Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-04-2012, n. 5545 Legittimazione attiva e passiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 8 e 11 ottobre 1997 D.T.M. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia la Regione Veneto (di seguito anche "la Regione") e il Comune di Padova (di seguito anche "il Comune"), per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito della parziale asportazione di catetere postoperatorio, inserito nella loggia renale in occasione di un intervento chirurgico (eminefrectomia dx) eseguito nel (OMISSIS) presso l’Ospedale di (OMISSIS) e per il successivo mancato rilevamento, in occasione di altro intervento (nefrectomia dx totale) eseguito nello stesso ospedale nell’anno (OMISSIS), di tale corpo estraneo, rimosso solo nel (OMISSIS).

Per quanto specificamente interessa in questa sede sia la Regione Veneto, che il Comune di Padova eccepivano il proprio difetto di legittimazione passiva; analoga eccezione era formulata dalla Gestione Liquidatoria della ex ULSS n. (OMISSIS) (di seguito anche "la Gestione Liquidatoria"), chiamata in causa dalla Regione Veneto;

anche La Fondiaria Assicurazioni s.p.a. (di seguito brevemente "La Fondiaria"), chiamata in garanzia dalla Gestione Liquidatoria, aderiva alla tesi difensiva della propria assicurata; mentre la s.p.a. Assitalia-Le Assicurazioni d’Italia (di seguito brevemente "l’Assitalia"), chiamata in causa dal Comune, chiedeva il rigetto della domanda di manleva.

Con sentenza n. 864 in data 10 gennaio 2000 il Tribunale di Venezia dichiarava il difetto di legittimazione passiva della Gestione Liquidatoria della ex ULSS n. (OMISSIS) e, di conseguenza, anche della s.p.a. La Fondiaria, compensando interamente le spese di lite tra la Regione Veneto, la Gestione Liquidatoria e La Fondiaria; respingeva le eccezioni di difetto di legittimazione passiva della Regione Veneto e del Comune di Padova; disponeva la rimessione della causa in istruttoria per la prosecuzione del giudizio.

All’esito dell’espletamento di una c.t.u. e relativo supplemento, il Tribunale di Venezia, con sentenza in data 2 aprile 2004, condannava la Regione Veneto e il Comune di Padova, in solido, a pagare a D. T.M. a titolo risarcimento danni la somma di Euro 59.644,40 oltre rivalutazione e interessi; condannava le convenute al pagamento delle spese di lite; compensava le spese processuali tra l’Assitalia s.p.a. e il Comune di Padova.

La decisione, unitamente alla sentenza non definitiva, era gravata da impugnazione in via principale dalla Regione Veneto e in via incidentale dal Comune di Padova, il quale chiedeva, in via subordinata, l’accoglimento della domanda di manleva nei confronti della s.p.a. Assitalia; anche la D.T. impugnava, in via incidentale, la sentenza definitiva chiedendo, per quanto ancora qui interessa, che le venisse riconosciuto l’invalidità temporanea dal (OMISSIS).

La Corte di appello di Venezia, con sentenza in data 22 settembre 2009 così provvedeva: dichiarava inammissibile l’appello della Regione Veneto avverso la sentenza n. 864 del 10 gennaio 2000 nei confronti della Gestione Liquidatoria dell’ex ULSS n. (OMISSIS) e della s.p.a. La Fondiaria, compensando le spese tra dette parti; in parziale riforma delle impugnate sentenze che, nel resto confermava, accertava la carenza di legittimazione passiva della Regione Veneto, condannava l’Assitalia s.p.a. a tenere indenne il Comune di Padova di ogni esborso in favore della D.T. e al pagamento in favore dello stesso Comune delle spese dei due gradi; compensava le spese di lite tra la Regione e il Comune; condannava il Comune al pagamento delle spese del grado in favore della D.T..

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.T. M., svolgendo un unico motivo.

