Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 25-08-2011) 21-10-2011, n. 38133

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

. La Corte d’appello di L’Aquila con sentenza del 4 novembre 2010 ha riformato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Pescara in primo grado ed, in accoglimento dell’appello proposto dagli imputati, ha assolto P.G., L.F., C. A. e V.T. dal reato di abuso di ufficio loro rispettivamente ascritto ai sensi dell’art. 530 cod. proc. pen., comma 2, perchè il fatto non costituisce reato dichiarando per gli stessi, nonchè per gli altri imputati, F.M.D. e Ve.Do.Sa. non doversi procedere per le contravvenzioni loro ascritte, per essere estinte per prescrizione maturata antecedentemente alla sentenza di primo grado. Nel provvedimento sono state altresì revocate le statuizioni civili, l’ordine di demolizione del manufatto e di sequestro preventivo degli immobili.

Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte d’appello di L’Aquila e le parti civili.

2. La parte pubblica, sviluppando i motivi proposti con l’illustrazione dei fatti svolta dalla parte civile B. A., eccepisce con il primo motivo violazione della norma penale, nonchè carenza ed illogicità della motivazione, per avere il giudice illegittimamente valorizzato quale scriminante, al fine di escludere l’elemento psicologico del delitto contestato, la prassi seguita dal comune di Pescara nel rilascio del permesso di costruire in zone vincolate, osservando che, in realtà, era stata richiesta dal proprietario dell’immobile l’autorizzazione alla ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell’edificio preesistente. Pur ipotizzando l’esecuzione effettiva di tale programma, che comunque si assume non realizzato, si sarebbe dovuto seguire un procedimento che prevedeva il rilascio del nulla osta paesaggistico, la comunicazione del provvedimento alla sovrintendenza dei beni ambientali, ed il decorso del termine di 60 giorni per l’esplicazione del potere di annullamento alla quest’ultima autorità spettante.

Al contrario, dall’istruttoria svolta erano emerse palesi violazioni di legge che hanno caratterizzato l’iter amministrativo seguito, violazioni tutte risolte in oggettivo vantaggio per il F. committente, elementi tali da giustificare la contestazione del delitto di abuso d’ufficio.

E emerso in particolare, nel corso del giudizio, che il comune di Pescara non aveva mai inviato gli atti alla sovrintendenza; che era stata rilasciata l’autorizzazione alla ristrutturazione, malgrado il nuovo progetto prevedesse l’edificazione di un immobile difforme per altezza, planimetria e sagoma rispetto a quello preesistente, in violazione della circolare ministeriale in materia che escludeva che potesse farsi riferimento alla categoria della ristrutturazione quando non sia rispecchiata la sagoma del precedente fabbricato, senza considerare che la zona in cui ricadeva l’immobile prevedeva la conservazione dell’esistente, con l’aggiunta di soli volumi tecnici strettamente indispensabili, senza alterazione dei prospetti prospicienti pubbliche vie.

La macroscopica violazione di tali principi aveva indotto il primo giudice ad accertare la sussistenza del delitto, poi escluso dalla Corte, nel presupposto che la comune condotta dei funzionari di quel territorio, su situazioni analoghe, poteva porre in dubbio l’elemento psicologico del reato.

La Corte d’appello aveva poi dato accoglimento alla teoria difensiva, secondo cui i tecnici comunali avevano applicato la nozione di ristrutturazione edilizia prevista dalla L.R. del 1995 del tutto superata dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, di fatto errando sulla ritenuta prevalenza della norma territoriale rispetto a quella statale, che le precedenti abrogava. Inoltre si rileva carenza di motivazione riguardo l’attribuzione di natura interpretativa alle aperte violazioni della norma statale, della circolare ministeriale, delle previsioni del piano regolatore generale del comune di riferimento, dell’obbligo di trasmettere il nulla osta paesaggistico alla Sovraintendenza competente.

