Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-04-2012, n. 5550

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 6131 del 18.3.2010, accolse l’appello proposto da F.M. avverso la sentenza n. 4274/06 del Giudice di Pace che aveva dichiarato la litispendenza del giudizio in corso in relazione a quello pendente davanti alla Corte d’Appello, iscritto al n. R.G. 8407/04.

La domanda formulata dal F. nei confronti del Comune di Roma era relativa al pagamento della somma di Euro 2.087,02 a titolo di indebito arricchimento.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi il Comune di Roma.

Resiste con controricorso il F..

Motivi della decisione

Preliminarmente, va disattesa l’eccezione, sollevata dal resistente, di difetto di rappresentanza del Comune di Roma, da parte del Sindaco, per la istituzione della Gestione Commissariale dello stesso Comune, con bilancio separato rispetto a quella ordinaria.

Con la stessa, infatti, sono state soltanto poste a carico della detta Gestione "tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28/04/08 anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti siano stati liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima data" (v. L. 26 marzo 2010, n. 42).

I compiti della Gestione Commissariale riguardano, pertanto, soltanto la definizione dei rapporti obbligatori assunti dal Comune, senza alterare minimamente i poteri di rappresentanza sostanziale e processuale del Comune, che spettano – secondo lo Statuto (approvato il 17.7.2000 con Delib. n. 122 – art. 24) – al Sindaco.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del precedente giudicato esterno formatosi fra le parti: violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (in relazione all’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.), dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (in relazione all’intangibilità del giudicato formatosi), dell’art. 360, n. 5 (in relazione all’erronea individuazione della portata del giudicato formatosi ed all’errata percezione del contenuto degli atti processuali). Violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 295 c.p.c..

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c.. Difetto di motivazione.

I motivi, che per la loro stretta connessione sono esaminati congiuntamente, sono inammissibili sotto svariati profili. Va anzitutto osservato che come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare e -anche recentemente- di ribadire, perchè il giudicato esterno, che è rilevabile d’ufficio, possa far stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, la quale – non potendone risultare la portata dal solo dispositivo – deve essere provata attraverso la produzione della sentenza completa della motivazione, recante il relativo attestato di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c. (Cass. 9.3.2011 n. 5586; Cass. 8.5.2009 n. 10623;

Cass. 24.11.2008, n. 27881; S.U. 16.6.2006 n. 13916).

Nel caso in esame una tale produzione non risulta effettuata dal ricorrente, nè lo stesso avrebbe potuto provvedervi ai sensi dell’art. 372 c.p.c., trattandosi di giudicato asseritamente formatosi anteriormente al termine per la proposizione del ricorso per cassazione (S.U. 16.6.2006 n. 13916).

Va inoltre rilevato che i motivi posti a fondamento del ricorso per cassazione devono rivestire i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto.

E ciò perchè è inammissibile il motivo nel quale non venga precisato, in qual modo e sotto quale profilo, la pronuncia di merito sia incorsa nella violazione denunciata.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito (ad es. Cass. ord. 21.7.2006 n. 16752).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del fatto, sostanziale e processuale, sufficiente per comprendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (Cass. 28.2.2006 n. 4403).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste, pertanto, nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322), conferendo alla Corte di legittimità soltanto la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, l’esame e la valutazione del materiale probatorio.

Il ricorrente non ha fatto un corretto uso dei principi riportati.

Sotto il profilo dell’autosufficienza, va evidenziato che il riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito es. all’affidamento "a partire dal 1991 … a vari soggetti" del "servizio di rimozione e deposito veicoli asportati per sosta vietata ed intralcio o percolo alla circolazione", ai "sub affidamenti per il materiale svolgimento dello stesso, con particolare riferimento alla custodia dei veicoli", alla costituzione del "Consorzio (CAST) fra i soggetti privati che materialmente gestivano tale servizio di deposito", alla messa in liquidazione del CAST, all’"atto di citazione in Tribunale in data 26.6.1998", all’"atto di appello", ad "altro ed autonomo atto di citazione … contenente anche una dichiarazione di rinuncia all’altra azione intrapresa", alla notificazione di "atto di rinuncia al giudizio già instaurato", agli artt. 10 e 12 della Convenzione con la quale il Comune aveva affidato il servizio all’ATAC", al "petitum (sia pur parziale sul piano solo quantitativo nel giudizio dinanzi al Giudice di pace) e della causa pretendi" del "giudizio relativo alla sentenza del tribunale n. 25619/2003", agli "atti introduttivi (in primo e secondo grado)", all’affidamento da parte del "personale della Polizia Municipale" del "veicolo rimosso (anche) alla ditta F. solo in virtù del rapporto esistente tra questa ed il Concessionario del servizio" è stato limitato al mero richiamo, senza la loro riproduzione in ricorso e senza l’indicazione della sede processuale della loro produzione e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

Così operando la Corte non è posta nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito. Inoltre, sotto diverso profilo, le lacune richiamate non consentono neppure alla Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.

Non sono, infatti, sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, posto che è onere del ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la pronuncia impugnata (fra le tante Cass. 10.9.2004 n. 18288).

Per altro verso, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si configura solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.

Nessuna censura a tal fine degli art. 115 e 116 c.p.c. è stata formulata.

Nel caso in esame, sotto il profilo del vizio motivazionale le censure – oltre ad essere proposte secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4 – in realtà si risolvono nel dedurre una erronea attribuzione, da parte del giudice del merito, agli elementi valutati in modo difforme dalle aspettative del ricorrente ed in una inammissibile pretesa di una lettura del complesso probatorio, diversa da quella operata dai giudici di merito.

Il che, comportando una nuova valutazione in fatto, non è consentita in questa sede.

Conclusivamente, il ricorso è inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico del ricorrente ed a favore del resistente, con attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 1.200,00 di cui 1.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, che attribuisce al difensore che si dichiara antistatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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