T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., 19-11-2011, n. 1868

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La vicenda oggetto dell’odierno ricorso nasce dall’autorizzazione del direttore del Settore Opere e lavori pubblici del Comune di Salerno (determina dirigenziale n. 5743 del 6.11.2009) a Tekton ed alla società ESA Costruzioni generali s.p.a. ad affidare in subappalto alla società ricorrente i lavori di carpenteria del cemento armato, nell’ambito dell’intervento di realizzazione di Piazza della Libertà.

La Prefettura di Salerno, il 15.6.2010, aveva reso informativa antimafia liberatoria sul conto di MAR.SAL., ai sensi dell’art.4 D.Lgs. n. 490 del 1994 e dell’art. 10 D.P.R. n. 252 del 1998.

Sennonché, la stessa Prefettura, con successivo Provv. del 23 dicembre 2010, a seguito di informazioni assunte dalle forze di Polizia, ha revocato l’informativa liberatoria ed ha adottato una contraria informativa antimafia ostativa.

Il Comune di Salerno, con determina n. 6061 del 24.12.2010, in esecuzione degli atti della Prefettura, ha revocato con effetto immediato l’autorizzazione al subappalto e, di conseguenza., ha estromesso la società ricorrente dai lavori in corso di esecuzione.

Avverso la revoca, Marsal ha proposto l’odierno ricorso, ritualmente notificato e depositato, con il quale ha dedotto diversi motivi di censura per violazione dell’art. 3 L. n. 241 del 1990; dell’art. 4 D.Lgs. n. 490 del 1994, dell’art. 10, comma 7, lett. c), comma 8 D.P.R. n. 252 del 1998; violazione del canone dell’attualità; eccesso di potere per travisamento, deficit istruttorio, motivazione apparente, sviamento, arbitrarietà.

Con ordinanza istruttoria n. 13 del 13 gennaio 2011, il Tar ha disposto l’acquisizione dei rapporti pervenuti dal Questore di Salerno del 18 ottobre e del 4 novembre 2010 tramite i quali sono stati riferiti gli esiti degli accertamenti di polizia svolti sul consorzio ricorrente e sulle altre società riconducibili ad un unico gruppo imprenditoriale dell’Agro nocerino sarnese.

2.- Nel frattempo parte ricorrente ha presentato motivi aggiunti, notificati l’8 febbraio 2011 e depositati il 16 successivo, avverso l’informativa interdittiva prot. n. 3486 del 23.12.2010 dell’UTG di Salerno e degli atti a questa collegati. Quest’ultima informativa presume il collegamento di Marsal con una holding familiare, il cui dominus, F.M., padre dei soci gestori della Marsal medesima, rivestirebbe il ruolo di referente di organizzazioni criminali, perché gravato da precedenti penali ed arrestato, nel marzo 2009, per i reati di estorsione e di usura, aggravati dall’art. 7 L. n. 203 del 1991. Parte ricorrente ha riproposto sostanzialmente le medesime censure formulate col ricorso introduttivo.

3.- Il Ministero, in ottemperanza agli incombenti istruttori, ha depositato documenti il 28 febbraio ed il 2 marzo 2011.

A seguito di ciò, parte ricorrente ha presentato ulteriori motivi aggiunti, notificati il 30 marzo e depositati l’8 aprile successivo. Con questi ultimi, ha fondamentalmente rilevato che i rapporti della DIA del 3 e del 21 febbraio 2011, acquisiti agli atti della causa, nel tentare di fornire un appiglio motivazionale ai precedenti provvedimenti interdittivi, introducono tuttavia un’inammissibile etero-integrazione postuma della motivazione. Gli stessi, propongono infatti ulteriori elementi di sospetto, innovativi rispetto all’originaria interdittiva. Osserva più nello specifico parte ricorrente che, nel supplemento d’istruttoria, la DIA ha considerato F.M. non più "delinquente mafioso" ma semplicemente imprenditore colluso.

Per quanto sopra ha chiesto in accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti, l’annullamento degli atti impugnati, vinte le spese.

4.- Si sono costituiti in giudizio il Comune di Salerno e, per conto delle amministrazioni intimate, l’Avvocatura dello Stato che ha depositato documentazione e memorie di replica nelle quali ha chiesto la reiezione dei ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti.

Alla pubblica udienza del 23 giugno 2011, la causa è stata introitata per la decisione.

Il 24 giugno seguente è stato pubblicato il dispositivo.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

Va premesso in linea di principio che, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa, le informative antimafia svolgono la funzione di anticipare la soglia dell’autotutela amministrativa per prevenire possibili ingerenze da parte delle organizzazioni criminali nella attività della pubbliche amministrazioni. La tecnica anticipatoria prescinde, necessariamente, dalle rilevanze probatorie tipiche del diritto penale, concentrandosi sull’obiettivo di cogliere l’estraneità da simili ingerenze e quindi affidabilità dell’impresa affidataria (Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2867).

Da ciò consegue che, ai sensi dell’art. 4 D.Lgs. n. 490 del 1994 e dell’art. 10 D.P.R. n. 252 del 1988, le pubbliche amministrazioni non possono stipulare o comunque intrattenere rapporti contrattuali con soggetti a carico dei quali l’informativa abbia ravvisato la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa. Proprio per l’esigenza di prevenire la soglia delle tutele, ciò non presuppone affatto l’accertamento di responsabilità penali in capo ai titolari dell’impresa sospettata, ma considera sufficiente che, dalle informazioni acquisiste tramite gli organi di polizia, emerga un quadro indiziario dal quale traspaiano forme di collegamento tra l’impresa e la criminalità organizzata. A legittimare dunque l’adozione dell’informativa prefettizia è pertanto sufficiente che, all’esito dell’istruttoria, emergano elementi indiziari i quali, complessivamente considerati, rendano attendibile il tentativo di ingerenza da parte delle organizzazioni criminali.

La giurisprudenza amministrativa ha poi rilevato che, in considerazione dell’ampia discrezionalità riservata in materia all’autorità prefettizia, l’esame del giudice è circoscritto alla verifica estrinseca dei vizi sintomatici di illogicità manifesta o di travisamento dei fatti (Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 2007, n. 3470).

2.- Il parametro valutativo degli elementi indiziari non è dunque quello della certezza, bensì della qualificata probabilità di infiltrazione mafiosa. Nel rendere le informazioni richieste dalle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 10, comma 7, lett. c), D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, il Prefetto perviene a determinate conclusioni seguendo, il più delle volte, un ragionamento induttivo nel quale pone in relazione singoli episodi, comportamenti e scelte effettuate dall’imprenditore, circostanze i quali, se considerati in collegamento tra di loro, possono fornire un quadro indiziario complessivo di effettiva penetrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni, con condizionamento, delle scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese interessate (si confronti l’art. 4, comma 4, D.Lgs. n. 490 del 1994).

L’ampiezza dei poteri di accertamento è giustificata dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento interdittivo e comporta che il Prefetto possa ravvisare i sintomi dell’infiltrazione mafiosa anche in fatti che, in sé considerati, appaiono privi di significato ma che, colti nel loro complesso, sono in grado di fondare un giudizio attendibile del fatto che un’organizzazione criminale organizzata abbia condizionato o stia condizionando, anche indirettamente, un’attività dell’impresa. Rilevante assume a questi fini la presenza nei centri decisionali dell’impresa, o comunque forme di collegamento, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose (Cons. Stato, Sez. VI, 2 agosto 2006, n. 4737).

L’incidenza di un’organizzazione camorristica, ai fini interdittivi, deve assumere il requisito di una capacità, attuale ed effettiva del vincolo associativo di condizionare le iniziative e le decisioni sul territorio.

Per quanto concerne l’ipotesi di imprese collegate, l’esclusione dalle gare di appalto o dall’esecuzione dei relativi contratti di imprese che, anche indirettamente e sulla base delle informazioni provenienti dagli organi giudiziari e di polizia, risultino collegate con le organizzazioni criminali è ovviamente possibile ma l’esistenza del legame deve sempre fondarsi su elementi certi, quantunque indiziari

3.-. Alla luce dei suddetti criteri, nel caso in esame, l’interdittiva antimafia si fonda sulla presunta riconduzione della Marsal al gruppo familiare che fa capo a F.M., padre dei soci della Marsal medesima.

F.M. sarebbe indicato come il referente di organizzazioni criminali, in quanto gravato da precedenti penali ed arrestato nel marzo 2009 per il reato di estorsione e di usura, aggravati dall’art. 7 L. n. 203 del 1991. Lo stesso, inoltre, ha subito altro procedimento penale (n. 1670/01/21 R.G.N.R.) per presunta partecipazione ad un’associazione camorristica per compiere estorsioni ai danni di imprenditori locali e per imporre forniture di calcestruzzo.

Ambedue le vicende penali si sono tuttavia risolte favorevolmente, poiché F.M. è stato assolto con formula piena, per non avere commesso il fatto, con sentenza del 2.4.2010 del GUP del Tribunale di Salerno.

Riguardo poi alla presunta partecipazione ad associazione camorristica, la relativa vicenda processuale si era da tempo conclusa con decreto di archiviazione del 20.12.2004.

Orbene, la sentenza penale ed il decreto di archiviazione hanno in sostanza escluso l’esistenza dei fatti che costituiscono in questo caso il presupposto dell’interdittiva.

Il Collegio è ben consapevole, ed anzi al riguardo richiama il proprio precedente n. 12788 del 30.11.2010, che i procedimenti amministrativi di prevenzione nei confronti di fenomeni collegabili alla criminalità organizzata, godono di un grado di autonomia rispetto ai procedimenti penali. Come sopra più ampiamente illustrato, l’istituto dell’interdittiva tende opportunamente ad anticipare le soglie di tutela, questo perché l’ordinamento legislativo vuole evitare, in ossequio alle esigenze di buon andamento e di ordine pubblico, che le amministrazioni pubbliche siano costrette ad avere relazioni con soggetti a carico dei quali sussistano molteplici elementi indiziari di appartenenza o anche mero collegamento con organizzazioni criminali e che queste circostanze siano condizionanti per la vita economica dell’impresa. E’ per questo che le misure interdittive consentono all’amministrazione di adottare le iniziative di autotutela anticipatorie, anche a prescindere dalle conclusioni del relativo procedimento penale.

Qualora, tuttavia, com’è nel caso in esame, l’interdittiva si regga nel suo impianto motivazionale sulla presunta esistenza di fatti aventi rilievo penale, la cui esistenza è però smentita nella relativa sede, il Prefetto è tenuto a compiere un’autonoma ed ulteriore indagine valutativa che produca nuovi elementi in grado di contrapporsi agli esiti della vicenda penale.

Contrasta invece con il principio della coerente motivazione e della logica del procedimento, fornire agli stessi fatti, presupposto dell’interdittiva, un diverso corredo motivazionale, laddove alcuna ulteriore istruttoria sia stata condotta..

In base ai due rapporti della D.I.A. del 3 e del 21 febbraio 2011 si è dato impulso ad un’indagine con proposta di applicazione di misure di prevenzione penale, le quali però non hanno avuto seguito perché, con decreto del 21 marzo 2011, il Presidente della Sezione "Misure di prevenzione", presso il Tribunale di Salerno, ha considerato, anche sotto il profilo del fumus, la carenza complessiva del quadro indiziario e la prevalenza dei seguenti aspetti:

– non vi è certezza circa lo status di imprenditore colluso di F.M., in seguito alle sentenze di assoluzione del giudice penale;

– la presunta appartenenza mafiosa di F.M. è da sottoporre ad ulteriore verifica;

– allo stesso modo è suscettibile di verifica anche la sospetta mafiosità della Torretta Cave, ritenuta dalla DIA diretta emanazione del suo condizionamento camorristico;

– non sono chiari gli elementi che conducono ad una presunta simulazione della cessione del ramo d’azienda tra la Torretta Cave e la Marsal., avvenuta nel 2005.

Per questo, ad avviso del Collegio, non sembra affatto conformarsi ai criteri stabiliti dalla normativa in materia di misure interdittive anticipatorie e, più in generale, delle regole sul procedimento amministrativo in tema di obbligo di motivazione e di adeguatezza dell’istruttoria, preservare gli effetti dell’informativa ostativa del 23.12.2010, agganciandola alla successiva proposta di applicazione delle misure di prevenzione del 28.12.2011, i cui elementi indiziari che ne costituiscono il fondamento di fatto, sono stati peraltro valutati come non pienamente convincenti dal Tribunale delle misure di prevenzione penale.

4.- Per le ragioni sopra esposte, che rivestono carattere assorbente, il ricorso ed i relativi motivi aggiunti, meritano accoglimento.

Le spese in considerazione della complessità della vicenda fattuale, possono essere compensate tra le parti costituite.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso numero di registro generale n. 2049 del 2010 e sui relativi motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti con gli stessi impugnati.

Compensa integralmente le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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