Hanno resistito depositando controricorso:

la Gestione Liquidatoria, che, in via subordinata per "l’eventuale (denagata) ipotesi d’impugnazione incidentale" avverso il capo della sentenza impugnata che ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello della Regione Veneto avverso la sentenza parziale n. 864/2000 e "condizionatamente all’eventuale (e non creduta) ipotesi" di riforma sul punto, ha proposto anche ricorso incidentale condizionato della sentenza di secondo grado relativamente al capo in cui ha escluso la legittimazione passiva della Regione;

la Regione Veneto, che ha chiesto accertarsi il giudicato interno in ordine al proprio difetto di legittimazione passiva e il rigetto del ricorso principale;

il Comune di Padova che ha proposto ricorso incidentale chiedendo la cassazione della sentenza di appello nella parte in cui ha confermato la sentenza di primo grado in ordine alla ritenuta legittimazione passiva dell’amministrazione comunale; in subordine ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 66 della legge n.833/1966 in relazione agli artt. 117, 118, 3 e 24 Cost.;

l’INA-Assitalia che ha chiesto il rigetto del ricorso con la conferma dell’impugnata sentenza.

Sia la Gestione Liquidatoria che la Regione Veneto hanno depositato controricorso avverso il ricorso incidentale del Comune.

Nessuna attività difensiva è stata svolta dalla s.p.a. La Fondiaria (ora Fondiaria SAI).

Sono state, inoltre, depositate memorie da parte della D.T., del Comune di Padova, della Regione Veneto e dell’Assitalia s.p.a..

Motivi della decisione

1. E’ logicamente prioritario l’esame del ricorso incidentale del Comune di Padova, riguardando l’accertamento della legittimazione passiva in ordine alla statuizione di condanna pronunciata in favore della D.T..

1.1. Va premesso che non è stato oggetto di impugnazione il capo della sentenza di appello che – sul presupposto della natura di sentenza (definitiva) parziale della pronuncia emessa dal Tribunale di Venezia in data 10 gennaio 2000, n. 864, nella parte in cui dichiarava il difetto di legittimazione passiva della Gestione liquidatoria – ha ritenuto inoperante in parte qua la riserva di impugnazione formulata dalla Regione Veneto, dichiarando, conseguentemente inammissibile, perchè tardivo, l’appello proposto dalla stessa Regione avverso l’accertamento negativo della legittimazione della Gestione liquidatoria, sul quale risulta, dunque, intervenuto giudicato interno.

Merita puntualizzare che il suddetto accertamento negativo non era stato oggetto appello da parte del Comune di Padova; d’altra parte l’odierno ricorso incidentale appare esclusivamente finalizzato a contrastare l’accertamento positivo della legittimazione dello stesso Comune e non già ad ottenere la riforma dell’ormai irretrattabile statuizione di difetto di legittimazione passiva della Gestione Liquidatoria.

Da quanto sopra consegue che il ricorso incidentale della Gestione Liquidatoria, condizionato a una doppia "eventualità" – e cioè che venisse proposto ricorso incidentale avverso la dichiarazione di inammissibilità dell’appello della Regione e che detto ricorso venisse accolto – deve ritenersi, in difetto dell’avverarsi anche della prima delle due "eventualità", tamquam non esset, come del resto rilevato dalla stessa parte in sede di discussione orale.

1.2. Va, altresì, precisato che non è neppure oggetto di impugnazione il capo della sentenza di appello, che ha accertato il difetto di legittimazione passiva della Regione Veneto, posto che – come si vedrà di seguito – il ricorso incidentale del Comune non impinge su detta statuizione. Anche sull’accertamento negativo della legittimazione passiva della Regione deve, pertanto, ritenersi formato giudicato interno.

2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale il Comune di Padova deduce erronea e falsa applicazione della L. n. 833 del 1978, art. 66 e del D.L. n. 382 del 1987, art. 12, convertito in L. n. 456 del 1987. In subordine eccepisce l’illegittimità costituzione dell’art. 66 cit. per violazione degli artt. 3, 24, 117 e 118 Cost..

2.1. Il motivo riguarda la parte della decisione che -premessa la riferibilità dei fatti illeciti lamentati, risalenti al (OMISSIS), al soppresso ente ospedaliero – ha affermato che il Comune è succeduto ex lege nella posizione debitoria del soppresso ente ospedaliere ai sensi della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 66, precisandosi che, nell’indicata qualità, il Comune può essere convenuto in giudizio per il pagamento di un debito dell’ente soppresso e neppure perde la sua legittimazione passiva per effetto del D.L. 23 settembre 1987, n. 382 (convertito nella L. n. 456 del 1987), giusta alcuni precedenti di questa Corte richiamati nella stessa sentenza (Cass., n. 589/1999;

n. 6003/1997; n. 12505/1995) . 2.2. A tal riguardo il Comune – senza porre in discussione la premessa da cui muove la decisione impugnata, in punto di riferibilità del fatto all’ex ente ospedaliero -si duole, da un lato, che non siano state recepite le proprie deduzioni sull’"erroneità dell’interpretazione" dell’art. 66 cit., conducente (in tesi) alla configurazione di un’ipotesi di responsabilità oggettiva e all’abnorme conseguenza che l’Amministrazione comunale viene a rispondere di conseguenze risarcitorie dipendenti da fatti ad essa estranei, sui quali è priva di "memoria storica", in contrasto, peraltro, con gli artt. 117, 118, 3 e 24 Cost. e, dall’altro, che non si sia tenuto conto del carattere meramente programmatico e non precettivo dell’art. 66 cit., nonchè della circostanza che la legislazione regionale ha dato attuazione a tale previsione con l’istituzione di appositi finanziamenti a copertura degli esborsi, cui sarebbero tenute le Amministrazioni comunali per le causali in oggetto. Per altro verso il Comune ricorrente, deducendo violazione del D.L. 19 settembre 1987, n. 382, art. 12 (convertito con modificazioni nella L. n. 456 del 1987), rileva che, secondo un recente arresto di questa Corte (sentenza 2008, n. 18220), il comma 2 dell’art. 12 cit., nel ripianare le posizioni debitorie delle unità sanitarie locali, ha disposto la successione ope legis di queste ultime nelle "partite in sospeso", vale dire nei rapporti obbligatori – diversi da quelli indicati negli artt. 8 e 10 del medesimo decreto – già facenti capo ai comuni e sorti prima dell’istituzione delle unità sanitarie locali, con la conseguenza che per effetto di tale norma sarebbe la U.S.L. l’unico soggetto passivamente legittimato rispetto alla pretesa risarcitoria per i fatti addebitati dalla D. T. al disciolto ente ospedaliere 3. Il motivo è infondato.

Come questa Corte ha ripetutamente affermato, anche con specifico riferimento alla Regione Veneto, la titolarità dei rapporti passivi già gravanti sui soppressi enti ospedalieri è stata trasferita ai Comuni territorialmente competenti a titolo di successione universale a norma della L. 23 dicembre 1978, n. 833 art. 66, sull’istituzione del servizio sanitario nazionale, con la conseguenza che alle amministrazioni comunali va riconosciuta la legittimazione passiva nei giudizi promossi per il recupero dei relativi crediti (ex multis Cass. 8 marzo 2005, n. 5038; Cass. 3 agosto 2000, n. 10198; Cass. 10 maggio 2000, n. 5945; Cass. 23 gennaio 1997, n. 692; Cass. 20 marzo 1996, n. 2390; Cass. 11 marzo 1996, n. 1994; Cass. 6 marzo 1996, n. 1779; Cass. 28 dicembre 1994, n. 11243; Cass. 9 novembre 1993, n. 11067).

Il Collegio, conformandosi al consolidato orientamento, rileva che il tenore letterale dell’art. 66 cit. – il quale, al comma 2, segnatamente prevede che "i rapporti giuridici relativi alle attività di assistenza sanitaria attribuite alle unità sanitarie locali sono attribuiti ai comuni competenti per territorio" e, al comma 4, affida "alle unità sanitarie locali la gestione dei beni mobili ed immobili e delle attrezzature destinati ai servizi igienico- sanitari dei comuni e all’esercizio di tutte le funzioni dei comuni e loro consorzi in materia igienico-sanitaria – è chiara espressione della volontà del legislatore di individuare il Comune territorialmente competente come successore riguardo ai rapporti obbligatori dei disciolti enti ospedalieri e di assegnare, invece, alla U.S.L. la titolarità dei soli rapporti derivanti dalla gestione del servizio sanitario (che sono pacificamente estranei alla fattispecie in esame), in tal modo ponendo esclusivamente a carico dello stesso Comune eventuali passività derivanti dalla precedente gestione ed evitando di gravare le aziende di nuova costituzione.

