Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-05-2011) 21-10-2011, n. 38126 Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 20/4/2009 il G.U.P. del Tribunale Della Spezia, condannava L.P., A.S. ed altri per plurimi episodi di spaccio di cocaina (acc. in (OMISSIS)).

Con sentenza del 20/4/2010 la Corte di Appello di Genova, dopo avere ritenuto infondate alcune eccezioni processuali, confermava la pronuncia di condanna, rideterminando la pena per l’ A. in anni 4 di reclusione ed Euro 20.000 di multa, ritenuto il fatto di lieve entità (art. 73, comma 5) equivalente con la recidiva; per il L. in anni 8, mesi 10 e giorni 20 di reclusione ed Euro 44.444= di multa, rideterminati gli aumenti per la recidiva e la continuazione.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati lamentando:

2.1. Per l’ A.: la inutilizzabilità delle intercettazioni, sia telefoniche che ambientali, per mancanza assoluta di motivazione o sua mera apparenza, in relazione ai provvedimenti autorizzativi e di proroga del GIP. In detti provvedimenti il giudice non spigava l’indispensabilità dell’uso del mezzo captativo a fronte della possibilità dell’utilizzo di altri strumenti investigativi; inoltre la motivazione di detti provvedimenti non poteva essere affidata a stereotipate formule di mero rinvio alle richieste del P.M. ed alle informative di P.G..

2.2. La mancanza o insufficiente motivazione in relazione alla pronuncia di condanna. Invero nessun elemento probatorio avvalorava la tesi che vi fosse una comunanza dell’ A. con l’asse P.- R.; inoltre ben era possibile che i 20 gr. di cocaina rinvenuti in possesso del B., dopo l’incontro con l’ A., in realtà questi l’avesse acquistata in precedenza da altri. Peraltro, dalle intercettazioni si evinceva che la richiesta di acquisto, per uso personale, rivolta dall’ A. al P. fosse di 30 gr. Pertanto era irrazionale poi che al B. ne fossero stati trovati solo 20. 2.3. Il difetto di motivazione in ordine alla mancata disapplicazione della recidiva specifica reiterata. Invero i fatti contestati, se commessi, erano di scarsa rilevanza e calati in un contesto di tossicodipendenza dell’imputato.

2.4. Per il L.: il difetto di motivazione in relazione alla pronuncia di condanna, per non essere stata provata alcuna consegna di stupefacente e che l’accordo fosse stato raggiunto in relazione a specifiche quantità di droga per un determinato prezzo. In particolare: per il capo 18), mancava la prova della certa identificazione dell’imputato come di colui che aveva ceduto la droga al R.; peraltro la stessa circostanza della cessione era incerta. Per il capo 19), la corte di merito non aveva valutato il rapporto di amicizia intercorrente tra il L. ed il R. e che questo era stato il motivo del loro incontro presso il casello autostradale. Per il capo 20), i colloqui intercettati con il B. non avevano dato alcuna contezza di traffico di droga, in quanto a ciò non potevano essere riferite le parole "chiave" e "CDP" che facevano chiaro riferimento ad auto, tanto vero che il loro incontro era avvenuto presso l’elettrauto " C.". Peraltro a conforto della equivocità della prova, nessun sequestro era stato effettuato. Per il capo 21), nessuna prova sussisteva della consegna della droga da parte del L. al P. il quale, sottoposto a perquisizione, non era stato trovato in possesso di droga. Per il capo 22), l’unica cosa accertata era che il F. ed il L. erano andati a pranzo insieme. Nessuna prova vi era che l’imputato avesse ceduto sostanza stupefacente al F.. Con motivi aggiunti depositati il 27/4/2011 il difensore dell’imputato ha lamentato l’inutilizzabilità delle intercettazioni , richiamando i motivi del difensore dell’ A., nonchè per violazione dell’art. 268 c.p.p. per non essere certo se le capitazioni fossero state fatte presso gli Uffici della Procura con il sistema della remotizzazione ovvero presso la Questura Della Spezie.

Motivi della decisione

3. I ricorsi sono inammissibili.

3.1. In ordine alle censure formulate da entrambi gli imputati e relative all’utilizzabilità delle intercettazioni, va osservato, quanto al lamentato difetto di motivazione dei decreti che questa corte di legittimità ha già ha avuto modo di affermare che l’onere di motivazione dei decreti è assolto anche "per relationem", mediante il richiamo al provvedimento del pubblico ministero e alle note di polizia, con implicito giudizio di adesione ad essi (cfr.

Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9764 del 10/02/2010 Cc. (dep. 11/03/2010), Femia, Rv. 246518; Cass. Sez. U, Sentenza n. 919 del 26/11/2003 Cc. (dep. 19/01/2004), Gatto, Rv. 226485).

Inoltre, quanto alla scelta del mezzo captativo per lo svolgimento delle indagini, non vi era bisogno di una diffusa motivazione in relazione alla sua necessità tenuto conto del tipo di reati su cui si stava investigando (traffico di droga), per la cui repressione l’attività di intercettazione è il mezzo più idoneo.

Quanto alla censura relativa alle modalità di intercettazione attraverso lo strumento della "remotizzazione", va rilevato che il giudice del merito ha ampiamente argomentato sulla legittimità di tale modalità captativa; è sufficiente sul punto ricordare l’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte che hanno stabilito che "Condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che l’attività di registrazione – che, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata – avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali vengano successivamente svolte anche le ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, che possono dunque essere eseguite "in remoto" presso gli uffici della polizia giudiziaria" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 36359 del 26/06/2008 Cc. (dep. 23/09/2008), Carli, Rv. 240395).

Nè può mettersi seriamente in dubbio che la registrazione delle conversazioni non sia avvenuta presso i locali della Procura della Repubblica. Sul punto il giudice di merito ha fornito ampia motivazione, evidenziando come i difensori degli imputati, dopo il deposito delle intercettazioni, non abbiano palesato alcun dubbio sul punto, senza neanche avvalersi delle facoltà concesse dall’art. 268 cod. proc. pen., comma 6. Va peraltro ulteriormente osservato che il dubbio (non ancorato ad alcun specifico argomento) sollevato dalla difesa avrebbe imposto accertamenti di fatto a cui gli imputati hanno rinunciato con la richiesta di giudizio abbreviato e che, a maggior ragione, non possono essere sollevati in sede di legittimità. 3.2. Quanto alla doglianza dell’ A. relativa alla condanna per il capo 33 (acquisto dal P.M. di due ovuli di cocaina del peso di 20,4 grammi, da A. poi ceduti a B.B.), la corte di merito è giunta alla pronuncia di condanna osservando che dalla istruttoria era emerso che, su sollecitazione telefonica della figlia V., il P. si era portato presso il negozio dove lo stava aspettando l’ A., il quale con modi circospetti, caduti sotto la percezione visiva della P.G., dopo aver parlato brevemente con il P., si era allontanato a bordo della sua auto. L’incontro era preparatorio ad un’ulteriore cessione e seguiva al pagamento effettuato il 31 marzo 2007 di un precedente debito. Infatti, nel corso del servizio di osservazione del giorno seguente (3 aprile 2007) la P.G. accertava che l’ A., che aveva ricevuto lo stupefacente dal P., lo cedeva poco dopo ad un uomo il quale lo aveva seguito con la sua autovettura Lancia Y 10 fino all’abitazione del P. sita a (OMISSIS).

Infatti, l’ A. era entrato in casa del P., da dove ne era uscito poco dopo per risalire in macchina, sempre seguito dalla Lancia. Le due auto, dopo un centinaio di metri si erano fermate a bordo strada e l’ A. era stato visto avvicinarsi al finestrino della Y10, mettere le braccia all’interno dell’abitacolo per qualche attimo e poi risalire sulla sua auto. Successivamente le due vetture si erano dirette verso il raccordo autostradale. All’esito di tale incontro, la Polizia aveva operato due controlli: mentre quello effettuato a carico dell’ A. dava esito negativo, l’altro,invece, dava esito positivo, in quanto sul cruscotto venivano trovati due ovuli di cocaina, celati in una confezione medicinale. Il conducente dell’auto, identificato per tale B.B. forniva fuorvianti indicazioni sui suoi ultimi movimenti. Da tale ricostruzione dei fatti il giudice di merito ha tratto la convinzione che la droga ricevuta dal P. era stata poi ceduta al B..

La motivazione della sentenza sul punto appare congrua e non manifestamente illogica e la struttura argomentativa della sentenza non è intaccata dalle osservazioni della difesa relative alla quantità della sostanza che risultavano essere state chieste dall’ A. al P., 30 gr. e non 20 (ma la sostanza ricevuta realmente, rispetto alla richiesta, non è dato sapere quanta fosse) e dalla possibilità che il B. avesse ricevuto la sostanza da altri (circostanza questa improbabile, tenuto conto, come osservato dal giudice di merito, che il B. aveva seguito l’ A. con la sua auto, senza avere contatti con altri).

Pertanto le censure mosse dalla difesa alla sentenza esprimono solo un dissenso generico rispetto alla ricostruzione del fatto (operata in modo conforme dal giudice di primo e secondo grado) ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.

3.3. Quanto, infine, alla doglianza relativa alla mancata disapplicazione della recidiva, va premesso che in primo grado all’ A. era stata irrogata la pena di anni 6 di reclusione ed Euro 30.000= di multa. In appello, riconosciuta l’attenuante di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, equivalente alla recidiva reiterata specifica, la pena è stata ridotta ad anni 4 di reclusione ed Euro 20.000= di multa. Quanto alla mancata disapplicazione della recidiva reiterata, la corte di appello ha esplicitamente richiamato la sentenza di primo grado ("…. pur condividendo il giudizio espresso in sentenza sulla personalità dello stesso" A.), ove veniva evidenziato che il fatto commesso era espressione di un’accentuata personalità criminale dell’imputato, desumibile dalla reiterazione di gravi violazioni nel tempo di cui ai gravi e plurimi precedenti penali.

Ne consegue che manifestamente infondata è la censura formulata, la quale svilisce il dato oggettivo evidenziato dal giudice di merito e cioè della reiterazione delle condotte criminose nel tempo, senza alcuna resipiscenza.

3.4. In ordine all’affermata penale responsabilità del L., il giudice di merito ha ritenuto che essa emergeva dalle seguenti circostanze:

– per il capo 18), cessione a R.S. di 400 grammi di cocaina, in data 10/2/2007, infondata era la tesi dell’appellante secondo cui mancava la prova della certa identificazione del L. come autore della consegna al R. in quanto dall’intercettazione ambientale s’evinceva che una persona era salita a bordo della macchina del R., da dove ne era scesa poco dopo, persona che veniva descritta come "uomo italiano dall’accento toscano". Tutte le telefonate intercorse tra il R. ed il P. dopo il 10/2/2007, concernevano le modalità di pagamento dello stupefacente al L., per la cessione effettuata, come si desumeva dall’espressione registrata "quanti sono? Quattro", cessione che doveva aver avuto ad oggetto un quantitativo abbastanza rilevante, se ciò aveva destato la preoccupazione dei due, che dovevano consegnare una somma notevole.

Da ciò poteva desumersi la identificazione del L. come autore della cessione e la quantità della sostanza (gr. 400), tenuto conto del riferimento a "quattro" e dell’importo da pagare di rilevante entità.

– Capo 19), la cessione a R.S. di gr,32,7 di cocaina in data7/3/2007; secondo la difesa dalle telefonate nn.38 e 42 risultava che il R. ed il L., entrambi di Grosseto, si erano incontrati casualmente, come amici. La P.G. non aveva assistito ad alcuna cessione di stupefacente dal L. al R.. Il possesso della sostanza, rinvenuta successivamente, nella macchina del R., non assumeva valenza decisiva, in quanto non si poteva escludere che il R. ne fosse stato già in possesso prima dell’incontro.

Il giudice di merito, con coerenti argomentazioni ha ritenuto che non si fosse trattato di un incontro casuale ma che la venuta del R. era stata preannunciata dalle telefonate nn. 38 e 42, tanto che gli operanti avevano potuto predisporre tempestivamente un servizio di osservazione e di pedinamento. L’episodio è stato ricostruito attraverso i movimenti dei protagonisti. Alla fine, dopo diversi spostamenti e dopo che il L. era salito sulla macchina del R. con la quale s’era recato a casa, mentre il R. lo attendeva al bar, i due si erano portati nei pressi dell’elettrauto " C.", dove si erano trattenuti per circa un quarto d’ora per poi salutarsi. Poichè erano stati tenuti sotto controllo ininterrottamente, non poteva esservi dubbi che la sostanza stupefacente, trovata immediatamente dopo in possesso del R., allorchè questi era stato fermato al casello di (OMISSIS), fosse stata consegnata dal L., non potendosela essere procurata diversamente il R. e non essendo logico ritenere che lo stesso fosse andato all’appuntamento con il L. con lo stupefacente in macchina.

– Capo 20). cessione a B.S. di un quantitativo imprecisato di cocaina. Nel corso di una telefonata intercettata, la n. 139, i due avevano parlato di chiavi di autovettura in riferimento al successivo incontro presso l’elettrauto " C.". La difesa aveva rilevato che la P.G. non aveva assistito ad alcuna cessione di stupefacente. Dalla telefonata n. 494 si rilevava che l’oggetto della stessa era rappresentato dalle autovetture. All’uso delle parole, non aveva fatto seguito alcun sequestro di droga.

Ha rilevato la Corte di merito che i due fatti erano stati ricostruiti attraverso le intercettazioni telefoniche e che certo era il riferimento delle conversazioni a fornitura di droga. Nella telefonata n. 119 il B. aveva fatto richiesta di droga al L., usando la parola "chiave"; a seguito di ciò era stato effettuato un servizio di osservazione da parte della Polizia che in tal modo aveva visto i due incontrarsi nei pressi dell’esercizio " C.", dove il L. era solito dare appuntamento ai suoi clienti e la riprova che in tale occasione era avvenuta la cessione di sostanza stupefacente era offerta dalla telefonata n. 494, nella quale il B. fa una nuova richiesta, usando una diversa metafora "CDP" , alludendo, però alla pregressa consegna del 12/3/2007, per ottenere lo stesso tipo di sostanza. Nella successiva telefonata n. 495 il B. prende accordo per vedersi nel pomeriggio dell’1/4/2007 per un’ulteriore cessione. Le analogie con le modalità della consegna di droga con il fatto di cui al capo 19), non lasciavano dubbi sulle finalità illecite degli incontri tra il L. ed il B..

– Capo 21), cessione al P. di una quantità imprecisata di cocaina, ha osservato la difesa che non vi era alcuna prova della cessione contestata al L., neppure sotto forma di offerta in vendita. Nell’incontro, brevissimo, susseguente alla telefonata, gli operanti non avevano assistito ad alcuna consegna di stupefacente dal L. al P., che, perquisito subito dopo, non veniva trovato in possesso di stupefacente.

Ha osservato la Corte che questo episodio era stato trattato quando era stato esaminato il capo 17) ascritto al P.; la P.G., presumendo che i due avessero fissato un appuntamento finalizzato alla cessione di droga, aveva organizzalo un servizio di osservazione in via (OMISSIS), dove era avvenuto un fugace incontro. Subito dopo aveva fermato il P. e lo aveva perquisito in Questura con esito negativo. Ma lo stesso P., intercettato, si era poi vantato di aver eluso il controllo, affermando di aver tenuto celato in mano lo stupefacente che aveva appena ricevuto dal L., compiacendosi a lungo per la sua freddezza e presenza di spirito nel raccontare ciò alla convivente e poi al R. e definendo i verbalizzanti, che lo avevano perquisito, "cretini".

– Capo 22), cessione a F.P. di 104 gr. di cocaina, aveva osservato la difesa che nella telefonata n. 255 del 7/4/2007 si parla di un invito a pranzo, nel corso del quale non era avvenuta alcuna cessione di sostanza.

Ebbene ha osservato la Corte distrettuale che l’episodio era stato ricostruito nei dettagli. Da conversazioni telefoniche s’evinceva che il L. aveva fissato un appuntamento a F.P. per la cessione di ovuli con il timbro rosso di migliore qualità.

L’incontro era avvenuto il 7/4/2007 in un ristorante e la cessione si era consumata dopo il pranzo. La P.G., che avevano predisposto un servizio di osservazione, non aveva perso di vista il F. che era stato pedinano fino al casello autostradale dove era stato fermato e trovalo in possesso di 11 ovuli con timbro rosso, contenenti gr. 110 di cocaina, evidentemente poco prima ricevuti dal L.. Ciò detto, il ricorso del L. si palesa inammissibile sotto due profili. In primo luogo, le censure mosse dalla difesa, così come quelle dell’ A., esprimono solo un dissenso rispetto alla ricostruzione del fatto (operata in modo conforme dal giudice di primo e secondo grado) ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che, come esposto, regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.

In secondo luogo, i motivi di ricorso sono sostanzialmente ripetitivi dei motivi di appello. Orbene questa Corte di legittimità ha più volte ribadito che "E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita conducente, a mente dell’art. 591, comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 5191 del 29/03/2000 Ud. (dep. 03/05/2000), Barone, Rv. 216473; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 34270 del 03/07/2007 Cc. (dep. 10/09/2007), Scicchitano, Rv. 236945;

Cass. Sez. 4, Sentenza n. 24949 del 11/04/2001 Ud. (dep. 20/06/2001), Riccardi, Rv. 219429).

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000), ciascuno, al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000= in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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