Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-04-2012, n. 5535 Contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.M. ha proposto al Tribunale di Genova domande di accertamento dell’invalidità, dell’inefficacia o della nullità del rogito per notaio F.E. 4 novembre 1996, avente ad oggetto la cessione del 35% delle quote della s.r.l. IRCES da esso R. ad U. e a A.R. (padre e figlio), e della successiva transazione stipulata con gli A. il 30 settembre 2002. Ha chiesto altresì la condanna del F. e degli A. al risarcimento dei danni per avere provocato le suddette invalidità.

A fondamento delle domande l’attore ha esposto che il 6 giugno 1995 il notaio F. ha redatto per suo conto: a) un rogito di trasferimento del 15% delle quote di IRCES da esso R. e da sua moglie ad A.U.; b) una scrittura privata tramite la quale il R. si è impegnato a trasferire un ulteriore 35% delle quote per il prezzo di L. 1.750.000.000, che sarebbe stato pagato quanto a L. 500.000.000 entro il dicembre 1995 e per la parte rimanente somministrando alla società i finanziamenti che si sarebbero resi via via necessari per lo svolgimento della sua attività, che comprendeva importanti e onerosi lavori di ristrutturazione del Palazzo (OMISSIS).

Altre scritture private redatte nella medesima data disponevano che vari immobili che figuravano intestati alla IRCES erano in realtà di proprietà esclusiva del R., sicchè il relativo valore non era compreso nel prezzo di vendita delle quote ed il proprietario effettivo avrebbe potuto disporne a suo piacimento, e che al R. personalmente spettava l’eventuale risarcimento dei danni dovuto dal Comune di Roma, ove egli fosse risultato vittorioso nella causa in corso con il Comune stesso (salvo una modesta percentuale da devolvere all’ A.).

Tali essendo gli accordi pregressi, redatti con la consulenza del notaio F., il 4 novembre 1996 quest’ultimo – invitato a formalizzarli – si è limitato a redigere un rogito di trasferimento del 35% delle quote di IRCES (che sono state intestate per il 10% ad A.U. e per il 25% al figlio di lui, A. R.); ha indicato il prezzo di L. 980 milioni anzichè quello effettivo, dichiarando che esso era stato interamente pagato e che il venditore ne rilasciava quietanza liberatoria, senza affatto menzionare i diversi accordi, gli obblighi di finanziamento della società, la riserva della proprietà degli immobili al cedente, ecc..

L’attore assumeva di non essersi accorto della difformità fra il contenuto del rogito, da lui sottoscritto, e gli impegni precedentemente presi dagli acquirenti fino ad alcuni anni dopo, allorchè gli A. hanno sospeso i finanziamenti alla società ed hanno mostrato di voler disattendere gli accordi di cui alle scritture private. Egli si è visto costretto, pertanto, ad addivenire ad una transazione per limitare i danni, con la quale gli è stata riconosciuta la proprietà degli immobili intestati alla società, ma ha dovuto accettare di offrirli in garanzia alle banche finanziatrici.

I convenuti hanno resistito alle domande, negando ogni responsabilità. Gli A. hanno affermato di avere ampiamente finanziato la società, dando in garanzia anche immobili personali, e di avere concluso la transazione solo per porre un limite alle richieste di finanziamento che si facevano sempre più esose.

Il notaio ha affermato che il rogito 4 novembre 1996 doveva formalizzare solo il trasferimento delle quote sociali, fermo restando il contenuto degli altri accordi, che restavano validi anche se non espressamente richiamati; che in ogni caso l’attore avrebbe dovuto proporre querela di falso nei confronti dell’atto pubblico che assume non conforme agli accordi.

Il Tribunale ha respinto tutte le domande attrici, ponendo a carico del soccombente le spese processuali.

Proposto appello principale dal R. e incidentale dal F., e rimasti contumaci gli A., la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza di primo grado, modificando solo l’importo della condanna alle spese in favore del notaio, in parziale accoglimento dell’appello incidentale.

Il R. propone quattro motivi di ricorso per cassazione.

Resiste il F. con controricorso illustrato da memoria.

Gli altri intimati non hanno depositato difese.

Motivi della decisione

1.- La sentenza impugnata ha respinto le domande di accertamento dell’invalidità del rogito 4 novembre 1996 e di responsabilità del notaio sul rilievo che – premessa l’improbabilità della tesi per cui l’appellante si sarebbe accorto solo a distanza di anni della difformità dell’atto pubblico dagli accordi intercorsi – l’atto notarile, quale atto pubblico, fa fede fino a querela di falso di quanto il notaio dichiara essere avvenuto in sua presenza; che nella specie la querela non è stata proposta, sicchè il ricorrente non può ricorrere ad altri mezzi di prova per dimostrare l’invalidità dell’atto; che la tesi per cui il professionista sarebbe stato comunque obbligato a trasfondere nel rogito l’intero contenuto degli accordi del 1995, in ragione del suo dovere di diligenza, non è sorretta da alcun elemento presuntivo, trattandosi di patti collegati, ma dotati di autonoma vigenza rispetto al contratto di cessione di quote; nè la circostanza poteva essere dimostrata per testimoni, non essendo la prova ammissibile in contrasto con il contenuto dell’atto pubblico.

2.- Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 1429 c.c., comma 1, nn. 1 e 2, artt. 1431, 2697 e 2700 cod. civ., artt. 112 e 116 cod. proc. civ., nonchè motivazione meramente apparente o contraddittoria ed illogica, il ricorrente assume che l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso solo di quanto il notaio assume essere avvenuto in sua presenza; non certifica la correttezza e la conformità al vero delle dichiarazioni rese al notaio dalle parti, il cui contenuto può essere dimostrato o contrastato con ogni mezzo di prova.

Assume che i capitoli di prova da lui dedotti e non ammessi tendevano a dimostrare che egli aveva conferito al notaio l’incarico di recepire nel rogito tutti gli accordi di cui alle scritture private del 6 giugno 1995; che il notaio si era reso inadempiente, in particolare per avere dichiarato nel rogito che l’intero prezzo delle quote cedute era stato pagato e che il cedente ne rilasciava quietanza liberatoria con rinuncia ad ogni eccezione, ben sapendo che il prezzo avrebbe dovuto essere in massima parte versato in futuro, tramite il finanziamento della società.

Assume ancora che l’errore in cui egli è incorso era ben conosciuto dall’ A., il quale ha ammesso davanti al PM, nel giudizio penale conseguito alla vicenda, di essere a conoscenza del fatto che il rogito notarile non corrispondeva alla realtà degli accordi; che la Corte di appello ha omesso di motivare sul rigetto delle sue domande di accertamento dell’invalidità del rogito per l’errore essenziale e riconoscibile nel quale egli è caduto sottoscrivendolo, e di accertamento dell’invalidità dell’accordo transattivo del 30 settembre 2002. 3.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 1362, 1366 e 2697 cod. civ., artt. 115, 116 e 132 cod. proc. civ., nella parte in cui la Corte di appello ha escluso che sia stato dato incarico al notaio di trasfondere nel rogito tutti gli accordi stipulati nel 1995 e non ha ammesso le prove dedotte in proposito.

4.- I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi, sono inammissibili per mancanza di specificità e di puntualizzazione delle censure, non risultando in che termini le norme di legge richiamate siano state violate.

Il ricorrente ha proposto indiscriminatamente azione di annullamento per errore, quanto al contenuto del rogito; azione di nullità del rogito medesimo per violazione da parte del notaio dell’obbligo di riportare tutti gli accordi intercorsi fra le parti; azione di responsabilità per danni contro il notaio e contro gli acquirenti;

azione di nullità o annullamento per violenza, della transazione, ecc, senza dedurre nè individuare distintamente i presupposti giuridici e di fatto a cui è subordinato l’accoglimento di ognuna delle suddette domande; senza dedurre e dimostrare di avere sottoposto all’esame dei giudici di merito l’accertamento dei suddetti presupposti e senza specificare quali di essi, e per quali ragioni, sarebbero stati dalla Corte di appello disattesi e quali principi giuridici sarebbero stati da essa violati. La Corte di appello ha rilevato che il rogito contestato fa fede fino a querela di falso di ciò che il notaio dichiara essere avvenuto in sua presenza e le censure del ricorrente sono prospettate in termini che non consentono di mettere in questione se non l’aspetto estrinseco del documento; non la corrispondenza al vero delle dichiarazioni rese dalle parti.

E’ appena il caso di ricordare che, tramite la sottoscrizione di un atto, la parte fa proprio e conferma il contenuto dell’atto medesimo, autorizzando a presumere che esso sia conforme alla sua volontà.

La prova contraria deve essere fornita dall’interessato e deve essere fondata su dati attendibili e non in contrasto con il principio di autoresponsabilità, in forza del quale la parte non può invocare in suo favore solo fatti e comportamenti interamente addebitabili a sua colpa, quali quello di non avere letto ciò che ha firmato.

Il mero fatto che esistessero precedenti scritture private di contenuto diverso rispetto a quello del rogito e che esse fossero conosciute dal notaio, non vale di per sè solo a dimostrare la nullità del rogito o la sua annullabilità per errore, trattandosi di premesse compatibili con una diversa qualificazione dei fatti: per esempio con la deduzione per cui le parti vollero deliberatamente evitare di tradurre nell’atto formale di cessione delle quote i loro effettivi accordi. (Tanto più quando si consideri che il prezzo indicato nel rogito è inferiore a quello effettivo; che per i primi anni il rapporto ha avuto esecuzione secondo le modalità concordate dalle parti con le scritture private, e che l’ A. non ha avuto difficoltà a riconoscere che il rogito non rispecchiava gli effettivi accordi).

I capitoli di prova dedotti dal ricorrente, che la Corte di appello ha dichiarato inammissibili, sono irrilevanti al fine di dimostrare sia la nullità/falsità del rogito, perchè non attengono a quanto avvenuto in presenza del notaio in occasione della redazione dell’atto; sia l’asserita annullabilità per errore del contratto di cessione, poichè non contengono alcuna circostanza significativa al fine di dimostrare che l’oggettiva difformità fra il contenuto del rogito ed i precedenti accordi è da ascrivere ad una falsa rappresentazione della realtà da parte del R., piuttosto che a una sua negligenza nella sottoscrizione dell’atto, od alla sua consapevole accettazione della simulazione del rogito.

Le doglianze del ricorrente non trovano riscontro, pertanto, nella deduzione di alcuna circostanza concreta e specifica, idonea a spiegare l’accaduto ed a giustificare l’errore.

E’ appena il caso di ricordare che il requisito della specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulla nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 cod. proc. civ., comma 2).

Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati, come il ricorso per cassazione, e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione – nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 cod. proc. civ., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente) – comportano che il motivo di ricorso deve necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad illustrarlo (Cass. civ. 4 marzo 2005 n. 4 7 41; Cass. civ. 13 marzo 2009 n. 6184).

5.- Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 1438 cod. civ. e art. 115 cod. proc. civ., nonchè motivazione apparente in merito al rigetto della domanda di annullabilità della transazione per violenza.

5.1.- Quanto alle violazioni di legge, anche questo motivo è inammissibile per difetto di specificità, poichè non indica quale sia il principio giuridico erroneamente affermato o applicato dalla sentenza impugnata.

Quanto all’esclusione ad opera della Corte di appello degli estremi della violenza morale, il relativo accertamento attiene al merito della vertenza ed è cotanto incensurabile in sede di legittimità, ove non siano prospettati vizi di illogicità od insufficienza della motivazione.

La corte di appello ha rilevato a tal proposito che "stante il contenuto dell’atto notarile, gli A. si erano limitati ad avvalersi della clausola secondo le conseguenze proprie dell’ordinamento e non certo per conseguire vantaggi abnormi (andrebbe altresì rilevato che dalla transazione non pare che gli A. si siano intesi avvalere de plano della clausola, atteso che nella stessa le parti danno atto di pattuizioni di importi maggiori a titolo di prezzo di cessione delle quote rispetto alle somme risultanti dall’atto notarile e rispetto a detti maggiori importi le parti hanno regolato i rapporti, e tale rilievo rende ancor meno prospettabile lo stesso nesso causale fra l’avvalersi da parte degli A. della quietanza di pagamento di cui al rogito e la coazione del R. ad addivenire alla transazione del 30.9.1992".

Il ricorrente non specifica se ed in quali termini la suddetta motivazione sarebbe affetta da illogicità od incongruenze, ma si limita, nella sostanza, a contestarne nel merito le valutazioni e la scelta decisionale.

6.- Il quarto motivo, con cui il ricorrente lamenta violazione dell’art. 1218 c.c., art. 1325 c.c., n. 1, artt. 2697 e 2700 cod. civ., nonchè vizi di motivazione, per avere la Corte di appello escluso ogni responsabilità del notaio, pur avendo egli redatto un atto difforme da quello voluto dalle parti, deve essere respinto, essendone risultati infondati i presupposti, cioè gli addebiti di negligenza di cui al primo motivo.

7.- Il ricorso deve essere rigettato.

8.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *