Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-04-2012, n. 5538 Procedimento esecutivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso del 25 giugno 2007 la Olivieri Investments s.r.l., terzo acquirente di beni pignorati, e Cofip s.r.l., debitrice esecutata nella procedura esecutiva n. 96754/97, intrapresa dall’ISVEIMER, nella quale era subentrato il curatore del Fallimento dell’esecutata, ai sensi della L. Fall., art. 107 (nel testo, applicabile ratione temporis, di cui al R.D. n. 267 del 1942, vigente prima della sostituzione operata dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 94) proposero opposizione ex artt. 617, 615 e 619 cod. proc. civ., chiedendo, previa sospensione, la revoca dell’ordinanza di vendita del 5 giugno 2007, relativa a quattro degli immobili pignorati, acquistati -dopo il pignoramento- da Olivieri Investments s.r.l..

Dedussero le ricorrenti che il creditore procedente non aveva depositato la documentazione ipocatastale ovvero il certificato notarile sostitutivo nel termine del 30 giugno 2001, fissato dalla L. n. 302 del 1998, art. 13 bis, e che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione della procedura esecutiva ai sensi dell’art. 567 cod. proc. civ., comma 4 (nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 302 del 1998, applicabile ratione temporis).

Il giudice dell’esecuzione rigettò l’istanza di sospensione e fissò il termine perentorio per l’inizio del giudizio di merito.

1.1.- Con atto di citazione notificato il 27 settembre 2008 entrambe le opponenti introdussero il giudizio di merito e chiesero che l’ordinanza di vendita fosse revocata e, comunque, che il ricavato delle vendite medio tempore effettuate fosse consegnato alla Olivieri Investments s.r.l., in ragione dell’estinzione dell’esecuzione con il venir meno degli effetti del pignoramento, e consolidamento dell’acquisto dei beni pignorati.

Si costituirono in giudizio sia il Fallimento della Cofip s.r.l. sia la Società per la Gestione di Attività – S.G.A. s.p.a. (succeduta all’ISVEIMER) contestando le difese di controparte e chiedendone il rigetto.

Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli aggiudicatari dei beni pignorati, si costituirono soltanto V. F. e la Belle Arti Property s.r.l..

1.2.- Con sentenza n. 13097 resa il 24 maggio 2010 e pubblicata l’8 giugno 2010 il Tribunale di Roma, rigettate entrambe le opposizioni, ha condannato entrambe le opponenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite in favore delle altre parti costituite.

2.- Avverso la sentenza, la Cofip s.r.l. propone ricorso straordinario per cassazione affidato a due motivi.

La S.G.A. S.p.a. ed il Fallimento Cofip s.r.l. resistono con separati controricorsi, illustrati da memorie.

Olivieri Investments s.r.l. propone controricorso con ricorso incidentale, cui resiste con controricorso il Fallimento.

Non si difendono gli altri intimati.

Motivi della decisione

1.- Preliminarmente i ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, vanno riuniti.

Va dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale proposto da Olivieri Investments s.r.l., rilevandone la tardività, in quanto si tratta di ricorso incidentale adesivo ai motivi proposti, in causa scindibile, dal ricorrente principale (cfr. Cass. n. 6807/07, n. 6284/08): la sentenza è stata notificata il 18 febbraio 2011 ed il ricorso incidentale è stato notificato il 26/27 maggio 2011, sicchè non risulta rispettato il termine dell’art. 325 cod. proc. civ..

1.1.- Va invece rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dal Fallimento per violazione del principio di autosufficienza, mancando in ricorso, secondo il controricorrente, il testo dell’ordinanza fatta oggetto di opposizione agli atti esecutivi e l’indicazione dei documenti ipocatastali che si assumono mancanti, nonchè la trascrizione di quelli che si assumono incompleti;

inoltre, in ricorso, si sarebbe dato per pacifico quanto invece contestato dal Fallimento (e dalla S.G.A.), già in sede di merito.