In punto di qualificazione giuridica dell’abuso d’ufficio, contestando le valutazioni della Corte d’appello che, preso atto dell’esclusione di responsabilità del proprietario del bene per il delitto, ha negato l’esistenza di una prova sufficiente dell’elemento psicologico del reato, si osserva che tale reato non è a concorso necessario e che, tutte le volte in cui si tradiscono i principi normativi, si realizza un indebito vantaggio o un ingiusto danno; in ogni caso la sentenza impugnata si è soffermata solo nell’individuazione del vantaggio ingiusto per F. e non ha considerato il danno subito dalla parte lesa.

Inoltre, attesa l’evidente violazione procedimentale nella quale erano incorsi gli amministratori, il giudice d’appello non ha sufficientemente motivato la decisione di discostarsi dalla valutazione operata dal giudice di primo grado di tale comportamento.

3. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge per avere la Corte ritenuto estinte le contravvenzioni per prescrizione prima della sentenza di primo grado, mentre tale causa estintiva si sarebbe verificata 13 giorni dopo tale pronuncia, in quanto dovevano essere defalcati dalla decorrenza dei termini prescrizionali i 60 giorni previsti dalla legge nel caso di rinvio disposto dinanzi al Gip su istanza della difesa. Tale esigenza era stata misconosciuta dalla Corte territoriale nel presupposto che l’istanza di rinvio, richiesta per attendere il rilascio di un nuovo permesso di ricostruire da parte del F., avesse natura probatoria, conclusione che si contesta, ritenendo in tal senso violato il principio stabilito dall’art. 159 cod. pen., comma 3. 4. I ricorsi proposti personalmente dalla parte civile B. e dall’associazione Italia nostra hanno il medesimo contenuto, e chiariscono che l’impugnazione è proposta in riferimento a tutti i capi della pronuncia, in particolare quelle civili.

5. La difesa di F., con memoria depositata il 18/8/2011 rileva in via preliminare l’inammissibilità del ricorso proposto dalle parti private, le quali non hanno specificamente richiesto l’incidenza della pronuncia sollecitata sugli effetti civili, unico ambito in relazione al quale hanno interesse a proporre impugnazione.

Ulteriore profilo di inammissibilità raggiunge i citati ricorsi, oltre che quello della parte pubblica, in quanto tutti incentrati sulla riproposizione di una ricostruzione di merito, per di più fondata su una diversa prospettazione dei fatti rispetto a quella contestata, in mancanza della doverosa individuazione delle carenze logico argomentative della sentenza impugnata.

Con riferimento agli specifici rilievi sollevati rispetto alla pronuncia impugnata si contesta che la Corte abbia mai affermato l’illegittimità della prassi adottata dal comune di Pescara, desumendo la mancanza di elemento psicologico dalla costanza con la quale tale illegalità era stata reiterata, assunto sul quale è basato il primo motivo di ricorso.

Si ritiene in senso contrario che il modus procedendi seguito dall’amministrazione fosse in linea con quanto sancito in proposito dalla legge regionale, in materia di governo del territorio, di competenza di tale ente, sulla quale la normativa statuale, ancorchè sopravvenuta, come nella specie, non poteva incidere, essendo la sua efficacia limitata all’ipotesi in cui non vi fosse regolamentazione territoriale, in ragione della ripartizione per materie sancita dall’art. 117 Cost.. Conseguentemente in tale campo residua una potestà normativa di indirizzo delle norme statuali, che non possono legiferare in relazione alle modalità attuative delle ristrutturazioni autorizzate, come invece avvenuto nella specie, valutazione contenuta in plurime pronunce del giudice amministrativo territoriale in argomento.

In ragione di tali presupposti la Corte, valutata la conformità alle norme regionali del procedimento seguito, ha escluso la possibilità che esso potesse ascriversi alla volontà di favorire F., escludendo conseguentemente la ricorrenza del delitto contestato, facendo corretta applicazione dei principi in argomento.

Si osserva inoltre che i ricorrenti hanno ritenuto di ravvisare l’illegittimità amministrativa degli atti compiuti nella mancanza del parere della Sopraintendenza, e nell’intervenuto rilascio del nulla osta in assenza di tale parere; contestata la possibilità in sede di legittimità di tali rilievi, si esclude che l’istruttoria abbia confermato la correttezza di tale impostazione, richiamando in senso contrario la valutazione di legittimità del procedimento, svolta dal giudice amministrativo, e già valutata dalla Corte di merito, che ha fatto riferimento all’accertamento di assenza di interesse storico dell’immobile di proprietà del F., come valutato dal Sovraintendente, a richiesta del consiglio di Stato.

