Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 30-08-2011) 21-10-2011, n. 38137 Reati tributari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale di Pisa, con sentenza del 28/4/2010, dichiarava D. N.S., De.Ni.Ro. e V.A. colpevoli dei reati di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., n. 2, e art. 483 c.p.; D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 5 e 8, e li condannava alla pena di anni 4 di reclusione ciascuno, con interdizione dai pp.uu. per la durata di anni cinque.

La Corte di Appello di Firenze, chiamata a pronunciarsi sugli appelli interposti nell’interesse dei prevenuti, con sentenza del 28/2/2011, ha confermato il decisum di prime cure.

Propongono autonomi ricorsi per cassazione i rispettivi difensori degli imputati, con i seguenti motivi:

– per il D.N.: evidente contraddizione della motivazione in punto di attribuzione di responsabilità al prevenuto in relazione al reato di cui all’art. 438 c.p., visto che il decidente afferma che lo stesso era da considerarsi un mero prestanome, limitatosi a sottoscrivere in bianco tutte le certificazioni di cui al capo di imputazione;

– la istruttoria dibattimentale avrebbe dovuto determinare il giudice di merito a non ritenere concretizzato il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, in quanto le fatture emesse sono reali e tutt’altro che inesistenti e non certo emesse per consentire l’evasione altrui;

– ha errato il giudice di merito nel non deliberare sul motivo di appello attinente alle ordinanze dell’1/4/09, dell’11/11/09 e 22/7/2010, con cui il Tribunale aveva sospeso il termine della prescrizione, ritenendo inesistente, allo stato, l’interesse ad agire dell’appellante.

– per De.Ni.: con il primo motivo si eccepisce violazione dell’art. 586 c.p.p., e dell’art. 159 c.p., rilevando che le ordinanze, emesse dal giudice di primo grado, con cui è stata disposta la sospensione del termine di prescrizione vanno revocate, posto che i rinvii del dibattimento sono stati determinati da esigenze processuali ed istruttorie, consistenti nella escussione dei testi di accusa e di difesa;

– evidente contraddittorietà della sentenza con gli atti del processo e travisamento delle prove e del fatto;

– erronea applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, determinata dal mancato rilievo da parte della Corte territoriale delle incongruenze e contraddizioni emerse dalle deposizioni dei verbalizzanti ( T. e M.);

– la sentenza va annullata, posto che in essa non viene indicata la pena base per il reato più grave, nonchè di quella irrogata a titolo di aumento per la continuazione;

– con motivi nuovi, la difesa ribadisce la eccezione formulata con la prima censura del ricorso introduttivo, specificando ulteriori ragioni a sostegno della fondatezza della stessa; e rileva che l’annullamento delle ordinanze dibattimentali comporta la declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione per i fatti contestati sino al febbraio 2004, data di cessazione della attività della Autoleader;

– per V.: insussistenza di prove in ordine alla responsabilità del prevenuto per i reati ad esso cointestati;

– erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 81 c.p., in ordine al mancato accoglimento da parte del Tribunale della richiesta di applicare un minimo aumento in continuazione con la sentenza n. 328/06, emessa dal Gup del Tribunale di Lucca;

– il giudice di prime cure ha errato nel rinviare il processo per i vari adempimenti istruttori, disponendo la sospensione del corso della prescrizione, in applicazione della normativa introdotta con la L. n. 125 del 2008;

E’ emerso, incontestabilmente, che gli imputati hanno emesso nell’anno 2003 n. 45 fatture, del complessivo importo di Euro 911.600,01 (di cui i.v.a. pari a Euro 151.933,36) e nell’anno 2004 fatture del complessivo importo di Euro 1.068.499,97 (di cui i.v.a. pari a Euro 178.083,33) attraverso la fittizia interposizione della Autolieader tra il cedente estero e il concessionario rivenditore all’acquirente finale, al fine di consentire al detto concessionario una sostanziale evasione di imposta, mediante il conseguimento di un credito di imposta i.v.a., che in realtà, non veniva assolto.

Peraltro, al giudice di legittimità è precluso procedere a nuova analisi estimativa sulla piattaforma probatoria, oggetto di esame del giudice di merito, allorchè, il discorso giustificativo da quest’ultimo svolto si rappresenti esente da vizi e condotto con logicità e plausibilità.

Ulteriore motivo di impugnazione, se pur esplicitato dagli interessati con differente linea critica, ma sostanzialmente uniforme nelle tre impugnazioni, riguarda le sospensioni del termine prescrizionale, disposte dal giudice di merito in occasione dei diversi rinvii del processo di primo grado.

La eccezione è del tutto inconferente, visto che solo a considerare il rinvio dall’1/4/09 al 22/7/09 determinato dalla adesione dei difensori alla astensione dalle udienze proclamata dalla classe forense, che va computato in toto ai fini della prescrizione, il relativo termine andrà a consumarsi il 7/9/2011.

Residua l’esame di due censure, rispettivamente avanzate nel ricorso del De.Ni. e nel ricorso del V..

Il De.Ni. si duole della omessa determinazione quantitativa specifica del trattamento sanzionatorio.

La censura è infondata, visto che il giudice di seconde cure ha confermato il decisum reso dal Tribunale, che nell’infliggere la pena aveva distinto, indicando specificatamente, la pena base e gli aumenti per la continuazione.

Il V. eccepisce la errata applicazione dell’art. 81 c.p., in quanto il Tribunale avrebbe dovuto applicare un minimo aumento in continuazione con la sentenza n. 328/06, resa dal Gup del Tribunale di Lucca in data 18/5/06.

Anche detta doglianza è priva di pregio: come affermato dal giudice di prime cure non può riconoscersi che il V. abbia agito in maniera illecita con un medesimo disegno criminoso, così da ricollegare, in continuazione, la condotta punita con la sentenza precitata e quella in esame nel presente processo.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000 n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il D.N., il De.Ni. e il V. abbiano proposto i ricorsi senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, gli stessi devono, altresì, a norma dell’art. 616 c.p.p., essere condannati al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00 ciascuno.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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