Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-04-2012, n. 5508 Successione

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 5-3-2002 M.N. M.C. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Rieti il fratello M.N.A. e la cognata P. M.L. formulando nei loro confronti una serie di domande conseguenti alla apertura delle successioni di M.M. N. e F.C., genitori di M.L. ed A. M.N..

L’attrice in particolare chiedeva la declaratoria di nullità dei testamenti olografi redatti dai suddetti genitori entrambi il giorno 26-2-1992 in quanto testamenti congiuntivi vietati dall’art. 589 c.c., ovvero frutto di un patto successorio pure vietato dall’art. 458 c.c., con conseguente declaratoria di apertura della successione legittima dei due defunti genitori, divisione dell’asse ereditario con formazione delle porzioni ed attribuzione delle stesse ai coeredi, ed inoltre la declaratoria di nullità della disposizione contenuta nel testamento della F. relativa al distributore di carburante sito in (OMISSIS), in quanto acquistato dall’esponente con atto del 19-6-1987, con condanna del convenuto al rilascio; chiedeva inoltre dichiararsi aperta la successione legittima di beni di cui sia il padre che la madre non avevano disposto con i rispettivi testamenti; chiedeva poi dichiararsi la simulazione delle vendite di alcuni beni immobili effettuate dalla madre al figlio A. ed alla P. in quanto dissimulanti delle donazioni, e di conseguenza la riduzione delle disposizioni stesse ove lesive della sua quota di legittima.

I convenuti costituendosi in giudizio contestavano il fondamento delle domande attrici di cui chiedevano il rigetto; in via riconvenzionale M.N.A. chiedeva dichiararsi la simulazione in ordine ad alcune vendite immobiliari operate dal padre nei confronti della sorella in quanto dissimulanti delle donazioni.

Al presente procedimento veniva poi riunito quello pendente tra le stesse parti ed instaurato da M.N.M.C. nei confronti del fratello A. con atto di citazione notificato il 14-5-2002 con il quale chiedeva dichiararsi la simulazione, con successiva collazione, di una serie di apparenti vendite di immobili, in realtà donazioni dirette od indirette da parte dei genitori in favore del figlio A., in quanto idonee a ledere la sua quota di legittima.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto di tale domanda in quanto inammissibile e comunque infondata.

Con sentenza non definitiva del 13-1-2005 il Tribunale adito rigettava le domande attrici di impugnazione dei menzionati testamenti, di declaratoria di simulazione degli atti di vendita ivi specificati, di attribuzione di beni residui caduti nelle successioni di M.N.M. e della F. secondo le norme della successione legittima e di rendiconto, in parziale – accoglimento della domanda di cui al giudizio riunito dichiarava la simulazione, in quanto dissimulanti delle donazioni, dei contratti di vendita espressamente indicati in dispositivo, e con separata ordinanza disponeva la prosecuzione dell’istruttoria al fine di verificare l’eventuale lesione della legittima spettante a M. M.N.C. effettuando la stima del valore dei beni devoluti per testamento a favore di M.N. A. e di quelli a lui trasferiti in vita dai genitori mediante le suddette dissimulate donazioni, e parimenti di verificare l’eventuale lesione della quota di legittima di M. N.A. effettuando la stima del valore dei beni relativi alle vendite simulate in favore di M.M.C. N..

Proposta impugnazione da parte di M.M.C. N. cui resisteva M.N.A. e la P. che formulavano anche appello incidentale la Corte di Appello di Roma con sentenza del 29-1-2008, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la simulazione in quanto dissimulanti donazioni dirette o indirette degli atti del 27-2-1970 e del 22-12-1972 aventi ad oggetto due appezzamenti di terreno in (OMISSIS), ha attribuito in parti uguali a M.N. M.C. ed M.N.A.due poderi in Comune di (OMISSIS), un appartamento in (OMISSIS), il distributore in (OMISSIS) e la metà di un locale sito sul (OMISSIS), ha respinto nel resto il gravame principale, ha rigettato il gravame incidentale, ed ha disposto che i beni suindicati, oltre quelli indicati nella sentenza impugnata, venissero sottoposti a stima, unitamente a quelli residui, non devoluti per testamento, mediante CTU da effettuarsi nel giudizio in corso in primo grado.

Per la cassazione di tale sentenza M.N.A. ha proposto un ricorso basato su quattro motivi cui M. N.M.C. ha resistito con controricorso introducendo altresì un ricorso incidentate articolato in nove motivi cui il ricorrente principale e la P. hanno resistito con controricorso; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo M.N.A., deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto simulati gli atti di compravendita del 27-2-1970 e del 22-12-1972 in quanto dissimulanti delle donazioni da parte del padre in favore dell’esponente avvalendosi delle stesse presunzioni che avevano indotto il giudice di primo grado a ritenere simulati altri atti di vendita intervenuti tra gli stessi soggetti allorchè M.N.A. era minorenne e privo di redditi, assimilando quindi situazioni diverse, posto che all’epoca di stipulazione degli atti sopra menzionati l’istante disponeva di proprie risorse finanziarie derivategli da risparmi, dal realizzo di almeno due polizze vita stipulate da parenti nonchè dalla collaborazione retribuita quale pubblicista a due riviste di motociclismo.

Con il secondo motivo il ricorrente principale, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., assume, con riferimento alla statuizione del giudice di appello impugnata con il precedente motivo, che i criteri caratteristici delle presunzione (ovvero gravità, precisione e concordanza) erano stati applicati ad una fattispecie concreta non ascrivibile a quella astratta.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

La Corte territoriale ha ritenuto che anche i due suddetti atti di compravendita costituivano delle donazioni dirette, con riferimento ai beni di proprietà del padre dell’appellato, ed indirette, con riguardo a beni immobili di proprietà di terzi ( S.A.) in favore dell’appellato medesimo, come si poteva evincere anche dalla qualità dei beni venduti, affermando in proposito che le considerazioni svolte nella sentenza di primo grado relativamente alla dichiarata simulazione di altri atti di donazione ivi indicati erano valide anche per tali negozi; pertanto il giudice di appello, avendo considerato che M.N.A. all’epoca della stipulazione dei predetti atti di compravendita, per l’età ancora piuttosto giovane e quindi per l’esiguità delle sue risorse finanziarie, non era in grado di corrispondere il prezzo relativo a tali atti, valorizzando quindi elementi idonei ad un apprezzamento di carattere presuntivo, ha posto in essere un accertamento di fatto sorretto da sufficiente e logica motivazione, come tale incensurabile in tale sede.

Con il terzo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 467 e 468 c.c., sostiene che la sentenza impugnata, pronunciando sulla domanda introdotta dalla controparte di devoluzione "ex lege" dei beni immobili che la F. aveva lasciato per testamento al coniuge a lei premorto, ha erroneamente applicato l’istituto della rappresentazione, statuendo che a M.N.M. subentravano i figli A. e M.C. "pro quota"; infatti l’indicazione dei soggetti a favore dei quali ha luogo la rappresentazione è tassativa, cosicchè tale istituto non opera quando la persona cui ci si vuole sostituire non è un discendente, fratello o sorella del defunto, ma il coniuge del "de cuius"; il ricorrente principale quindi sostiene che l’inoperatività della rappresentazione comporta nella fattispecie l’applicazione dell’istituto dell’accrescimento.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato M. N.M.C., deducendo violazione degli artt. 467, 523, 674 e 677 c.c., nell’ipotesi di ritenuta fondatezza del terzo motivo di ricorso principale, afferma che, in caso di premorienza dell’erede testamentario istituito, ove il testatore non abbia disposto la sua sostituzione e risulti inapplicabile la rappresentazione, occorrerà applicare in via analogica l’art. 523 c.c.; orbene nella specie, non sussistendo i presupposti per l’applicazione dell’istituto dell’accrescimento, posto che i due eredi testamentari (coniuge e figlio) erano stati istituiti per quote diseguali, trova applicazione la successione intestata.

Premesso che gli enunciati motivi devono essere esaminati contestualmente per ragioni di connessione, si ritiene la fondatezza del terzo motivo del ricorso principale nei limiti che saranno precisati e l’assorbimento dell’unico motivo di ricorso condizionato.

La Corte territoriale ha affermato, con riferimento al testamento olografo con il quale la F. aveva istituito eredi il coniuge ed il figlio A., che a seguito della premorienza del marito della testatrice trovava applicazione l’istituto della rappresentazione, e che conseguentemente a M.N.M. subentravano "pro quota" i figli A. e M.C..

L’assunto è erroneo, posto il coniuge non è previsto dagli artt. 467 e 468 c.c. tra i soggetti per i quali opera la rappresentazione, e che l’indicazione dei soggetti a favore dei quali ha luogo la successione per rappresentazione è tassativa, essendo il risultato d’una scelta operata dal legislatore, sicchè non è data rappresentazione quando la persona cui ci si vuole sostituire non è un discendente, fratello o sorella del defunto, ma il coniuge di questi (Cass. 30-5-1990 n. 5077); è pertanto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 468 c.c. per violazione degli artt. 3 e 29 Cost. sollevata dalla ricorrente incidentale, in quanto sono stabiliti limiti soggettivi, in tema di rappresentazione, a proposito sia del rappresentato che del rappresentante (Cass. 11-4-1975 n. 1366); tale assunto del resto è stato confermato sia pure indirettamente dall’ordinanza n. 15 del 2006 della Corte Costituzionale che ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 c.c., sollevata per irragionevole disparità di trattamento, in via principale, nella parte in cui escludono il coniuge di colui che non abbia potuto accettare l’eredità dal novero dei soggetti (discendenti legittimi o naturali) che possono succedere per rappresentazione al "de cuius", e, in via subordinata, nella parte in cui gli stessi articoli escludono che, in mancanza di discendenti dei figli legittimi, legittimati o adottivi del "de cuius", possa succedere per rappresentazione il coniuge del soggetto che non ha potuto accettare l’eredità; invero, tenuto conto delle varie possibilità di bilanciamento nella scelta di ampliare le categorie di soggetti che possono succedere per rappresentazione al "de cuius", è stato ritenuto che l’intervento richiesto appartiene alla discrezionalità legislativa, coinvolgendo una valutazione complessiva eccedente i poteri della Corte Costituzionale, con argomentazioni quindi valorizzatali anche nella fattispecie.

Pertanto la mancata operatività della rappresentazione comporta la necessità di verificare se sussistono i presupposti per l’applicazione dell’istituto dell’accrescimento di cui all’art. 674 c.c.; in proposito si impone uno specifico accertamento in sede di rinvio in ordine alla sussistenza, nel testamento della F. (oltre che dell’elemento pacifico della chiamata nello stesso testamento del coniuge e del figlio A.) del requisito della chiamata dei due suddetti eredi senza determinazioni di parti o in parti uguali, ovvero della "coniunctio re" (art. 674 c.c., comma 1), posto che dalla lettura della sentenza impugnata non è possibile desumere la ricorrenza di tale requisito; è poi appena il caso di rilevare che solo se non ha luogo l’accrescimento, si dovrà applicare la successione legittima (art. 677 c.c., comma 1).

Con il quarto motivo il ricorrente principale, denunciando violazione e/o falsa applicazione delle norme sull’interpretazione del contratto ed omessa motivazione, assume che, in relazione alla ritenuta simulazione di alcune vendite immobiliari avvenute negli anni 1951- 1954-1955 e 1962 tra il padre ed il figlio A. in quanto dissimulanti donazioni in favore di quest’ultimo, il giudice di appello non ha fornito alcuna argomentazione al riguardo e non ha tenuto conto che si trattava di intestazioni fiduciarie per motivi di ordine fiscale, e che, venute meno tali esigenze, l’esponente aveva ritrasferito la proprietà di detti beni con rogito del 7-11-1968 alla madre, che a sua volta li aveva ceduti a terzi.

La censura è inammissibile.

Invero con il motivo in esame il ricorrente principale, prospettando la natura fiduciaria di alcune intestazioni di immobili in suo favore tramite compravendite stipulate con M.N.M., solleva una questione giuridica, implicante degli accertamenti di fatto, che non risulta trattata nella sentenza impugnata; pertanto il ricorrente principale, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Venendo a tal punto all’esame del ricorso incidentale, si rileva che con il primo motivo M.N.M.C., denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 589 c.c., afferma che erroneamente la Corte territoriale ha escluso nella fattispecie la ricorrenza del testamento collettivo in quanto i due testamenti olografi lasciati da M.N.M. e da F.C. erano stati redatti in due documenti separati invece che in un unico atto scritto, in tal modo intendendo delineare la differenza tra testamenti corrispettivi (leciti) e testamento collettivo (nudo) nel dato formale del documento in cui il testamento è incorporato, trattandosi di due documenti nei testamenti reciproci e di un documento nel testamento collettivo; invero, considerato che l’unica "ratio" possibile della norma sopra menzionata risiede nella tutela del principio di personalità del testamento, ne consegue che, in presenza di due testamenti olografi coevi e di identico contenuto redatti da due coniugi conviventi da oltre quaranta anni, non si possa escludere la reciproca influenza dei due testatori.

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha premesso che ricorre il testamento collettivo allorchè due o più persone dispongano insieme della propria successione, con la conseguenza che ciascuna di esse non potrebbe da sola revocare le proprie disposizioni testamentarie, e che il testamento collettivo, involgendo la tematica della revoca del testamento, è sanzionato di nullità poichè formulato in violazione di tale principio; ha quindi escluso nella fattispecie la sussistenza del testamento collettivo, considerato che non ricorreva l’ipotesi di un documento unitario, avendo M.N.M. e F.C. disposto dei loro beni con due testamenti olografi di stile e contenuto diverso.

Tale convincimento è pienamente condivisibile.

Premesso che l’art. 689 c.c. dispone che "Non si può fare testamento da due o più persone nel medesimo atto, nè a vantaggio di un terzo, nè con disposizione reciproca", si ritiene comunemente che tale norma distingua l’ipotesi del testamento congiuntivo semplice, che si realizza quando due o più persone dispongano a favore di un terzo, e del testamento congiuntivo reciproco, che ricorre quando ciascuno dei testatori disponga reciprocamente a vantaggio dell’altro.

In dottrina si discute se la nullità prevista da tale norma sia di natura sostanziale, nel senso di garantire la libertà e la spontaneità della disposizione testamentaria e renderne possibile anche la revoca, ovvero di natura formale, avuto riguardo alla volontà del legislatore di configurare il testamento come dichiarazione riconducibile ad un solo soggetto.

Tale ultima impostazione appare preferibile in quanto più rispondente alla "ratio" della disposizione in esame, in quanto le due ipotesi ivi contemplate vengono sanzionate con la nullità a prescindere da una qualsiasi indagine sulla sussistenza di un accordo tra i testatori a disporre dei propri beni in un determinato modo;

invero proprio l’esigenza di salvaguardare la spontaneità della volontà del testatore e la libertà di revoca delle disposizioni testamentarie ha indotto il legislatore a stabilire una presunzione assoluta di una mancanza di libera e spontanea espressione della volontà dei testatori per aver disposto "nel medesimo atto" nelle due forme del testamento congiuntivo semplice o del testamento congiuntivo reciproco, senza quindi consentire di provare che la congiunzione delle disposizioni testamentarie sia un fatto meramente estrinseco e non abbia compromesso la libera volontà dei disponenti;

pertanto la norma in esame sanziona di nullità l’ipotesi di un unico testamento contenente due o più sottoscrizioni in violazione dei requisiti formali richiesti per il testamento olografo dall’art. 602 c.c., dove è evidente il richiamo ad una attività di redazione e sottoscrizione dell’atto da parte di un unico soggetto.

Dalle considerazioni esposte consegue logicamente che la nullità suddetta non può estendersi all’ipotesi di due testamenti redatti con separati atti dai testatori, come appunto nella fattispecie, in quanto il legislatore ha ritenuto espressamente di prevedere tale grave sanzione soltanto nei casi sopra enunciati, non ricorrendo evidentemente in presenza di schede testamentarie separate quella presunzione assoluta di mancanza di una libera estrinsecazione della volontà dei testatori propria del testamento congiuntivo, legata quindi alla manifestazione di volontà dei testatori in un documento unitario (Cass. 18-7-1959 n. 2364); del resto l’assunto in ordine all’interpretazione rigorosamente restrittiva del divieto prescritto dalla norma in esame è confortato dai rilievo che è comunemente ritenuto che non tutti i testamenti contenuti "nel medesimo atto" sono soggetti alla sanzione della nullità, non dubitandosi della legittimità dei testamenti cosiddetti simultanei, ovvero di quelle dichiarazioni di ultima volontà contenute in un medesimo documento, ma autonome tra di loro.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale, deducendo nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.c., n. 4, rileva che il giudice di appello con motivazione meramente apparente ha escluso che i due suddetti testamenti configurassero un patto successorio nullo ai sensi dell’art. 458 c.c..

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha escluso che i suddetti testamenti olografi rispettivamente posti in essere da M.N.M. e da F.C. configurassero un patto successorio finalizzato ad escludere la figlia M.C. dalla successione testamentaria;

premesso che l’art. 458 c.c. ha come finalità quella di evitare che la libera volontà del testatore sia menomata in conseguenza di un patto che incida sull’oggetto della successione, ha ritenuto che nella specie una tale ipotesi non emergeva dagli elementi evidenziati dall’appellante, privi di valore anche indiziario della sussistenza di un patto successorio, rimanendo così l’allegazione priva di alcun riscontro probatorio valido a dimostrarne l’esistenza; invero, stante il tenore delle due schede testamentarie, doveva escludersi che esse si integrassero a vicenda e che tra di esse vi fosse correlazione.

Orbene con tali argomentazioni la sentenza impugnata ha escluso anche sotto un profilo meramente indiziario la prova di un patto successorio nei termini invocati dalla appellante, in quanto evidentemente i due testamenti olografi posti in essere da M. M.N. e da F.C., ritenuti di stile e di contenuto diverso, non evidenziavano di per sè la pregressa sussistenza di una convenzione tra i due testatori avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora aperta, così da poter ritenere che i due testamenti rispettivamente redatti costituissero l’attuazione dell’intento delle parti di disporre in tutto o in parte dei propri beni per il tempo successivo alla propria morte al fine, tra di esse convenuto, di escluderne la figlia; si è quindi in presenza di un accertamento di fatto sorretto da sufficiente e logica motivazione; in particolare deve escludersi che sussista l’ipotesi di una motivazione apparente, essendo quest’ultima rilevabile solo quando il giudice ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, e non invece nel caso di valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte, come appunto nella fattispecie.

Con il terzo motivo la ricorrente incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 734 c.c., censura la sentenza impugnata per aver disatteso il motivo di appello con il quale era stato dedotto che i suddetti testamenti non avevano ad oggetto tutti i beni di proprietà dei due testatori, e che quindi i residui beni avrebbero dovuto essere devoluti secondo le norme che regolano la successione legittima; infatti nessuno dei due testatori aveva disposto dell’intero suo patrimonio, trattandosi in entrambi i casi di "istitutio ex re certa", essendo stati i due eredi istituiti per beni determinati.

Con il quarto motivo la ricorrente incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 587 e 1362 c.c., assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che nei due suddetti testamenti M.N.A. era stato istituito quale erede universale, in contrasto sia con le singole disposizioni che con il tenore globale dell’atto; del pari erroneamente è stato affermato che i due testatori, dopo aver menzionato la "finta vendita" in favore della figlia M.C., con l’identica espressione in entrambi i testamenti "ritengo che…abbia avuto molto di più di quanto le sarebbe spettato per legittima…", avessero voluto evidenziare l’intervenuta soddisfazione delle ragioni successorie dell’esponente in vita;

invero l’interpretazione letterale delle suddette disposizioni, unita alla considerazione del grado di cultura generale medio – alta di entrambi i testatori, induceva a ritenere che questi ultimi avevano inteso affermare che la figlia, in base ai conti fatti, aveva già avuto a sufficienza per soddisfare le sue ragioni di legittimarla, e che quindi avevano voluto escluderla dalla successione nella quota disponibile.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

Il giudice di appello ha affermato che dalla lettura delle due schede testamentarie emergeva che i due genitori avevano voluto istituire eredi il figlio A. ed il rispettivo coniuge, posto che i due testamenti esordivano con la medesima espressione, indicante la volontà di disporre di tutti i loro beni per il tempo successivo alla loro morte; pertanto l’istituzione del figlio doveva essere intesa a titolo universale; ha poi aggiunto che tale volontà era confermata dal fatto che la figlia M.C. era citata nel testamento unicamente in relazione ad atti tra vivi compiuti dai due testatori in suo favore, integranti la legittima; ha quindi concluso che l’attribuzione di tutti i residui beni non ulteriormente specificati dei quali il testatore non abbia disposto a titolo particolare, come nella fattispecie, costituisce disposizione a titolo universale di una quota del patrimonio ereditario, dunque spettante come tale all’erede nominato A..

Orbene l’interpretazione dei suddetti testamenti olografi da parte della Corte territoriale si traduce in un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, avendo valorizzato l’elemento testuale nonchè l’interpretazione coordinata delle disposizioni contenute nei due testamenti in ordine alla individuazione dei due eredi istituiti in essi (ovvero il figlio A. e l’altro coniuge) con riferimento all’intero patrimonio ereditario, avendo ritenuto che i due testatori avevano inteso disporre con tali atti di tutti i loro beni (con conseguente esclusione della successione legittima ai sensi dell’art. 457 c.c.), ed avevano voluto escludere dalla successione la figlia M. C., come si evinceva dalla puntualizzazione contenuta in entrambe le schede testamentarie secondo cui quest’ultima aveva ottenuto attraverso le disposizioni patrimoniali effettuate in suo favore dai genitori molto di più di quanto le sarebbe spettato a titolo di legittima; pertanto le censure sollevate al riguardo dalla ricorrente incidentale si limitano inammissibilmente a prospettare una interpretazione dei predetti testamenti ad essa più favorevole, senza specificare in concreto le modalità con le quali il giudice di merito si sarebbe discostato dai canoni ermeneutici asseritamente violati; occorre poi rilevare la novità della questione sollevata tramite la denuncia della violazione e falsa applicazione dell’art. 734 c.c., non risultando che nel giudizio di appello si sia mai dibattuto di una divisione fatta dal testatore.

Con il quinto motivo la ricorrente incidentale, deducendo nullità della sentenza per omessa pronuncia, assume che la sentenza impugnata non ha esaminato il motivo di appello con il quale l’esponente aveva chiesto la declaratoria di nullità del testamento della F. nella parte in cui aveva disposto di un distributore di carburante che l’appellante principale aveva acquistato dalla madre insieme alla nuda proprietà dell’immobile di cui faceva parte con atto del 19-6- 1987.

Con il sesto motivo la ricorrente incidentale, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1346 e 1470 c.c., sostiene che erroneamente il giudice di appello, con riferimento all’atto del 19-6- 1987 già menzionato nel precedente motivo, ha ritenuto che l’esponente aveva acquistato dalla madre unicamente il fabbricato limitrofo (particella 296) al distributore di cui si trattava, costruito su terreno contraddistinto dalla particella catastale 445 del foglio 121, da considerarsi autonomo e non di pertinenza del fabbricato; in realtà dall’esame dell’estratto di mappa del foglio 121 del Comune di (OMISSIS) risultava che i confini indicati nell’atto delimitavano tre lati del perimetro dell’area in contestazione, e che quindi si era in presenza di confini certi in contrapposizione a dati catastali incerti.

Le enunciate censure, da esaminare congiuntamente in quanto connesse, sono infondate.

Sotto un primo profilo è agevole rilevare che la sentenza impugnata ha espressamente esaminato il motivo di appello con il quale l’appellante principale aveva dedotto che erroneamente il giudice di primo grado aveva respinto la domanda di nullità del testamento di F.C. relativamente alla disposizione riguardante il distributore di carburante sito in (OMISSIS), sul presupposto che detto bene non sarebbe stato di proprietà della testatrice per aver acquistato M.N.M.C. dalla madre la nuda proprietà dell’immobile con atto del 19-6-1987;

pertanto la dedotta violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato non sussiste.

La Corte territoriale, inoltre, nel confermate in proposito la statuizione del giudice di primo grado, ha ritenuto che l’appellante principale aveva acquistato con l’atto sopra indicato soltanto il fabbricato limitrofo (particella 296) al distributore, costruito su terreno definito dalla particella catastale 445 del foglio 121, da considerarsi autonomo e non di pertinenza del fabbricato, trattandosi di area destinata a tale servizio quantomeno dal 1963, come era emerso dal decreto prefettizio di autorizzazione a F.C. per la vendita di carburanti, attività continuata fino alla morte di quest’ultima e poi proseguita dal figlio A.; pertanto la sentenza impugnata ha esaurientemente indicato le fonti del proprio convincimento, facendo riferimento non solo ai dati catastali (la cui indicazione, unitamente a quella delle mappe censuarie, può comunque costituire elemento sufficiente per la individuazione dell’immobile, Cass. 20-3-2006 n. 6166), ma anche alla concreta destinazione del suddetto distributore, del tutto autonoma da quella dell’immobile oggetto della vendita del 19-6-1987, statuizione quest’ultima non oggetto di specifiche censure.

Con il settimo motivo la ricorrente incidentale, deducendo violazione dell’art. 345 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver respinto il motivo di appello con il quale l’esponente aveva chiesto l’accoglimento della domanda di simulazione di alcuni atti di vendita stipulati nel 1998, nel 1999 e nel 2001 tra la F. ed il figlio A. e/o la P., avendo affermato che il prezzo era stato versato a mezzo di assegni circolari non trasferibili riscossi dall’intestataria F. (come accertato in sede di CTU grafologica che aveva verificato l’appartenenza alla "de cuius" delle firme apposte per girata degli assegni circolari non trasferibili a lei intestati e posti all’incasso), e che ogni altra prospettazione anche in diritto era inammissibile perchè formulata per la prima volta in appello; orbene la domanda di verificazione della quietanza rilasciata dalla F. per l’atto di vendita del 2001 con scrittura privata successiva all’atto stesso non avrebbe potuto essere introdotta prima della sentenza di primo grado che ne aveva pronunciato la verificazione, mentre le altre richieste istruttorie erano già state formulate nel giudizio di primo grado.

La censura è infondata. il giudice di appello ha affermato, con riferimento ai sopra richiamati atti di compravendita, che il relativo prezzo era stato versato a mezzo di assegni circolari non trasferibili, riscossi dall’intestataria F.C., come accertato in sede di CTU grafologica in ordine alla appartenenza alla "de cuius" delle firme apposte per girata sugli assegni non trasferibili a lei intestati e posti all’incasso; alla luce quindi della prova del pagamento del prezzo convenuto tra le parti ha ritenuto logicamente superate le questioni sollevate (e riproposte con il motivo in esame senza censurare l’enunciata "ratio decidendi") in quanto riguardanti elementi prospettati come indiziari di simulazione, ma che non apparivano tali, e comunque irrilevanti.

Con l’ottavo motivo la ricorrente incidentale, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1417 c.c., censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che alcuni atti di compravendita stipulati tra l’esponente ed i suoi genitori e/o terze persone erano simulati in quanto dissimulanti delle donazioni in favore di M. M.N.C.; invero, poichè A. M.N. non aveva mai dedotto la lesione della sua quota di legittima, con riferimento all’atto di vendita del 1987 intervenuto tra la F. e l’attuale ricorrente incidentale egli, subentrato nella medesima posizione processuale che avrebbe avuto sua madre nella eventuale proposizione di una domanda di simulazione relativa, avrebbe dovuto provare la simulazione mediante la produzione di una controdichiarazione anteriore o coeva all’atto.

La censura è infondata.

Sotto un primo profilo è evidente che M.N. A. ha agito nel presente giudizio, quanto alle domande di declaratoria di nullità dei suddetti atti di compravendita, quale legittimario avente diritto, in caso di lesione della sua quota di legittima, alla riduzione delle donazioni per la parte eccedente la quota di cui il la "de cuius" poteva disporre, come invero risulta dalla stessa narrativa della sentenza impugnata, dove si riferisce che il giudice di primo grado con ordinanza contestuale alla sentenza non definitiva del 13-1-2005 aveva rimesso la causa in istruttoria onde procedere all’accertamento della eventuale lesione della quota di legittima spettante sia a M.C. che ad A. M.N.; pertanto quest’ultimo, quale terzo rispetto ai negozi ritenuti simulati, non era vincolato, quanto alla prova della simulazione, alla produzione della controdichiarazione.

In tale contesto quindi la Corte territoriale correttamente ha desunto la prova della simulazione dell’atto del 19-6-1987, oltre che dalla esplicita dichiarazione della testatrice che aveva qualificato nel testamento tale atto una "finta vendita", anche dall’interrogatorio formale della stessa appellante principale, che aveva dichiarato in tale sede di non aver pagato il prezzo dei beni.

Con il nono motivo la ricorrente incidentale, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1417 e 2074 c.c., assume che erroneamente la Corte territoriale ha confermato l’accoglimento della domanda riconvenzionale di simulazione dei due atti di compravendita di immobili acquistati dall’esponente rispettivamente il 30-4-1955 ed il 28-12-1974 sulla base della considerazione che in entrambi gli atti suindicati risultavano delle controdichiarazioni scritte delle venditrici in ordine all’avvenuta percezione del prezzo da parte del genitore dell’acquirente M.N.M.; infatti M.N.A., avendo agito per far valere un diritto della massa e non un diritto proprio, avrebbe dovuto provare che dette controdichiarazioni avessero data certa anteriore o coeva a quella degli atti di vendita asseritamente simulati.

La censura è infondata e comunque inammissibile.

Premesso che la sentenza impugnata ha affermato, in riferimento ad entrambe le sopra menzionate compravendite, che dai relativi atti si evinceva che il prezzo dei beni acquistati era stato versato da M.N.M., si richiamano, quanto alla posizione di terzo di M.N.A. rispetto a tali atti, le considerazioni già espresse nell’esame del precedente motivo di ricorso; d’altra parte con il motivo in esame la ricorrente incidentale, deducendo la mancanza di data certa delle predette controdichiarazioni, solleva un questione che non risulta trattata nella sentenza impugnata; pertanto la ricorrente incidentale, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Il ricorso incidentale deve quindi essere rigettato.

In definitiva all’esito dell’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale la sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato, rigetta tutti gli altri motivi del ricorso principale ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2012

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