Rilevata l’infondatezza in punto di fatto di tale ultimo rilievo (atteso che il punto 6, pag. 7, della parte in fatto del ricorso da conto delle contestazioni svolte dal Fallimento e dalla S.G.A.), il rigetto dell’eccezione, quanto al primo profilo, consegue alla considerazione che dell’ordinanza di vendita viene riportato il contenuto necessario e sufficiente ai fini di entrambi i motivi di ricorso, in quanto questi ne denunciano il vizio non per ragioni intrinseche al provvedimento stesso, ma -per come si dirà- perchè assumono l’illegittimità dell’autorizzazione alla vendita (il cui contenuto essenziale è riprodotto in ricorso) in quanto adottata in un giudizio che, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto essere dichiarato estinto.

Il rigetto dell’eccezione, quanto al secondo profilo, consegue alla considerazione che oggetto dell’opposizione conclusa con la sentenza impugnata non è il provvedimento di rigetto dell’eccezione di estinzione (rispetto al quale avrebbero potuto avere rilevanza i documenti da depositarsi e/o depositati ex art. 567 cod. proc. civ., sotto il profilo dell’indicazione, in ricorso, di quelli assunti come mancanti e della trascrizione, in ricorso, di quelli assunti come incompleti), bensì l’ordinanza di vendita.

1.2.- Va detto, sempre in via preliminare, del rilievo contenuto nella memoria depositata dal Fallimento ex art. 378 cod. proc. civ., secondo cui sarebbe venuto meno l’interesse all’impugnazione in quanto la procedura esecutiva nell’ambito della quale è stata proposta l’opposizione agli atti esecutivi conclusa con la sentenza impugnata si sarebbe estinta. Risulta dalla stessa memoria che il giudice dell’esecuzione non ha affatto adottato uno dei provvedimenti di estinzione tipica del processo esecutivo ex art. 629 cod. proc. civ., e segg. (situazione che avrebbe effettivamente comportato la cessazione della materia del contendere sull’opposizione agli atti esecutivi, come da orientamento consolidato di questa Corte: cfr., tra le altre, Cass. n. 23084/05, nonchè di recente Cass. n. 6546/11 e n. 4498/11), ma, con provvedimento del 19 luglio 2007, ha concluso la procedura esecutiva n. 96754/97 per la vendita di tutti i cespiti pignorati; poichè oggetto dell’opposizione è il provvedimento che ha autorizzato questa vendita, con riferimento a quattro degli immobili pignorati, permane l’interesse dell’opponente, attuale ricorrente, alla decisione sulla legittimità dell’ordinanza del 5 giugno 2007. 2.- Passando al merito del ricorso, si rileva che col primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 617 cod. proc. civ. e L. Fall., art. 107 (nel testo, applicabile ratione temporis, di cui al R.D. n. 267 del 1942, vigente prima della sostituzione operata dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 94, cui, da ora in poi, va inteso ogni riferimento, senz’altra specificazione, contenuto nella presente sentenza), in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3 e 4.

La ricorrente critica la decisione impugnata nella parte in cui afferma il difetto di legittimazione a proporre opposizione agli atti esecutivi da parte della società debitrice esecutata dichiarata fallita, perchè sarebbe "ipotizzatile una tutela degli interessi da essa vantati, al di fuori della procedura concorsuale, solo nell’ ipotesi di inerzia del fallimento" e conclude che tale ipotesi non ricorrerebbe nel caso di specie "atteso che la procedura esecutiva in contestazione ad oggi è proseguita ad impulso del fallimento ed il fallimento stesso si è contrapposto alla domanda presentata dalla Cofip".

Deduce la ricorrente che, come il fallito all’interno dell’esecuzione concorsuale ha sempre a disposizione l’istituto del reclamo ai sensi della L. Fall., art. 26, così, simmetricamente, all’interno dell’esecuzione singolare egli ha a disposizione l’istituto dell’opposizione agli atti esecutivi; che questa Corte, a più riprese, avrebbe sostenuto la sostanziale corrispondenza dei rimedi, come da precedenti richiamati in ricorso; che, in casi quale quello in esame, come rilevato dalla dottrina, non si avrebbe una sostituzione del curatore al debitore L. Fall., ex art. 43, ma il curatore subentrerebbe nell’espropriazione singolare al creditore procedente, e dunque istituzionalmente nella cura di interessi, quelli della massa dei creditori, configgenti rispetto ai suoi; che, pertanto, presupposto delle opposizioni esecutive, e non limite alle stesse, sarebbe la prosecuzione della procedura esecutiva per impulso del curatore ed il contrasto, da parte di quest’ultimo, delle opposizioni dell’esecutato.

Aggiunge la ricorrente che, essendo l’opposizione agli atti esecutivi esperibile da qualunque soggetto della procedura esecutiva, sulla base del suo specifico interesse alla rilevazione della nullità degli atti di questa, non potrebbe esserne negata la legittimazione al debitore pignorato, che tale resta, attesa la scelta del fallimento di proseguire il procedimento esecutivo singolare; che, anche nel caso di specie, la società fallita altro non avrebbe fatto che tutelare i proprì interessi, nell’inerzia del fallimento, atteso che questo era rimasto inerte in un’ipotesi di sopravvenuta inefficacia del pignoramento laddove il fallito aveva invece sollevato l’eccezione di intervenuta estinzione.

In conclusione, ribadita l’applicabilità di tutte le norme del processo esecutivo singolare e degli istituti del libro 3^ del codice di rito, la ricorrente assume che la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 617 di questo, nonchè la L. Fall., art. 107. 2.- Il motivo è fondato e va accolto.

Va qui ribadito l’orientamento espresso da questa Corte nei precedenti richiamati in ricorso (Cass. n. 7764/97, n. 11287/99, n. 19667/06) ed anche in altri (cfr. Cass. n. 1302/99, n. 4128/03, n. 1610/09) secondo cui, in tema di vendita fallimentare, i mezzi di tutela offerti agli interessati avverso i provvedimenti del giudice delegato corrispondono, mutatis mutandis, a quelli esperibili in seno al processo di esecuzione individuale disciplinata dal codice di rito, salvo il necessario coordinamento, per effetto del quale all’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 cod. proc. civ. corrisponde il reclamo L: Fall., ex art. 26.

Il principio, sebbene sia, in sè, tale da poter essere riferito anche all’ipotesi complementare a quella considerata nei precedenti citati, vale a dire all’ipotesi in cui si tratti di contestare la regolarità formale di un provvedimento adottato in procedura esecutiva singolare in cui sia esecutato un debitore fallito, potrebbe non comportare necessariamente la conseguenza applicativa pretesa dalla ricorrente, ove si ritenesse che in quest’ultima il curatore venga ad assumere una posizione processuale sovrapponibile a quella dell’esecutato.

Ed, invero, la legittimazione a proporre reclamo che la L. Fall., art. 26, riconosce in via concorrente sia al fallito che al curatore si spiega perchè nell’ambito della procedura concorsuale l’uno e l’altro ben possono essere portatori di interessi contrapposti o comunque divergenti.