In relazione al motivo di ricorso riguardante il dolo del reato di abuso di ufficio si rileva che i ricorrenti ne sollecitano l’accertamento, contestando la valutazione del giudice di merito sotto profilo diverso rispetto a quello contenuto in imputazione. La contestazione ipotizza un vantaggio indebito del proprietario e progettista, escluso ormai definitivamente nel merito, mentre i ricorrenti prospettano la volontà degli interessati di produrre un danno, elemento non compreso nel capo di imputazione.

Si contesta inoltre l’ammissibilità del motivo di ricorso relativo al computo del periodo di sospensione del termine di prescrizione, che, fondato su un accertamento di fatto sulla funzione probatoria del rinvio, tale ritenuto dal Gip e dalla Corte d’appello, non è censurabile in questa sede.

Da ultimo, richiamati i rilievi d’inammissibilità del ricorso, per non essere volto ad incidere sul capo civile della sentenza si osserva che la Corte, nel valutare l’insussistenza del reato, aveva concluso, sia pure in chiave dubitativa, sull’assenza di danno per la parte civile, in ciò confortata da una consulenza d’ufficio svolta nel giudizio di merito, e dal richiamato parere della Sopraintendenza, circostanza che ulteriormente conduce ad escludere, in assenza di impugnazione su tale specifico punto, la possibilità per i ricorrenti di conseguire un risarcimento.

All’odierna udienza la difesa degli imputati ha poi eccepito l’inammissibilità del ricorso proposto dal P.g. in quanto non sorretto da proprie motivazioni, illustrate per relationem con riferimento alle richieste delle parti civili.

Motivi della decisione

1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso della parte pubblica, in quanto privo di una determinazione di volontà autonoma, per aver fatto richiamo all’impugnazione proposta dalla parte privata, è infondata. Invero nella specie non si è verificato un mero richiamo per relationem, già sanzionato da questa Corte in casi analoghi con la valutazione di inammissibilità (Sez. 6, Sentenza n. 43207 del 12/11/2010, dep. 06/12/2010, imp. T, Rv. 248823) contenendo l’atto di gravame specifiche censure riguardo l’erronea esclusione dell’elemento psicologico del reato, e la valutazione di scriminante operata dalla Corte con riferimento alla diffusa violazione della legge in materia edilizia constata nell’agire concreto degli imputati, nonchè l’erronea applicazione dell’art. 159 cod. pen., n. 3, sicchè l’impugnativa risulta contenere elementi specifici ed autonomi, che solo sul piano illustrativo dei fatti, particolarmente complesso, si richiama a quanto espresso dalle parti civili.

Gli elementi esplicitati rispondono in maniera sufficiente alle indicazioni richieste, a pena di inammissibilità dall’art. 581 cod. proc. pen., e devono quindi condurre al rigetto della relativa eccezione.

2. Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riferimento all’eccepita inammissibilità dell’impugnazione delle parti civili in quanto, contrariamente a quanto dedotto dalle difese, negli atti introduttivi è espressamente inserito il riferimento al fine dell’impugnazione, costituito dalla tutela degli interessi civili, nei limiti previsti dalla legge, poichè negli atti introduttivi si espone di proporre impugnazione "avverso tutti i capi – in particolare quelli riguardanti l’azione civile". Del resto, se, in applicazione del principio del favor impugnationis, si è valutata ammissibile l’impugnazione della parte privata, anche ove non faccia espresso riferimento ad istanze di natura risarcitoria (Sez. 5, Sentenza n. 27629 del 08/06/2010, dep. 15/07/2010, imp. Berton, Rv.

248317) a fortiori deve escludersi la sanzione invocata, nel caso, quale quello in esame, in cui tale richiesta risulti chiaramente contenuta nell’atto, mentre le ulteriori istanze sui capi penali ben possono considerarsi inutilmente apposte, senza viziare la parte residua dell’atto.

3. Risulta fondato il primo motivo di ricorso della parte pubblica, in ragione dell’evidenza delle violazioni di legge realizzate dagli amministratori sottoposti a giudizio nel seguire la pratica edilizia del F., che avrebbe dovuto condurre ad una più incisiva valorizzazione degli indizi sull’esistenza del dolo del delitto contestato.

Contrariamente a quanto sembra essere stato valutato dalla Corte territoriale, il delitto di abuso di ufficio non richiede per il suo accertamento la prova della collusione con la persona che si intende favorire, potendo l’intenzionalità desumersi dalla modalità complessiva della condotta. In particolare, proprio i comportamenti valorizzati dal giudice d’appello, costituiti dalla reiterazione delle prassi illegittime, volte alla sostanziale elusione "di qualsiasi vincolo all’edificazione, non escludono l’intenzionalità del vantaggio, ben potendo tale intenzionalità prescindere dalla volontà di favorire nello specifico F., per effetto di un previo contatto illecito, e rientrare più genericamente in una decisione favorevole all’edificazione, che veda quindi intenzionalmente favorito il privato pur in assenza di un previo accordo con questi, come del resto già stabilito nella specifica materia, in precedenti di questa Corte (Sez. 6, Sentenza n. 6274 del 04/03/1999, dep. 18/05/1999, imp. Jacovacci, Rv. 214158).

La Corte territoriale, sorvolando sull’accertamento di illegittimità dell’atto, e facendo propri i riferimenti a pretesi atti amministrativi di indirizzo, ha escluso, sulla base della conformità dell’azione a tali atti, la volontà illecita, pur dovendo ammettere che nel concetto di ristrutturazione può annoverarsi la demolizione e ricostruzione solo nel caso, non osservato nella specie, di realizzazione di un manufatto identico per volumetria a quello preesistente. Ciò è quanto risulta imposto, oltre che dalla logica, dall’espressa dizione della norma statale in materia, disattesa dagli amministratori locali.

Si assume da parte della difesa la prevalenza della norma territoriale su quella statale, in forza della ripartizione per materie contenuta nell’art. 117 Cost., ma si omette di rilevare che il governo del territorio è materia di legislazione concorrente e che la legge detta i principi fondamentali, si potrebbe dire il lessico comune, che è presupposto di qualsiasi interazione comunicativa, delimitando il concetto ristrutturazione secondo la dizione che deve essere uguale sul territorio nazionale, sicchè non può concludersi che la disposizione nazionale abbia invaso campi di competenza propria dell’autonomia locale. A fronte di tale previsione l’elemento psicologico avrebbe potuto essere posto in dubbio con accertamento concreto di una decisione collettiva consapevole di una diversa interpretazione, che avrebbe dovuto condurre ad impugnare la normativa statale, non semplicisticamente con la generica evocazione di pregressi comportamenti analoghi, che peraltro non risulta siano intervenuti in epoca successiva all’entrata in vigore della normativa statale che privava di legittimità il procedimento adottato per il permesso riconosciuto a F..

Sulla base di tali presupposti deve quindi escludersi la correttezza della valutazione operata dal giudice d’appello sull’esclusione dell’elemento psicologico, nei termini sopra riferiti, situazione di fatto che, ove non fosse già maturato il termine massimo di prescrizione, imporrebbe il rinvio per nuovo esame al giudice penale.

Deve precisarsi che il giudice d’appello ha chiaramente delimitato la modifica della pronuncia di primo grado, astenendosi dall’operare un accertamento concreto di legittimità dell’atto, limitandosi ad escluderne la rilevanza penale, sicchè, da un canto, in questa sede non può che fondarsi l’accertamento su quanto stabilito dal primo giudice, non oggetto di modifica nella pronuncia di secondo grado;

nè può assumere rilievo il diverso accertamento operato dal giudice amministrativo, che, come si ricava dalla esposizione dei fatti contenuta negli atti, ha operato la sua valutazione sulla base di elementi sopravvenuti e di merito, sollecitando pareri degli organi amministrativi in tempi successivi all’emissione del provvedimento emesso su istanza del privato, rivedendo precedenti pareri vincolanti. In tal senso quindi, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa degli imputati, tale pronuncia non è suscettibile di incidere sulla valutazione di congruità della motivazione del giudice di merito, che costituisce il campo di indagine del presente procedimento di legittimità. 4. Occorre valutare a questo punto la fondatezza dell’ulteriore motivo di gravame, costituito dalla contestazione della determinazione dei termini per la maturazione del periodo massimo di prescrizione. Il computo muta a seconda che si consideri il rinvio concesso dal Gip nel corso dell’udienza preliminare come interruttivo del decorso o quale termine riconosciuto per l’esercizio del diritto di difesa, e da includersi quindi nel calcolo del termine massimo.