Inoltre il medesimo art. 66, prevedendo al comma 4 che "le regioni adottano gli atti legislativi ed amministrativi necessari per realizzare i trasferimenti di cui ai precedenti commi e per regolare i rapporti patrimoniali attivi e passivi degli enti ed istituti di cui alle lettere a) e b) del comma 1" (alla lett. b del comma 1 è previsto, tra l’altro, il trasferimento ai Comuni territorialmente competenti dei beni mobili ed immobili e delle attrezzature degli enti ospedalieri) assegna alla legislazione regionale una funzione attuativa dei previsti trasferimenti (id est, di "realizzare i trasferimenti") e, cioè, di predisporre gli strumenti per lo scopo già fissato dalla legge statale, che non può alterarsi con riguardo ai Comuni, e di "regolare" i rapporti, e cioè (fermo l’avvenuto trasferimento) di predisporre un’opportuna organizzazione e normazìone finanziaria e contabile per l’accertamento, la definizione e la sistemazione di quei rapporti, ad esempio tramite "Uffici stralcio" (cfr. Cass. 2 dicembre 1992, n. 12841; conf. Cass. n. 5209/1989, n. 3030/1990, n. 7346/1990).

3.1. In tale solco si pone la L.R. Veneto 20 marzo 1980, n. 18, la quale all’art. 71 prevede che "alle Unità sanitarie non possono essere imputate situazioni attive e passive conseguenti alla gestione delle funzioni sanitarie anteriori all’1 gennaio 1980" (comma 1) e che "per gli enti già erogatori di assistenza sanitaria e sciolti ai sensi della L. 23 dicembre 1918, n. 833, art. 66, le pendenze al 31 dicembre 1979 costituiranno oggetto di apposita contabilità stralcio, trasferita ai comuni competenti per territorio e gestita dalle Unità sanitarie locali nelle forme previste dalle leggi contabili in vigore per i rispettivi enti" (comma 2). Invero il previsto trasferimento alle U.S.L. dei rapporti giuridici pregressi, relativi all’attività di assistenza sanitaria, va inteso – in conformità alla ratio della riforma sanitaria e alla funzione attuativa assegnata dal legislatore statale alla normativa regionale – nel senso che le stesse unità sanitarie sono designate come mere affidatarie della gestione dei rapporti suddetti in nome e per conto del Comune, (cfr. Cass. 11 novembre 1996, n. 9842, riferita a normative analoga della Regione Puglia).

3.2. A questo punto è il caso di prendere posizione sulla questione di legittimità costituzionale prospettata dalla ricorrente incidentale, in termini per il vero assolutamente generici, con riguardo all’art. 66 cit. in relazione agli artt. 3, 4, 117 e 118 Cost..

Orbene – per quanto attiene all’asserita violazione degli artt. 3 e 24 Cost. – appare chiaro che la questione viene prospettata su un presupposto erroneo, muovendo dall’inquadramento della fattispecie regolata dall’art. 66, comma 2, nell’ambito della responsabilità oggettiva, laddove, come si è detto, la norma disciplina un fenomeno successorio; mentre -per quanto attiene all’eccepita violazione degli artt. 117 e 118 Cost. – è sufficiente osservare, attesa la genericità delle deduzioni a sostegno dell’eccezione, che la norma non viola le competenze costituzionalmente garantite agli enti territoriali.

L’eccezione, dunque, va dichiarata manifestamente infondata.

3.3. Ritiene, inoltre, il Collegio che i Comuni succeduti ex lege nella posizione debitoria dei soppresso enti ospedalieri, non hanno perso la loro legittimazione passiva per effetto del D.L. 19 settembre 1987, n. 382 (convertito con L. n. 456 del 1987), che ha posto, in via generale, a carico del bilancio statale le posizioni debitorie di detti enti non ancora estinte alla data del 31 dicembre 1985 (art. 7) e ne ha dettato le modalità di ripianamento disponendo per alcuni debiti (art. 8: debiti verso le aziende di credito, la Cassa depositi e prestiti e verso gli istituti previdenziali) il soddisfacimento tramite il Ministero del Tesoro, previa certificazione rilasciata dal legale rappresentante dell’ente, cui risultava attribuita la gestione contabile dei soppressi enti ospedalieri; per altri (art. 9: debiti verso lo Stato, le province, i comuni e le U.S.L.) l’estinzione di diritto, con alcune eccezioni;

per altri ancora da accertarsi, con la collaborazione dei comuni e delle unità sanitarie, da regioni e province autonome e da far constare con apposita dichiarazione dei loro presidenti (art. 10) il pagamento, ad opera delle regioni, con mezzi finanziari messi a disposizione dallo Stato; prevedendo infine con riguardo a tutti i debiti residuali (art. 12, comma 2 che è quello che qui rileva) che "gli eventuali debiti non compresi nella certificazione di cui all’art. 8, comma 1, e gli eventuali crediti e debiti non compresi nella dichiarazione di cui all’art. 10, comma 1, comprese le partite comunque in sospeso alla data della dichiarazione medesima, nonchè quelle ulteriori accertate posteriormente, sono imputati alla gestione corrente delle unità sanitarie locali nelle quali sono confluiti gli enti ospedalieri e gli altri enti di cui al comma 1".

