Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 30-08-2011) 21-10-2011, n. 38139 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 24/11/09, dichiarava P. V. colpevole del reato di cui all’art. 81 cpv c.p., L. n. 689 del 1981, art. 37, così come sostituito dalla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 19 perchè in qualità di amministratore unico della impresa P.D., al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza ed assistenza obbligatorie. ometteva di effettuare all’INPS le prescritte denunce obbligatorie dalle quali derivava un mancato versamento di contributi e premi per un importo mensile non interiore al maggiore importo tra cinque milioni mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti, e lo condannava alla pena di mesi 4 di reclusione, pena sospesa.

La Corte di Appello di Roma, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse dell’imputato, in parziale riforma del decisimi di prime cure ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del P. in ordine ai reati consumati fino al 30/5/03 per estinzione a seguito di intervenuta prescrizione e ha ridotto la pena a mesi 2 di reclusione, con conferma nel resto.

Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato con i seguenti motivi: – erronea applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 37 sostituito dalla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 19 rilevando che la norma che configura il reato contestato ha per presupposto l’avvenuto effettivo versamento delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, nella specie circostanza questa non provata: – inosservanza dell’art. 529 c.p.p. avendo la Corte territoriale dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati consumati fino al 30/5/05 per estinzione a seguito di intervenuta prescrizione, per cui non avrebbe dovuto limitarsi a ridurre la pena, ma avrebbe dovuto dichiarare la improcedibilità per estinzione del reato continuato contestato.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Quanto al primo motivo si rileva che la fattispecie in esame è materialmente e strutturalmente diversa dal reato di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori, per la cui concretizzazione necessita la prova della corresponsione della stessa retribuzione al dipendente (Cass. 25/5/04 n. 28705): il reato in contestazione, infatti, si perfeziona in tutti i suoi elementi costitutivi una volta che il datore di lavoro ometta di effettuare all’INPS le prescritte denunce obbligatorie da cui deriva un mancalo versamento di contributi e premi per un importo mensile non inferiore al maggiore importo tra 5 milioni mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti, a nulla rilevando l’avvenuta corresponsione o meno della retribuzione ai lavoratori dipendenti o la carenza di mezzi finanziari da parte del datore di lavoro medesimo.

Del pari manifestamente infondata si palesa la seconda censura. visto che dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la impugnata pronuncia appare evidente che il decidente ha dichiarato estinti i reati consumati fino al 30/5/03. come specificato in motivazione, dovendosi considerare errore materiale di trascrizione l’avere indicato in dispositivo la differente data del 30/5/05. La inammissibilità del ricorso preclude a questa Corte di potere procedere alla correzione del predetto errore, per cui viene disposta la trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Roma perchè provveda sul punto.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il P. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso deve, altresì, a norma dell’art. 616 c.p.p., essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di e condanna il ricorrente di Euro 1.000.00 in favore della Cassa delle Ammende; dispone trasmettersi gli atti alla Corte di Appello di Roma per la correzione materiale dell’errore contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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