La questione da risolvere è allora quella concernente la posizione che va riconosciuta al curatore che sia presente nella procedura esecutiva individuale iniziata nei confronti del fallito prima della dichiarazione di fallimento. Il testo della L. Fall., art. 107, applicabile al caso di specie, prevede che in tale ipotesi "il curatore si sostituisce nella procedura al creditore istante" ed in giurisprudenza è stato inteso -pur non senza critiche da parte della dottrina- nel senso (recepito dall’attuale dell’art. 107, comma 6 sostituito dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 94, a decorrere dal 16 luglio 2006) che in caso di procedure esecutive che proseguano in pendenza di fallimento, è data facoltà al curatore di avvalersi di esse (consentendo che l’attività liquidatoria si svolga per loro tramite e partecipando per conto della massa alla ripartizione del ricavato), oppure di procedere direttamente all’esecuzione concorsuale, trasferendo la vendita in sede fallimentare (cfr. Cass. n. 17334/02 ed altre, tra cui Cass. n. 4743/97, n. 1072/01, n. 5455/02); comunque, si è ritenuto che la sostituzione in sede di espropriazione individuale operi di diritto e comporti la sostituzione, appunto del curatore, al creditore istante (cfr., da ultimo, Cass. n. 15103/05 e n. 10599/09). Egli quindi si trova in posizione contrapposta a quella del debitore esecutato; quest’ultimo, pur essendo dichiarato fallito, continua ad essere parte del processo esecutivo, in quanto il curatore non si sostituisce a lui ma al creditore procedente (tanto è vero che quando per qualsiasi ragione venga meno il titolo che ha legittimato la sostituzione del curatore, i singoli creditori riprendono la legittimazione all’azione esecutiva individuale e se questa era stata proseguita dal curatore possono a loro volta proseguirla dal punto al quale era giunto il curatore:

cfr. Cass. n. 7661/99) ed il processo prosegue nei confronti della medesima parte già assoggettata all’espropriazione; questa, nell’esecuzione singolare, mantiene tale posizione pur dopo la dichiarazione di fallimento.

Se la posizione di soggetto passivo dell’esecuzione è stata già riconosciuta, in capo al debitore fallito, da questa Corte in ipotesi in cui la procedura esecutiva individuale sia stata avviata o proseguita contro il fallito dal creditore fondiario (cfr. Cass. n. 2532/87 e n. 5081/96), non vi sono ragioni per addivenire a diversa conclusione quando l’azione esecutiva venga proseguita dal curatore fallimentare, non ricorrendo l’eccezione di cui al primo inciso della L. Fall., art. 51. Il debitore continua ad essere assoggettato ad un’espropriazione che prosegue con le regole del processo esecutivo individuale (cfr. già Cass. n. 3177/85 e Cass. n. 13562/91), ma su impulso ed iniziativa del curatore; all’uno ed all’altro spetterà il rimedio tipico dell’opposizione agli atti esecutivi, in quanto entrambi parti del processo, legittimati ad opporsi ai singoli atti di questo, ove aventi interesse alla declaratoria di invalidità. 2.1.- Ne segue che, in quanto sostituitosi al creditore istante ed in quanto rappresentante, anche in sede esecutiva singolare, degli interessi della massa dei creditori, il curatore non assume in tale sede, nei riguardi del debitore fallito, una posizione analoga a quella che gli è riconosciuta dalla L. Fall., art. 43, nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento, nelle quali sta in giudizio in luogo del fallito.

Ulteriore corollario è che non possono essere estesi alla fattispecie disciplinata dalla L. Fall., art. 107, i principi che riguardano la diversa fattispecie dell’art. 43, ed in particolare quello, che il giudice a quo ha ritenuto di applicare nel caso di specie, per il quale la legittimazione processuale di un soggetto dichiarato fallito, per i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, può eccezionalmente riconoscersi soltanto nel caso di disinteresse o inerzia degli organi preposti al fallimento e non anche quando detti organi si siano concretamente attivati e abbiano ritenuto non conveniente intraprendere o proseguire la controversia (così, tra le altre, Cass. n. 9710/04, n. 15369/05, n. 8990/07, n. 11572/07, n. 16926/09, nonchè S.U. n. 27346/09, riferita alla liquidazione coatta amministrativa).

2.2.- Va altresì considerato che, qualora il curatore, avvalendosi della facoltà riconosciutagli L. Fall., ex art. 107, come sopra interpretato, opti per la dichiarazione di improcedibilità dell’azione esecutiva individuale e scelga di vendere (anche) i beni già oggetto di pignoramento in sede fallimentare, il pignoramento mantiene i suoi effetti sostanziali nei confronti della massa dei creditori (cfr. Cass. n. 13865/02, n. 15103/05, tra le più recenti, nonchè Cass. ord. n. 24442/10, che fa salve ipotesi sopravvenute di inefficacia riferibili al pignoramento in quanto tale), ma la liquidazione dell’attivo avverrà secondo le norme proprie della procedura concorsuale. Il debitore fallito potrà allora senza alcun dubbio avvalersi del rimedio del reclamo L. Fall., ex art. 26, anche per contestare gli atti preordinati alla vendita dei beni.