Parte ricorrente incidentale richiama un precedente di questa Corte che ha ricostruito la fattispecie contemplata dal comma 2 dell’art. 12 cit. nel senso della verificazione di una successione ex latere debitoris dell’U.S.L. al Comune (Cass. 3 luglio 2008, 18220), cui si contrappone, però, un diverso orientamento che si è andato consolidando nel tempo, secondo cui la norma in questione ha solo avuto un significato contabile, lasciando immutata la titolarità della posizione in capo ai Comuni dei rapporti giuridici pregressi (di carattere obbligatorio) già ad essi trasferiti in quanto successori degli enti ospedalieri (Cass. 11 ottobre 2011, n. 27895;

Cass. 14 ottobre 2011, n. 21241; Cass. 12 luglio 2006, n. 15761;

Cass. 10 maggio 2000, n. 5945; Cass. 11 marzo 1996, n. 9842; Cass. 12 dicembre 1992, n. 12841).

Il Collegio – nell’aderire a quest’ultimo indirizzo, confortato dalla lettera della norma, oltre che coerente con l’impianto complessivo della legge, finalizzato alla definitiva destinazione delle pervenute in oggetto sul bilancio dello Stato – ritiene di dover ribadire alcuni principi, già affermati con ampia prevalenza dalla giurisprudenza di questa Corte, non offrendo il ricorso incidentale elementi di sostanziale novità che giustifichino una rivisitazione degli argomenti già offerti dalle sentenze sopra richiamate.

Invero l’art. 12 comma 2 cit., in relazione alla fattispecie in esame, opera esclusivamente sul piano organizzativo interno dei meccanismi di imputazione contabile della posizione passiva, non anche sul piano esterno civilistico del rapporto con la parte creditrice: deve, dunque, escludersi che, con tale nuova imputazione contabile, la legge abbia inteso disporre una successione nel debito con effetto per il creditore. Più esattamente, secondo quanto disposto dalla norma indicata, il debito farà carico al Fondo sanitario Nazionale, cui fa capo il finanziamento delle U.S.L., ma ciò non comporta un "trasferimento" del debito in questione nel senso civilistico del termine, con estromissione del rapporto del Comune debitore; l’accertamento giudiziario del debito stesso deve, infatti, svolgersi nei confronti del Comune, il quale, in esito alla condanna al pagamento, è tenuto a curare l’attivazione dei meccanismi predisposti all’estinzione dell’obbligazione, senza coinvolgere il creditore nei problemi attinenti le procedure contabili interne fra il Comune e la struttura operativa sanitaria.

Nè ad una diversa conclusione può pervenirsi sulla base del disposto del D.Lgs. n. 502 del 1993, art. 5 neppure nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 517 del 1993, art. 6, atteso che tale norma prevede il trasferimento al patrimonio delle Unità Sanitarie Locali o delle Aziende Ospedaliere dei soli beni e attrezzature (già facenti parte del patrimonio dei Comuni o delle Provincie con vincolo di destinazione alle U.S.L.), non anche dei rapporti giuridici obbligatori, già trasferiti ai Comuni quali successori dei disciolti enti ospedalieri a norma della L. n. 833 del 1978, art. 66 (cfr.

Cass. n. 5038/2005; Cass. n. 15761/2006 già cit.).

In definitiva il ricorso incidentale del Comune va rigettato, per cui può passarsi all’esame del ricorso principale.

4. Con l’unico motivo di ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. per avere la Corte di appello attribuito valore "percipiente" alla c.t.u. nella parte in cui era semplicemente deducente e senza aggancio ai dati probatori documentali riscontrati dal consulente, nonchè vizio logico di motivazione nel presumere l’asserita asintomaticità di una situazione invalidante nonostante la presenza in atti di numerosi esami invasivi eseguiti nel corso di un ventennio, ad esito dei quali la ricorrente si sottopose ad asportazione di un rene.

In particolare la ricorrente si duole per il mancato riconoscimento dell’inabilità temporanea nel periodo dal (OMISSIS) (e, cioè, nel periodo intercorso dall’intervento chirurgico cui è stato imputato l’errore rappresentato dalla parziale rimozione del catetere sino all’intervento di nefrectomia dx totale) e lamenta che la Corte di appello – a prescindere dalla "distrazione" di avere attribuito ad essa istante una domanda di invalidità permanente negli anni 1974/1992 anzichè temporanea – abbia operato un’acritica accettazione dei risultati della c.t.u., ritenendola percipiente e non deducente, senza operare il necessario controllo dell’insufficienza del ragionamento presuntivo effettuato dal consulente: ciò in quanto l’argomento del c.t.u. in ordine all’"asintomaticità per nefropatia", fatto proprio in via mediata dalla Corte di appello, sarebbe illogico, dal momento che poggerebbe sul rilievo della permanente funzionalità escretiva nel periodo in questione, senza alcun riscontro in atti, peraltro neppure richiamati nella sentenza impugnata.

5. Il motivo, al limite dell’inammissibilità, va, comunque, rigettato.

Innanzitutto si osserva che, secondo principio assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perchè volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. In particolare – quanto all’asserita violazione dell’art. 2697 c.c. – si rammenta che il giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente); in quest’ultimo caso la consulenza può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come strumento di accertamento di situazioni rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche, risultando in ogni caso, è rimesso al potere discrezionale del giudice del merito. Mentre – per quanto attiene alla dedotta violazione dell’art. 2728 cod. civ. – si rileva che in materia di presunzioni, è riservata al giudice di merito la valutazione discrezionale della sussistenza sia dei presupposti per il ricorso a tale mezzo di prova, sia dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, ovverosia come circostanze idonee a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit;

di modo che l’unico sindacato riservato in proposito al giudice di legittimità è quello sulla congruenza della relativa motivazione.

Orbene, nel caso all’esame, per quanto emerge dalla decisione impugnata, il giudice di primo grado – trattandosi di verificare situazioni rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a cognizioni tecniche, naturalmente estranee al proprio bagaglio culturale – affidò al consulente anche il compito di accertare l’eventuale inabilità temporanea nel periodo di cui trattasi, provvedendo poi a verificare criticamente il percorso argomentativo seguito dal consulente e consapevolmente condividendone le conclusioni: valutazioni, tutte, confermate dai giudici di appello.

Valga considerare che il giudice del merito, qualora condivida i risultati della consulenza tecnica d’ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità (Cass., 22 febbraio 2006, n. 3881). Nel caso di specie, peraltro, i giudici di appello, confermando le conclusioni cui era pervenuto in parte qua il consulente, non si sono limitati a richiamare la relazione, nel punto in cui aveva descritto un "lungo periodo di asintomaticità per nefropatia", ma hanno, nel contempo, evidenziato l’equivocità dei dati desumibili da eventuali dolori o malesseri lamentati dalla D. T. nel periodo di cui trattasi (in considerazione di altre patologie e dei due interventi all’apparato ginecologico cui la stessa era stata sottoposta) e rimarcato, altresì, il difetto di allegazioni, nello stesso atto introduttivo, in ordine un’invalidità verificatasi nel periodo in questione (e qui, contrariamente a quanto sembra opinare parte ricorrente, il riferimento è proprio all’inabilità temporanea e non a quella permanente); il che basta a ritenere assolto lo specifico obbligo motivazionale gravante sul giudice del merito.

Parte ricorrente – lamentando vizio motivazione e violazione di legge, per avere i giudici di appello trascurato elementi indiziari desumibili da "una serie importante di esami invasivi" come le urografie renali – si limita, in buona sostanza, ad affermare un convincimento alternativo, ma non esclusivo rispetto a quello espresso dal giudice di merito, senza fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio. Invero non sono prospettate incongruenze logiche o giuridiche della motivazione della sentenza impugnata, limitandosi, in buona sostanza, la ricorrente a sollecitare una diversa valutazione, da parte di questa Corte regolatrice, degli elementi in atti e quindi, un giudizio di merito di terzo grado precluso in questa sede.

In conclusione anche il ricorso principale va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, tenuto conto della soccombenza reciproca e della natura questioni prospettate con il ricorso incidentale, vanno interamente compensate.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, li rigetta, compensando interamente le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *