Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-05-2011) 21-10-2011, n. 38130 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 22/10/2008 il Tribunale di S.M. Capua Vetere, sez. dist. di Piedimonte Matese, condannava D.M.G. alla pena di anni 1 di reclusione per il delitto di cui all’art. 589 cod. pen., per omicidio colposo commesso durante una battuta di caccia in danno di V.E. (acc. in (OMISSIS)). Il Tribunale condannava inoltre, l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile.

Al D.M. veniva contestato di avere provocato la morte del compagno di battuta, avendo esploso un colpo del proprio fucile cal.

12 che aveva attinto il V. invece che il cinghiale, ciò per grave negligenza, essendosi mosso dalla postazione affidatagli dal capo battuta e, in ogni caso, per non avere mantenuto durante lo spostamento il fucile in condizioni di sicurezza con la sicura inserita.

Con sentenza del 11/5/2010 la Corte di Appello di Napoli confermava la pronuncia di condanna.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando:

2.1. La violazione di legge ed in particolare degli artt. 178 e 420 ter c.p.p.. Invero, all’udienza del 6/4/2007 il Tribunale aveva dichiarato la contumacia del D.M., senza in alcun modo motivare sull’istanza di rinvio per impedimento dell’imputato, ammalato; inoltre, la successiva udienza del 1/6/2007 era stata celebrata e l’imputato dichiarato nuovamente contumace, senza che questi fosse stato avvisato del rinvio, mancando agli atti la prova della nuova citazione.

2.2. Il difetto di motivazione ed il travisamento della prova in relazione alla affermata violazione da parte del D.M. di regole cautelari. In ordine alle dichiarazioni confessorie dell’imputato, non era stato valutata che le stesse erano state fornite poco dopo il fatto e pertanto in un contesto emotivo che non consentiva di farle ritenere completamente attendibili. Le deposizioni dei testi erano contraddittorie e non consentivano di ricostruire i fatti con certezza. In particolare da tali dichiarazioni non era possibile ricostruire quale fosse la specifica posizione dei cacciatori durante la battuta; la stessa planimetria dei carabinieri era stata redatta dopo circa due anni e stilata in modo non corretto, in quanto era stata mostrata ai testi dopo-che altri già avevano indicato la loro posizione. Inoltre non era certo che ai cacciatori fosse stata assegnata una specifica posizione ed una distanza minima di 100 mt. l’uno dall’altro, tanto vero che le deposizioni sul punto erano contrastanti. Infine le deposizioni era univoche nell’indicare che il V. al momento in cui fu trovato cadavere non indossava il giubbino. Pertanto in assenza di una sicura ricostruzione del fatto, non poteva giungersi ad una condanna "al di la di ogni ragionevole dubbio". 2.3. il difetto di motivazione in relazione alla eccessività del trattamento sanzionatorio.

4. Con memoria del 6/5/2011 il difensore della parte civile ha evidenziato la infondatezza dei motivi di ricorso.

Motivi della decisione

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1. La doglianza di natura processuale formulata è manifestamente infondata. Invero, come già osservato dalla Corte di merito, per l’udienza in Tribunale del 6/4/2007 fu depositata un’istanza di rinvio per impedimento dell’imputato ammalato (istanza depositata in cancelleria dopo l’udienza); nel corso dell’udienza il G.O.T., valutata la sua "incompetenza" funzionale a trattare la causa, ebbe a rinviare il processo al 1/6/2007. Per tale udienza fu spedito avviso all’imputato il 6/4/07, con raccomandata ricevuta dalla moglie convivente ( C.M.R.) il 14/5/07. Ne consegue da quanto detto che l’imputato fu avvisato del rinvio di udienza senza essere trattato da contumace, altrimenti non gli sarebbe stato recapitato alcun nuovo avviso. Così ricostruiti i fatti, nessuna violazione di legge si è maturata e nessun pregiudizio ai diritti di difesa dell’imputato.

5.2. In ordine alla affermazione della pepale responsabilità, ha osservava la Corte distrettuale che essa emergeva dalle seguenti circostanze:

– in due interrogatori resi alla presenza dei difensori, l’imputato aveva ammesso di avere sparato il colpo che aveva attinto il V.;

– la vittima era stata colpita alle spalle, con una traiettoria dall’alto verso il basso; il suo corpo era stato trovato nella zona assegnatagli dal capo battuta;

– sebbene nelle foto successive al fatto la vittima non indossasse il giubbotto arancione, era certo che all’inizio della battuta lo indossasse; pertanto era verosimile che gli fosse stato tolto, come riferito da un teste, dopo il ferimento, durante il trasporto;

– contrariamente a quanto da lui stesso dichiarato, il D.M. aveva sparato almeno due colpi (il fucile ne poteva contenere massimo tre); il primo aveva attinto il cinghiale con traiettoria dall’alto verso il basso; il secondo il V.. Ciò lo si ricavava dal fatto che la vittima non aveva esploso alcun colpo, mentre il fucile dell’imputato era stato trovato privo di cartucce;

– benchè il capo battuta avesse assegnato ad ogni cacciatore una specifica posizione, così da formare un semicerchio, ognuna a distanza di circa 100 mt, il D.M. si era allontanato dalla zona assegnatagli, arrivando fino a ridosso della posizione assegnata al V., tanto vero che fu rinvenuto piangente accanto al compagno colpito il quale, invece, si trovava nella zona assegnatagli;

– lo stesso D.M. aveva ammesso che aveva iniziato ad inseguire il cinghiale, spostandosi dalla sua zona.

Ha dedotto la Corte da quanto esposto, che la condotta del D. M. era stata gravemente negligente; infatti, contravvenendo a specifiche disposizioni di sicurezza, si era allontanato dalla sua 2ona, imbracciando un fucile senza sicura inserita ed avvicinandosi alla postazione di altro cacciatore, aveva sparato non in situazione di sicurezza. Tale condotta era stata la causa determinante della morte del V..

5.3. La difesa dell’imputato ha lamentato che il giudice di merito non avrebbe dovuto dare eccessiva credibilità alle dichiarazioni del D.M. rese nella immediatezza dei fatti, in una situazione di precarietà emotiva. Sul punto si deve rilevare che se è vero che le prime dichiarazioni furono rese (ai sensi dell’art. 350 cod. proc. pen., comma 1,) in data 28/11/02, lo stesso giorno dei fatti, l’interrogatorio delegato fu svolto in data 12/12/02 ed in tale atto il D.M. ebbe a confermare le sue precedenti dichiarazioni (entrambe rese alla presenza del difensore).

In tali atti l’imputato ebbe a dichiarare che dal suo fucile era partito il colpo che aveva attinto il V., in quanto durante la corsa su terreno impervio alla ricerca della preda, era scivolato.

Ebbene da tali dichiarazioni, come osservato dal giudice di merito, emerge uno dei gravi profili di colpa del D.M. e cioè quello di avere portato l’arma senza avere inserita la sicura. Il giudice di merito ha comunque ritenuto che la versione di fatti offerta dall’imputato non fosse completamente attendibile quanto alla ragione per cui egli ebbe a sparare. Infatti dalle prove raccolte, è emerso che i colpi esplosi furono almeno due, quindi sparati volutamente, ma non in situazione di sicurezza, per essersi l’imputato spostato dalla zona assegnatagli, invadendo quella della vittima, così rendendo possibile che la traiettoria dei colpi attingesse il V..

La difesa dell’imputato ha lamentato la incertezza della ricostruzione della posizione dei singoli partecipanti alla battuta, ma sul punto il giudice di merito ha rilevato come i singoli cacciatori ebbero ad accompagnare i Carabinieri sul posto, così consentendo loro di ricostruire i fatti con attendibilità. Nè miglior sorte può avere la doglianza relativa alla mancata valutazione di un eventuale condotta colposa del V. il quale si era tolto il giubbino arancione. Infatti anche sul punto il giudice di merito ha offerto una convincente motivazione, rilevando come all’inizio della battuta tale giubbino era indossato dalla vittima e che gli fu tolto al momento in cui gli furono prestati i soccorsi.

In sostanza le censure mosse dalla difesa alla sentenza, esprimono solo un dissenso rispetto alla ricostruzione del fatto (operata in modo conforme dal giudice di primo e secondo grado) ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo. Pertanto anche sotto tale profilo si manifesta la inammissibilità del ricorso.

5.4. Infine, quanto alle censura relative al trattamento sanzionatorio, il giudice di merito, dopo avere valutato i gravi profili di colpa (fucile senza sicura; spostamento durante la battuta dal settore assegnato), concesse le attenuanti generiche, ha fissato la pena in anni uno di reclusione, in misura lontana dal massimo edittale di anni cinque.

Orbene, va ricordato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (Cass. sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004 Ud. (dep. 26/10/2004), Nuciforo, Rv. 230278; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1318 del 20/10/1975 Ud. (dep. 29/01/1976), Sepe, Rv. 132058).

Nel caso di specie il giudice di merito ha valutato, ai sensi dell’art. 133 c.p., la oggettiva gravità dei profili di colpa, nonostante ciò determinando la pena base lontano dal massimo edittale. La coerente scelta della sanzione rende la decisione incensurabile in questa sede in quanto non manifestamente illogica.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00= ; nonchè al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00= in favore della cassa delle ammende, nonchè alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 2.400,00 =, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. nelle misure di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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