Seguendo l’interpretazione fatta propria dal giudice a quo, si avrebbe che la posizione del debitore sarebbe deteriore in sede esecutiva individuale, nella quale gli sarebbe precluso ogni tipo di difesa, mentre analoghe ragioni di difesa avrebbe egli potuto esplicare ove assoggettato alla procedura fallimentare.

Pertanto, la possibilità di tutela della medesima situazione di titolarità dei beni (già) pignorati in capo al debitore finirebbe per dipendere dalla scelta discrezionale rimessa agli organi fallimentari, ma comunque insindacabile da parte del debitore medesimo, di continuare l’esecuzione nella forma individuale ovvero di procedere alla liquidazione in sede fallimentare: senza che a tale disparità di trattamento corrisponda alcuna differenza tra fallimento ed esecuzione individuale che renda ragionevole la scelta interpretativa della sentenza impugnata.

2.3.- Discussa è la natura della sostituzione sancita dalla L. Fall., art. 107, e dei relativi poteri del curatore; sebbene non siano mancate opinioni dottrinali nel senso di una vera e propria sostituzione processuale ed altre nel senso di un’attività surrogatoria dei creditori, questa Corte ha, per un verso, evidenziato la peculiarità del ruolo del curatore, quale soggetto investito di pubbliche funzioni (cfr. Cass. n. 4743/97), per altro verso, escluso che si tratti di sostituzione processuale ex art. 81 cod. proc. civ. (ma sarebbe tale da non consentirgli di sostituirsi nelle posizioni giuridiche processuali strettamente personali del creditore istante: cfr. Cass. n. 25963/09).

Ritiene il Collegio che, in effetti, il curatore, pur agendo anche in sede esecutiva individuale in forza del più generale potere di disposizione dei beni del fallito a lui spettante a seguito della dichiarazione di fallimento, nel processo esecutivo si sostituisca al creditore procedente, quindi gli succeda in tutte quelle posizioni processuali, delle quali il creditore non si può più avvalere per il divieto della L. Fall., art. 51.

Quanto appena detto consente di concludere nel senso che il curatore svolge nel processo esecutivo individuale lo stesso ruolo che gli è proprio nel processo fallimentare; nell’uno e nell’altro il debitore si trova in posizione di soggezione, di certo non coincidente con quella del curatore, ed a tutela della quale gli devono essere riconosciuti i rimedi propri dell’uno e dell’altro processo, vale a dire, per quanto qui rileva, opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ. e reclamo L. Fall., ex art. 26.

Pertanto il debitore esecutato in una procedura esecutiva individuale iniziata prima della dichiarazione di fallimento, nella quale sia subentrato il curatore del fallimento ai sensi della L. Fall., art. 107, comma 1 (nel testo vigente prima della sostituzione operata dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 94), è legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi avverso gli atti di detta procedura, senza che rilevino il disinteresse o l’inerzia ovvero la contraria determinazione degli organi fallimentari.

Il primo motivo di ricorso va perciò accolto e la sentenza impugnata va cassata quanto alla declaratoria di difetto di legittimazione ad agire della Cofip s.r.l..

2.3.- Giova aggiungere che, avuto riguardo alla statuizione impugnata, che si è limitata all’affermazione in astratto del difetto di legittimazione ad agire dell’esecutato fallito, non forma oggetto di ricorso l’ulteriore questione, posta dal fallimento controricorrente, relativa alla valutazione in concreto dell’interesse ad opporsi da parte di Cofip s.r.l., vale a dire alla valutazione della possibilità da parte della medesima di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile a seguito della revoca del provvedimento che ha fatto oggetto di opposizione e conseguibile soltanto a seguito dell’invocato accoglimento dell’opposizione.

Trattasi di questione che va rimessa al giudice di rinvio.

3.- Col secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 617 e 630 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3 e 4.

La ricorrente critica la decisione impugnata nella parte in cui rileva l’inammissibilità, comunque, del rimedio oppositivo poichè sarebbe stato esperito non per far valere i vizi dell’ordinanza di vendita ma per lamentare l’omessa dichiarazione, da parte del giudice dell’esecuzione, dell’estinzione della procedura esecutiva per omesso, ovvero tardivo, ovvero incompleto deposito della documentazione prevista dall’art. 567 cod. proc. civ.; secondo il Tribunale, tale doglianza avrebbe dovuto essere oggetto di reclamo al collegio ex art. 630 cod. proc. civ..

Deduce la ricorrente che il "bersaglio" dell’opposizione sarebbe non un’ordinanza sull’estinzione, bensì la (differente) ordinanza che aveva disposto la vendita e che questa non avrebbe perduto la sua natura di atto dell’esecuzione, impugnabile con opposizione agli atti esecutivi, soltanto perchè incidentalmente si è occupata della questione di estinzione.

3.1.- Il motivo è fondato e va accolto.

La questione non è affatto quella, cui fa riferimento il controricorso, del mezzo esperibile avverso il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione si è pronunciato ai sensi dell’art. 567 cod. proc. civ. e che questa Corte, nel precedente menzionato appunto nel controricorso, ha risolto, con riferimento al testo introdotto dalla L. n. 302 del 1998, nel senso del reclamo ex art. 630 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 5789/05).

Essa riguarda piuttosto l’individuazione del rimedio esperibile avverso un atto del processo esecutivo che la parte opponente assuma viziato perchè adottato dal giudice dell’esecuzione in un processo che la stessa parte opponente assume essere estinto; nel caso di specie, adottato nelle more della delibazione di un’eccezione di estinzione del processo esecutivo già sollevata e decisa con provvedimento di rigetto, a sua volta, reclamato ex art. 630 cod. proc. civ..

Orbene, in una situazione processuale siffatta, oggetto dell’opposizione non è affatto il provvedimento adottato dal giudice dell’esecuzione in merito all’estinzione del processo esecutivo, ma l’atto esecutivo compiuto a seguito del rigetto dell’eccezione, secondo la scansione tipica del processo esecutivo; il vizio che la parte opponente ascrive all’atto in parola non è intrinseco all’atto stesso ma consegue, quale effetto derivato, al vizio che la medesima parte ascrive alla decisione (negativa) sull’estinzione. Tuttavia, mentre per dolersi di quest’ultimo vizio la parte si può avvalere (e nel caso di specie risulta che si sia avvalsa) del rimedio tipico dell’art. 630 cod. proc. civ., invece per lamentare il vizio, per così dire derivato, dell’atto esecutivo non può che avvalersi del rimedio, altrettanto tipico, pur se residuale, dell’art. 617 cod. proc. civ..

Non è pertanto corretta la statuizione di inammissibilità adottata nel presupposto che l’opponente avrebbe dovuto esperire il reclamo ex art. 630 cod. proc. civ., avverso l’ordinanza di vendita; la sentenza impugnata va cassata con riferimento a tale statuizione.

4.- Ritiene il collegio di non poter decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, essendo peraltro sub iudice la questione della legittimità del provvedimento di rigetto dell’istanza di estinzione. La causa va rimessa al Tribunale di Roma, in diversa composizione, che pronuncerà anche sulle spese del giudizio di cassazione, nei rapporti tra l’opponente Cofip s.r.l. e gli opposti Fallimento Cofip s.r.l. e Società Gestione di Attività S.G.A. S.p.a..

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il principale; cassa la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni riguardanti l’opposizione proposta da Cofip s.r.l. e rinvia al Tribunale di Roma in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di cassazione; dichiara inammissibile il ricorso incidentale, compensando le spese tra il ricorrente incidentale e le altre parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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