Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-04-2012, n. 5524 Decreto ingiuntivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 13.7.1998, S.M., quale legale rappresentante della ditta Bar Stop in (OMISSIS), proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Pretore di Fano in data 21.5.98 a favore della società De Blasi s.p.a. per l’importo di L. 22.209.685 oltre interessi, a seguito di pretesa creditoria per forniture di mobili di arredo, importo di cui alla sentenza n. 413/97 della Corte d’Appello di Ancona e di cui alla sentenza n. 12077/2000 della Corte di Cassazione.

Costituitasi la De Blasi s.p.a., l’adito Tribunale di Pesaro – sezione distaccata di Fano, con decisione n. 177/2002, in accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo opposto (con rigetto della domanda riconvenzionale dell’opponente), condannando però l’opponente "a corrispondere all’opposta la somma di L. 8.347.000, pari ad Euro 4.310,87 oltre interessi convenzionali, pari ai tassi bancari medi mensili sugli impieghi a breve termine in Lire, ricavabili dalla Base Informativa Pubblica a cura della Banca d’Italia, maggiorati di due punti, dal 7.2.1991 al saldo".

A seguito dell’appello della S., costituitasi la società De Blasi, la Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza in esame, depositata in data 13.11.2009, rigettava il gravame e confermava quanto statuito in primo grado; affermavano in particolare i giudici di secondo grado, dopo aver ritenuto inammissibile la produzione dell’appellante effettuata in sede di precisazione delle conclusioni e comunque oltre la prima udienza, che correttamente il Tribunale aveva liquidato gli interessi convenzionali in questione anche sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio. Ricorre per cassazione la S. con tre motivi; resiste con controricorso la società intimata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, in ordine alla ritenuta inammissibilità della produzione documentale di parte ricorrente prodotta in appello in sede di precisazione delle conclusioni, trattandosi di documenti "indispensabili".

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.; si afferma che "nel caso di specie, controparte in tutti i propri atti difensivi, ha unicamente chiesto al Tribunale adito la conferma del decreto ingiuntivo opposto e solo in seguito, tardivamente, ha modificato e non semplicemente emendato la propria domanda".

Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 1284 c.c. e art. 115 c.p.c., con riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio nonchè alla clausola del contratto "d.d. 2.9.1987"; si afferma che "erroneamente, poi, la Corte d’Appello di Ancona sostiene la correttezza dell’operato del Giudice di primo grado che illogicamente ed immotivamente si è avvalso dello strumento della consulenza tecnica di ufficio al fine di operare il calcolo matematico degli interessi convenzionali dovuti sulla base della scrittura privata d.d. 2.9.1987 e tanto per due ragioni: la nullità della clausola per mancanza di determinazione di misura degli interessi dovuti; la valenza attribuita alla consulenza di ufficio come prova".

Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte censure.

Infondato è il primo motivo. Correttamente, infatti, la sentenza impugnata ha statuito "l’inammissibilità della documentazione prodotta dall’appellata in sede di precisazione delle conclusioni.

Ciò in quanto, anche a voler considerare sussistenti i presupposti per l’ammissibilità della prova nuova in appello, di cui all’art. 345 c.p.c., tale produzione doveva essere effettuata in uno con la costituzione in appello o, per quello formato in data successiva, alla prima udienza". In proposito deve ribadirsi quanto già statuito da questa Corte, secondo cui la facoltà di produrre nuovi documenti in appello è ammessa dall’art. 345 c.p.c., comma 3, già nella formulazione di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52, applicabile ratione temporis, purchè essa avvenga non nel corso del giudizio di secondo grado, ma in sede di costituzione, come prescritto, a pena di decadenza, dal codice di rito e così trovando applicazione il disposto degli artt. 163 e 166 c.p.c., richiamati dall’art. 342 c.p.c., comma 1 e art. 347 c.p.c., comma 1, tenuto conto dell’esigenza di concentrare le attività assertive e probatorie nella fase iniziale del procedimento (a meno che la formazione documentale da esibire non ne sia successiva) e avuto riguardo all’assenza di richiami, nella disciplina del grado di giudizio, alla disposizione dell’art. 184 c.p.c. (sul punto, tra le altre, Cass. n. 12731/2011).

Del resto, la ricorrente, mancando il ricorso di autosufficienza in relazione all’art. 366 c.p.c., n. 6, non ha indicato specificamente gli atti e i documenti ritenuti indispensabili ai fini di una "diversa" decisione nè le esatte modalità formali di detta "proposta", fermo restando che i documenti "non indispensabili" non possono essere successivamente prodotti e se "indispensabili" possono essere prodotti (fino all’udienza di precisazione delle conclusioni) solo se in quanto formatisi successivamente non era stato possibile produrli prima (ma di ciò il ricorrente non ha fornito alcun riscontro).

Inammissibili sono il secondo e terzo motivo.

Quanto al secondo motivo si osserva: a parte la considerazione che risultano "accorpate" più norme ( artt. 112, 115 e 116 c.p.c.) aventi ciascuna un campo autonomo di indagine, in modo tale da non consentire a questa Corte di comprendere quale violazione specifica viene dedotta in relazione alla sentenza impugnata, il ricorso con particolare riferimento alla maggiormente argomentata violazione dell’art. 112 c.p.c., manca di autosufficienza in quanto non indica in modo puntuale i termini della non corrispondenza tra "chiesto" e "pronunciato" (e ciò fermo restando che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si sviluppa come un ordinario giudizio di cognizione, in cui il giudice esamina il rapporto giuridico controverso nella sua complessità e non solo la conformità a legge della pronunzia del decreto, con la conseguenza che la richiesta di conferma del decreto ingiuntivo opposto "include" la richiesta di condanna al pagamento del credito che può essere pronunciata pur in mancanza di esplicita domanda in tal senso).

Con riferimento, infine, al terzo motivo: va rilevato che la questione, con riferimento all’art. 1284 c.c., risulta nuova e quindi improponibile, mentre del tutto generiche sono le doglianze sulla discrezionale valutazione spettante al giudice del merito in ordine ai dati peritali della consulenza tecnica d’ufficio.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese della presente fase che liquida in complessivi Euro 3.700,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessorie come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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