati, con indicazione dei canoni valutativi ai sensi dell’art. 133 cod. pen. ed evidentemente accertata la conseguente completezza motivazionale della sentenza di secondo grado che sul quel calcolo si è basata, provvedendo tale autorità solo a sottrarre gli aumenti operati per i reati per i quali è giunta all’esclusione di responsabilità, procedimento che ha consentito il pieno controllo della difesa anche di tale aspetto della pronuncia.

Ciò esclude la ricorrenza della violazione di legge contestata in argomento, circostanza che, anche sotto questo profilo, induce a concludere per l’inammissibilità del motivo di ricorso, per manifesta infondatezza.

3.9. Deve da ultimo osservarsi che, nel corso dell’udienza la difesa di C., ha riproposto una questione di fatto, costituita dal dubbio del identificabilita del suo assistito con il C. F. indicato in atti, in ragione della presenza di un secondo nome di battesimo, che non garantirebbe la corrispondenza tra le due persone di cui si parla. Posto che il rilievo non è contenuto nei motivi di ricorso, non può che concludersi per la sua inammissibilità sul piano procedurale per tardività; in ogni caso attenendo l’effettiva questione proposta una valutazione di merito, non sollevata neppure richiamando lacune motivazionali sul punto, tale rilievo sarebbe stato insuscettibile di esame in questa sede.

4.1. La difesa di D.B.S. assume la presenza di un vizio della motivazione riguardo l’individuazione dell’attività l’illecita ascritta al suo assistito. Il motivo è del tutto irrilevante in quanto l’onere di motivazione del giudice di merito era circoscritto ai motivi di appello, che non erano fondati sulla definizione dell’attività svolta dal ricorrente, ma esclusivamente sulla sua estraneità al percorso di legalizzazione dell’automezzo, comunque concretizzatosi, estraneità rispetto alla quale la Corte ha compiutamente motivato l’infondatezza dell’assunto in fatto. In tal senso quindi il ricorso, che focalizza la presenza di una imprecisione espressiva nella sentenza, irrilevante rispetto alla contestazione contenuta nel motivo d’appello in quanto non incidente sul percorso motivazionale tracciato dagli elementi in contestazione, non può che valutarsi inammissibile.

4.2. Ad analoghe conclusioni deve giungersi riguardo l’ulteriore motivo di ricorso, fondato sulla pretesa valorizzazione della condotta del ricorrente di istigazione all’attività illecita nei confronti del coimputato non ricorrente N., in quanto l’esame delle pronunce di merito permette di porre in evidenza la circostanza che, nel secondo atto di vendita riguardante la medesima vettura con i numeri di telaio alterati, le pratiche di iscrizione al pubblico registro automobilistico risultano eseguite proprio dal ricorrente che, essendo titolare di un’agenzia di pratiche automobilistiche, ed avendo provveduto tramite tale attività a permettere l’ulteriore passaggio di proprietà di un veicolo con dati alterati, deve ritenersi responsabile dell’attività illecita contestata.

Il motivo di ricorso che si limita a svalutare il portato dichiarativo di N. prescinde dalla motivazione contenuta nella sentenza d’appello che di tali dichiarazioni non tiene alcun conto.

Analogamente completa risulta la motivazione circa la consapevolezza dell’illecito, considerata la natura professionale dell’attività di D.B. e l’evidenza dell’alterazione dei dati identificativi dell’automezzo, operata con la manomissione dei dati del telaio.

4.3. Il motivo in esame è fondato sul preteso vizio di motivazione riguardante la mancata riferibilità del timbro rinvenuto nel possesso del ricorrente a quello che risulta apposto all’automezzo oggetto del riciclaggio di cui al capo E1). Contrariamente all’assunto difensivo, risulta invece che nella sentenza d’appello il giudice abbia motivato la riconducibilità del timbro all’annotazione erronea, valorizzando sia il dato del suo reperimento nell’agenzia automobilistica di cui era titolare, sia l’assoluta mancanza di motivi per la sua detenzione. E’ stato inoltre argomentato a riguardo che, seppur dal processo verbale di sequestro del timbro risulterebbe presente una scritta differente rispetto a quella riportata dai documenti dell’auto a causa della diversa annotazione di un singolo carattere alfabetico, tale discrasia è giustificabile per effetto di un errore materiale compiuto dai verbalizzante.

In questa sede dovendosi valutare la sussistenza della logicità della motivazione, non può che concludersi nel senso positivo, risultando del tutto coerente e non contraddittoria la valutazione operata dal giudice di merito nella fase di gravame nella quale, data per presupposta la completezza del quadro probatorio, non risultando mai sollecitato un accertamento concreto sulla rispondenza dell’impronta rispetto al timbro rinvenuto, malgrado entrambi gli elementi fossero stati posti a base della contestazione ed a disposizione del pieno contraddittorio delle parti e tale rispondenza non fosse mai stata prima posta in discussione, non risultava mai sollecitata dalla parte una rinnovazione del dibattimento sul punto.

Tali circostanze consentono di apprezzare come logica e coerente la valutazione di merito operata dal giudice d’appello, che pertanto si sottrae ai rilievi operati in ricorso, permettendo di giungere anche su tale motivo di gravame alla dichiarazione di inammissibilità. 4.4. Il motivo di ricorso in esame è basato sull’omessa motivazione di una richiesta di rinnovazione del dibattimento che nei fatti non risulta essere stata proposta nè negli atti di appello formulati nell’interesse dell’odierno ricorrente, nè con motivi aggiunti, che non risultano depositati, nè da ultimo esposti nel corso del dibattimento d’appello, non risultando verbalizzata alcuna istanza a riguardo; tali circostanze rendono inammissibile per manifesta infondatezza il motivo in esame.

4.5. Il motivo attinente la mancata motivazione del diniego di attenuanti generiche prescinde del tutto dal testo della pronuncia impugnata ove, al contrario, si è dato conto delle circostanze di fatto che escludevano la fondatezza dell’istanza, essendosi esposto sul punto che gli stessi istanti non avevano valorizzato nei motivi d’appello elementi positivi dai quali poter desumere una minore gravita dei fatti. Tale giudizio risulta, oltre che adeguatamente motivato, espressamente fondato sulla base dell’esame degli atti d’appello, che in argomento risultano del tutto silenti, richiamandosi a generiche esigenze di adeguare la pena alla reale portata della vicenda.

4.6. Il motivo richiamato riguarda la pretesa erronea applicazione della normativa in tema di prescrizione già valorizzata sub 1.1., alle cui argomentazioni si richiama.

4.7. Come si è esposto in narrativa in argomento sono stati espressi motivi aggiunti attinenti la mancata dichiarazione di inutilizzabilità del dichiarante N., nonchè nuovamente l’erronea decorrenza del termine prescrizionale, circostanze di fatto rispetto alle quali non può che rimandarsi a quanto già espresso.

In tal senso risulta del tutto irrilevante la circostanza di fatto della sospensione in epoca precedente alla data del commesso reato della collaborazione di N. con il ricorrente, atteso che dalle pronunce di merito l’attribuzione di responsabilità al D.B. S. per i reati contestati non risulta connessa all’esecuzione dell’illecito da parte di N..

4.8. Gli ulteriori rilievi contenuti nei motivi aggiunti riguardano elementi di fatto relativi alla mancata identificabilità del timbro nel possesso del ricorrente con quello apposto sulla documentazione falsificata, e la mancata prova della provenienza furtiva dell’autovettura oggetto del contestato riciclaggio. Quanto al primo elemento di fatto non può che richiamarsi quanto già espresso in ordine alla completa argomentazione offerta sull’argomento dei giudici d’appello; in relazione al secondo elemento basterà richiamare il testo della disposizione incriminatrice, che punisce la sostituzione di beni provenienti da reato non colposo, e la motivazione della sentenza di primo grado, che chiarisce che nella specie, l’automezzo di cui al capo E1) dimostrava la sua provenienza illecita in forza dell’alterazione dei dati del telaio e della relativa documentazione, per escludere la pretesa insussistenza di prove del reato presupposto, elemento in diritto peraltro mai oggetto di contestazione nel grado di merito.

Anche tali motivi, sotto entrambi i profili, risultano inammissibili.

5. L’inammissibilità delle impugnazioni proposte, comportando l’accertamento della mancata instaurazione di un valido giudizio di impugnazione, esclude, come si accennava, l’accertamento di prescrizione dei reati, ed impone la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè della somma indicate dispositivo ritenuta equa posta a carico di ciascuno, da versarsi in favore della Cassa delle Ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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