Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-04-2012, n. 5537 Assicurazione contro i danni contro gli incendi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La CA di Messina ha respinto l’appello proposto dalla s.p.a. INA Assitalia e dalle altre compagnie assicuratrici del medesimo sinistro, indicate in epigrafe, contro la condanna emessa a loro carico dal Tribunale di Messina a pagare a B.L. – e per esso al figlio ed erede B.S.A. – la somma di L. 841.452.000, quale indennizzo spettantegli in virtù di una polizza contro l’incendio.

La causa era stata promossa in primo grado dalle compagnie assicuratrici, per fare accertare la nullità della perizia estimativa dei danni effettuata da un collegio di periti; la non indennizzabilità del sinistro, per essere l’assicurato decaduto dal diritto alla garanzia, e l’inoperatività della garanzia medesima per esagerazione dolosa del danno, ai sensi della clausola 17 delle condizioni generali di polizza.

Assumevano che l’assicurato, avendo subito un incendio del suo locale commerciale di abbigliamento, aveva chiesto la somma di Euro 1.014.713,00, a fronte di danni per L. 783 milioni circa.

Il Tribunale, come pure la Corte di appello, hanno respinto le eccezioni relative alla perizia ed hanno escluso che sia stata fornita la prova del dolo dell’assicurato, quanto alla formulazione della richiesta di indennizzo.

La Corte di appello ha modificato la sentenza di primo grado solo nel senso di escludere la responsabilità solidale delle compagnie, trattandosi di coassicurazione.

Le soccombenti propongono due motivi di ricorso per cassazione.

Resiste l’intimato con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 112 e 277 cod. proc. civ., artt. 1428 e 1429 cod. civ., violazione delle regole ermeneutiche in relazione all’art. 10 delle condizioni generali di assicurazione (c.g.a.), ed omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, le ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunciare sulla loro eccezione di nullità della perizia contrattuale per violazione delle norme contrattuali, o di annullabilità per errore essenziale, non avendo i periti preso atto degli effettivi aspetti della controversia.

Lamenta altresì che la decisione dei periti non abbia tenuto conto delle risultanze documentali circa la mancata corrispondenza fra la merce distrutta dall’incendio e quella di cui alle fatture allegate a dimostrazione dei danni.

1.1.- Il motivo è inammissibile.

Le censure di omessa pronuncia configurano violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., cioè violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e debbono essere fatte valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo errore in procedendo; non già con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nè come vizio di motivazione di cui all’art. 360, n. 5.

Tali ultime censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, ovvero senza motivare adeguatamente la decisione: questioni diverse dall’omessa pronuncia.

Solo la corretta deduzione della doglianza proposta ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., può consentire al giudice di legittimità di procedere all’esame degli atti del giudizio, trattandosi di norma processuale che si propone di far verificare l’effettiva deduzione come motivo di appello della censura la cui mancata considerazione da parte del giudice di secondo grado è dedotta come motivo di gravame (Cass. 24 febbraio 2004, n. 3646 e 23 gennaio 2004 n. 1170; Cass. 17 ottobre 2003 n. 15555; 15 luglio 2003 n. 11034; 18 giugno 2003 n. 9707; 17 gennaio 2003 n. 604, Cass. S.U. 14 gennaio 1992 n. 369 e numerose altre).

Le ricorrenti per contro da un lato lamentano solo la violazione di norme di diritto sostanziale e vizi di motivazione; dall’altro lato hanno proposto il ricorso esclusivamente sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. 1.2.- E’ appena il caso di soggiungere che, anche sotto questi profili, le censure sono inammissibili poichè attengono esclusivamente agli accertamenti in fatto ed alla valutazione delle prove ad opera della Corte di merito, cioè a questioni non suscettibili di riesame in sede di legittimità. 2.- Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano violazione degli art. 16, 17, 18, 19, 20 c.g.a., artt. 1175 e 1375 cod. civ. e delle regole di ermeneutica contrattuale, nonchè vizi di motivazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sul rilievo che la sentenza impugnata ha erroneamente interpretato ed applicato le clausole delle condizioni generali di contratto ed ha violato i principi in tema di correttezza e buona fede nei contratti.

2.1.- Il motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non avendo le ricorrenti trascritto nel ricorso medesimo le clausole di cui lamentano l’erronea interpretazione ed applicazione, e non avendo neppure indicato se dette condizioni generali siano state prodotte nel presente giudizio, come siano contrassegnate e come siano reperibili fra gli atti e documenti di causa, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, con riguardo agli atti ed ai documenti sui quali il ricorso si fonda.

2.2.- In ogni caso ed a prescindere da quanto sopra, qualora con il ricorso per cassazione si contesti la qualificazione attribuita dal giudice di merito al contratto intercorso tra le parti, le relative censure non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere proposte sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o dell’insufficienza o contraddittorietà della motivazione.

Va ribadito che, in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso, le suddette censure debbono essere accompagnate dalla trascrizione delle clausole che individuano l’effettiva volontà delle parti (la cui ricerca, che integra un accertamento di fatto, è preliminare alla qualificazione del contratto), al fine di consentire la verifica dell’asserita, erronea applicazione della disciplina normativa, in sede di legittimità (Cass. civ. 4 giugno 2010 n. 13587; 3 febbraio 2009 n. 2602).

3.- Il ricorso deve essere rigettato.

4.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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