Al di là della valutazione astrattamente operabile nel caso in cui l’interessato richieda non l’accertamento di un fatto storico preesistente, determinante al fine di accertare la fattispecie illecita contestata, ma il sopravvenire di un evento che possa legittimarla ex post, nel concreto occorre rilevare che il giudice di merito ha valutato il termine concesso come esercizio di un diritto, necessario al fine della cognizione dei fatti portati al suo giudizio, esprimendosi nel senso di riconoscere che il differimento dell’udienza fosse funzionale ad accertare "se ed in quale misura la nuova opera possa essere legittimamente autorizzata e compiuta", con valutazione che, da un canto esclude che possa ritenersi operante la sospensione del computo del termine prescrizionale, dall’altro risulta insindacabile in questa sede, involgendo valutazioni di merito (Sez. 4, Sentenza n. 38492 del 06/09/2002, dep. 18/11/2002, imp. Borrelli, Rv. 222794).

Sulla base di tali considerazioni deve escludersi la fondatezza dell’impugnazione proposta con riferimento alle contravvenzioni, tutte sicuramente prescritte alla data di pronuncia della sentenza di primo grado, che non poteva pertanto condurre alla liquidazione dei danni in favore delle parti civili.

Deve invece accertarsi la sopraggiunta prescrizione del delitto di cui all’art. 323 cod. pen. intervenuta allo scadere dei sette anni e mezzo previsti dalla legge, scaduti il 10/5/2011. Essendo la causa estintiva sopraggiunta alla sentenza di secondo grado, il giudice d’appello avrebbe dovuto pronunciarsi nel merito; tuttavia, allo stato, il permanere quale oggetto del procedimento delle sole questioni civili impone il rinvio del procedimento dinanzi al giudice civile competente in grado d’appello per valore, in forza della disposizione di cui all’art. 622 cod. proc. pen..

6. Risulta invece infondata l’eccezione di giudicato della pronuncia d’appello sul punto della sussistenza di danni, avanzata dalla difesa degli obbligati. Il giudice d’appello, nel valutare prescritti i fatti alla data della pronuncia di primo grado, ha valorizzato la presenza di "più di un dubbio" in relazione al diritto delle parti civili al risarcimento, formulando, come è evidente dall’espressione letterale usata, sopra riportata, una valutazione in margine, di carattere puramente argomentativo, in relazione alla ritenuta insussistenza dei danni lamentati, non essendo ammissibile per il giudice in sede civile, esprimersi genericamente con la formula del dubbio, essendo egli obbligato ad una pronuncia nel senso di accoglimento o rigetto; tale capo della sentenza, non essendo sfociato in una disposizione di merito, non avrebbe potuto costituire oggetto di impugnazione, che può raggiungere solo i capi decisori della pronuncia giudiziale, sui quali la parte risulti soccombente, pena l’Inammissibilità per carenza di interesse.

La presente pronuncia peraltro, nell’accertare la prescrizione del reato, escludendo l’assoluzione ai sensi dell’art. 530 cpv. cod. proc. pen. si limita ad accertare in astratto il titolo per la richiesta di risarcimento, la cui verificazione nel concreto è rimessa al giudice del rinvio, che deve esser individuato nella Corte d’appello competente per valore in sede civile.

Gli ulteriori motivi di ricorso devono quindi essere respinti.

7. Le spese del procedimento saranno liquidate al definitivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al delitto di cui all’art. 323 cod. pen., perchè estinto per prescrizione.

Rigetta nel resto i ricorso del P.G. e delle parti civili e dispone trasmettersi gli atti al giudice civile competente per valore in grado d’appello.

Spese al definitivo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *