Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-04-2012, n. 5507 Riparazioni, miglioramenti, addizioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione 8.3.90 D.R. esponeva: con scrittura privata 29.6.1982 si era obbligata ad acquistare da L.E. un immobile sito in (OMISSIS); a seguito di sentenza di risoluzione, per suo inadempimento di detto contratto, non aveva ricevuto alcun indennizzo per le addizioni e le migliorie apportate all’immobile stesso. Conveniva, pertanto, in giudizio, innanzi al Tribunale di Lecce, la L. per sentirla condannare al pagamento,a titolo di indennizzo,della somma di L. 57.092.480, oltre rivalutazione ed interessi, previa compensazione con le somme dovute da essa attrice per spese legali liquidate a favore della convenuta, nel giudizio per la risoluzione del contratto preliminare. Si costituiva la L. sostenendo che alcune delle c.d. migliorie erano state realizzate abusivamente dall’attrice, dopo il verbale 29.12.82 di sequestro dell’immobile con cui la D. era stata nominata custode; chiedeva il rigetto della domanda ed, in subordine, la compensazione dell’eventuale credito riconosciuto in favore della D. con le somme da quest’ultima dovute per spese giudiziali e per la demolizione delle strutture murarie abusive.

Assunta la prova testimoniale ed espletata C.T.U., il Tribunale, con sentenza 31.5. 2004, liquidava, in favore della D., la somma di Euro 37.574,55; compensava interamente detta somma con il maggiore importo dovuto dalla D. alla L. in forza della sentenza 687/85 del Tribunale di Lecce, dichiarando integralmente compensate fra le parti le spese di lite.

Avverso tale sentenza D.R. proponeva appello cui resisteva la L., a seguito del cui decesso si costituiva l’erede, C.A..

La Corte di Appello di Lecce,con sentenza depositata il 15.12.2009, rigettava l’appello condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali del grado. Osservava la Corte di merito che i rilievi "tecnico-matematico svolti nell’atto di gravame" erano privi di fondamento e che il giudice di prime cure aveva correttamente determinato il valore delle migliorie, ex art. 1150 c.c., secondo i criteri esposti nella C.T.U. espletata in primo grado.

Per la cassazione di tale decisione la D. propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi illustrati da successiva memoria.

Resiste con controricorso C.A. chiedendo,in via preliminare, statuizione di ufficio sulla propria carenza di legittimazione passiva, posto che L.E. aveva alienato l’immobile in questione nel 1989, ancor prima della instaurazione del giudizio di primo grado, assumendo, inoltre,che il mancato adempimento all’obbligo di restituzione dell’immobile rendeva inesigibile il rimborso per le migliorie.

Motivi della decisione

La ricorrente deduce:

1) violazione del combinato disposto degli artt. 303, 190 e 359 c.p.c. (vecchio testo) e violazione del principio del contraddittorio, posto che, all’udienza collegiale del 14.11.08, C.A. si era costituita irritualmente, non avendo osservato il termine di dieci giorni prima dell’udienza stessa; il giudice di appello era, quindi, incorso nella violazione del principio del contraddittorio per aver preso in esame quanto esposto con detta costituzione;

2) violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 per mancato esame dei motivi d’appello e vizio logico della motivazione, laddove la Corte di merito aveva omesso di pronunciare sui motivi nn. 1 e 5, riguardanti, rispettivamente, l’attinenza, al caso di specie, degli elementi utilizzati dal C.T.U. per determinare l’aumento di valore del bene e l’assenza di prova sulla rimozione delle opere,come sostenuta dalla convenuta;

3) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; il giudice di appello, condividendo le conclusioni del C.T.U., aveva determinato il valore dell’immobile con riferimento al "costo" delle opere migliorative, incrementato dagli indici Istat ed ai costi delle addizioni, omettendo di valutare l’aumento di valore dell’immobile ex art. 1150 c.c. incorrendo, inoltre, nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere applicato l’art. 1150 c.c., comma 1 sul possesso di malafede;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 1150 c.c., per avere la sentenza impugnata applicato il comma 1 di detta norma anzichè il terzo ed il comma 5;

5) motivazione contraddittoria e violazione dell’art. 1150 c.c. in quanto la sentenza di primo grado aveva calcolato l’aumento di valore dell’immobile escludendo il costo delle addizioni;

6) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonchè errata applicazione dell’art. 2043 c.c. e violazione dell’art. 1150 c.c.;

erroneamente era stata detratta dalle migliorie indennizzabili la spesa occorrente per la rimozione delle opere difformi dal progetto originario (tramezzi e una scala interna) benchè la D. non avesse provato di averle demolite ed, anzi, fosse risultata la permanenza di dette opere al momento della vendita dell’immobile;

7) nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 1282 c.c.; il giudice di appello aveva omesso di pronunciare sul terzo motivo con cui si sosteneva che il credito della convenuta per spese di lite non era soggetto a rivalutazione monetaria; al riguardo la sentenza impugnata si limitava ad affermare che "entrambi i rispettivi crediti sono stati rivalutati e maggiorati d’interessi". Il primo motivo di ricorso è infondato, non avendo la ricorrente dedotto di aver eccepito nel giudizio di merito la illegittimità di cui si duole e, peraltro, del tutto generica è l’affermazione secondo cui non avrebbe potuto esaminare gli scritti depositati da controparte.

La seconda doglianza è priva di autosufficienza e, come tale inammissibile, posto che non è stato riportato in ricorso il tenore letterale dei motivi il cui esame sarebbe stato omesso.

La terza censura è infondata; la sentenza impugnata ha affermato che il rapporto tra il valore del rustico e quello dell’immobile rifinito era stato enunciato dall’appellante solo in astratto, senza alcun riferimento al caso concreto e che la determinazione del valore delle migliorie era stata effettuata dal C.T.U. con specifico riguardo alla situazione di degrado in cui l’immobile era stato consegnato, affermazione che non è stata contestata; nel resto la Corte di merito ha ritento condivisibile la C.T.U. di primo grado anche alla luce dei chiarimenti resi dal C.T.U.; ha negato, comunque, che si fosse verificato un incremento di valore dell’immobile superiore al costo delle opere ed ha escluso la modificabilità del capo della sentenza di primo grado che aveva ritenuto applicabile il disposto dell’art. 1150 c.c., laddove ha evidenziato (pag. 5 sent. imp.) che l’applicabilità dell’art. 1150 c.c. costituiva "questione sulla quale non vi è contrasto tra le parti, che non hanno invero, sul punto sollevato alcun motivo di doglianza".

La motivazione della Corte, fondata essenzialmente sull’adesione alle conclusioni del C.T.U., è esente da vizi logici e giuridici sicchè non è censurabile in sede di legittimità sulla base di una mera valutazione alternativa della ricorrente che, fra l’altro, non ha riportato in ricorso il motivo di appello che sarebbe stato erroneamente valutato con conseguente difetto di autosufficienza, sotto tale profilo, del motivo in esame.

Il quarto motivo è privo di autosufficienza in quanto non riporta il testo della C.T.U. cui si sarebbe adeguata la sentenza in violazione di detta norma. Il quinto motivo prospetta una questione nuova e, comunque, sul punto, la sentenza impugnata ha affermato che i rilievi di ordine tecnico-matematico svolti nell’atto di gravame erano tutti privi di fondamento. Il sesto motivo, concernente l’omessa pronuncia sul difetto di prova relativo alla rimozione delle opere abusive da parte della L., non è autosufficiente non essendo stato specificato il motivo di appello sul punto e, peraltro, la sentenza ha dato conto, con adeguata motivazione, del costo delle opere necessarie per eliminare il degrado, condividendo l’affermazione del primo giudice secondo cui non doveva tenersi conto delle opere abusive perchè non previste nel progetto.

Del pari privo di autosufficienza è il settimo motivo, in difetto di una pronuncia sul motivo di appello secondo cui il credito della L. per spese di lite non era soggetto a rivalutazione e non essendo stato riportato il tenore del motivo di appello di cui sarebbe stato omesso l’esame.

Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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