Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-04-2012, n. 5487 Sentenza straniera

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Svolgimento del processo

Il Tribunale provinciale di Madrid, con sentenza n. 137/2005, ha condannato R. e F.I. e D.G., nella loro qualità di amministratori della società Campana para las Fa.rma.cias, a pagare in solido alla Mercuri Urval s.a. l’importo capitale di Euro 96.560,67 corrispondente al credito insoluto nei confronti della società da loro amministrata.

La Corte di appello di Milano con decreto n. 2113/2006 ha dichiarato l’esecutività in Italia della sentenza del Tribunale madrileno.

I sigg.ri F. e D. hanno proposto opposizione ex art. 43 del Regolamento Europeo n. CE/44/2001 eccependo la mancata citazione in giudizio di F.I. e la contrarietà della sentenza all’ordine pubblico perchè priva di qualsiasi esplicazione circa la fonte giuridica della loro accertata responsabilità.

La Corte di appello di Milano ha revocato, nei soli confronti di F.I. la dichiarazione di esecutività della sentenza spagnola, nei cui confronti non era stata notificato nè l’atto introduttivo, nè l’atto di appello, e ha respinto l’opposizione proposta da D.G. e F.R. avverso la dichiarazione di esecutività.

Ricorrono per cassazione D.G. e F.R. affidandosi a quattro motivi di impugnazione. I ricorrenti depositano memoria difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione del regolamento CE/44/01 per manifesta contrarietà della sentenza spagnola all’ordine pubblico dello Stato italiano sotto il profilo sostantivo.

I ricorrenti, premesso che, nella fase processuale svoltasi davanti la Corte di appello, hanno sostenuto la contrarietà all’ordine pubblico italiano della sentenza spagnola per aver affermato la responsabilità personale degli amministratori che tengano, nello svolgimento dei loro compiti, condotte illecite, senza riscontro del nesso di causalità tra tali condotte e il danno addebitato, consistito nella mancata soddisfazione dei creditori sociali da parte della società insolvente, e rilevato che la Corte di appello ha negato che tale principio rientri nell’ordine pubblico italiano, pongono alla Corte di Cassazione il seguente quesito: se la corretta regola di diritto da applicare debba invece riconoscere, come fondamentale componente del nostro ordine pubblico, il principio che condiziona la responsabilità degli amministratori alla sussistenza di un nesso di causalità tra condotte ed evento dannoso.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 34 regolamento CE/44/01 per manifesta contrarietà della sentenza spagnola all’ordine pubblico dello Stato italiano sotto il profilo processuale.

I ricorrenti, premesso che, nella fase processuale svoltasi davanti la Corte di appello, hanno sostenuto la contrarietà all’ordine pubblico italiano della sentenza spagnola per aver addebitato agli amministratori di una società di capitali la responsabilità patrimoniale personale per debiti della società rimasti insoddisfatti, senza individuare e dar conto della fonte giuridica di tale responsabilità, e rilevato che la Corte di appello ha negato che tale principio rientri nell’ordine pubblico italiano, pongono alla Corte di Cassazione il seguente quesito: se la corretta regola di diritto da applicare debba invece essere quella che riconosce, come fondamentale componente del nostro ordine pubblico, la necessità che la sentenza straniera individui e dia conto sia della fonte giuridica della responsabilità degli amministratori sia dei relativi criteri di imputazione, per addebitare agli stessi responsabilità patrimoniale personale per debiti della società rimasti insoddisfatti.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 34 regolamento CE/44/01 per manifesta contrarietà della sentenza spagnola all’ordine pubblico dello Stato italiano in ordine ai connotati del nesso di causalità tra condanna, evento e danno, quali si evincono nel nostro ordinamento con riferimento agli artt. 1223, 2043 e 2056 cod. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2394 e 2395 c.c..

I ricorrenti, premesso che, nella fase processuale svoltasi davanti la Corte di appello, hanno sostenuto la contrarietà all’ordine pubblico italiano della sentenza spagnola per aver condannato gli amministratori a pagare personalmente un creditore insoddisfatto dalla società insolvente, sulla base del mero accertamento di loro condotte illecite – quali non aver reagito alla scomparsa della società dalla propria sede, non aver curato il rinnovo degli organi amministrativi, aver lasciato la società inattiva, non aver presentato i rendiconti annuali – senza alcun riscontro del nesso di causalità tra tali condotte e il danno addebitato, consistito nella mancata soddisfazione del creditore sociale, da parte della società insolvente e rilevato che la sentenza impugnata ha tuttavia ritenuto che, in tal modo, il Tribunale spagnolo abbia individuato il nesso di causalità tra condotte illecite e danni causati, alla stessa stregua di quanto richiesto dal nostro ordinamento per le azioni ex artt. 2394 e 2395 cod. civ. chiedono alla Corte di Cassazione di affermare che è manifestamente contraria all’ordine pubblico della Repubblica italiana una sentenza straniera che, rilevato l’inadempimento degli amministratori di una società di capitali ai loro doveri (consistito nel non aver reagito alla scomparsa della società dalla propria sede, non aver curato il rinnovo degli organi amministrativi, aver lasciato la società inattiva, non aver presentato i rendiconti annuali) per ciò stesso li condanni a pagare personalmente un creditore insoddisfatto dalla società insolvente, senza curarsi di riscontrare – come avrebbe dovuto e il nostro ordinamento richiede pure per le azioni ex artt. 2394 e 2395 c.c. – alcun nesso di causalità tra tali illecite condotte e l’evento di danno sofferto dal terzo creditore nonchè senza aver accertato che la società sarebbe stata in grado di adempiere in assenza di quelle condotte illecite.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce la manifesta contrarietà della sentenza spagnola all’ordine pubblico dello Stato italiano sotto il profilo processuale, non avendo offerto alcuna indicazione in ordine alla fonte giuridica della responsabilità patrimoniale.

I ricorrenti, premesso che, nella fase processuale svoltasi davanti la Corte di appello, hanno sostenuto la contrarietà all’ordine pubblico italiano della sentenza spagnola per aver addebitato agli amministratori di una società di capitali la responsabilità patrimoniale personale per debiti della società rimasti insoddisfatti, senza individuare e dar conto della fonte giuridica di tale responsabilità, e rilevato che la sentenza impugnata ha affermato che i giudici spagnoli hanno adempiuto all’obbligo di motivazione osservando che la fattispecie e la violazione degli obblighi giuridici sono delineati e passando poi ad addebitare le specifiche condotte già descritte nel quesito di diritto afferente al terzo motivo di ricorso chiedono alla Corte di Cassazione se sia priva di motivazione e dunque manifestamente contraria all’ordine pubblico dello Stato italiano la sentenza straniera che affermi la responsabilità patrimoniale personale dell’amministratore di una società di capitali per la mancata soddisfazione di un creditore societario sulla base del fatto che "la società è scomparsa dalla propria sede, gli organi amministrativi non si sono rinnovati, la società è inattiva, talmente inattiva che dalla rinuncia dell’ultimo procuratore generale in data 5 maggio 1995, non vi è una sola iscrizione nel Registro delle società e dal 1992 non sono stati presentati i rendiconti annuali" senza indicare la fonte giuridica di tale responsabilità, senza precisare i relativi criteri di imputazione del danno e senza far comprendere se abbia in tal modo inteso addebitare allo stesso un risarcimento del danno ovvero irrogargli danni punitivi (punitive damages).

I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logico-giuridica e devono ritenersi infondati.

Il regolamento (CE) N. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, ha sostituito la Convenzione di Bruxelles, previgente in ambito comunitario, in attuazione dell’art. 61, lett. c) e art. 67, paragrafo 1, del trattato che istituisce la Comunità Europea, norme che disciplinano le competenze comunitarie al fine della creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia con specifico riferimento alla materia della cooperazione giudiziaria civile. Il regolamento citato si prefigge l’obiettivo della libera circolazione delle decisioni giudiziarie e assume che la reciproca fiducia degli Stati membri in seno alla Comunità implichi una serie di conseguenze rilevanti nel presente giudizio: a) il riconoscimento di pieno diritto delle decisioni emesse in un altro Stato membro e cioè senza che sia necessario esperire alcun procedimento; b) il rilascio pressochè automatico della dichiarazione di esecutività, a seguito di un controllo meramente formale dei documenti prodotti e senza che il giudice possa rilevare d’ufficio motivi di diniego dell’esecuzione; c) la possibilità di opporsi alla dichiarazione di esecutività solo in casi prefissati dall’art. 34 del regolamento fra i quali vi è l’ipotesi che il riconoscimento sia manifestamente contrario all’ordine pubblico interno dello Stato richiesto; d) il divieto di riesame nel merito della decisione straniera.

Il carattere di straordinarietà che il diniego di esecutività ha assunto con il regolamento n. 44/2001, ma che già caratterizzava la Convenzione di Bruxelles, trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità e in quella della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che limitano all’ipotesi di violazione dei soli principi fondamentali dell’ordinamento dello Stato richiesto la possibilità di negare il riconoscimento di una sentenza di un altro Stato membro per manifesta contrarietà all’ordine pubblico interno.

Per altro verso il divieto di riesame nel merito della decisione impugnata comporta che la parte che si oppone alla dichiarazione di esecutività deve addurre una contrarietà all’ordine pubblico derivante dall’applicazione di una norma o di una giurisprudenza consolidata dello Stato straniero e non dalla valutazione di merito della fattispecie decisa.

Con il ricorso per cassazione D.G. e F.R. deducono invece una omessa indicazione della fonte giuridica della loro responsabilità e del nesso causale fra il loro comportamento come amministratori e il danno subito dalla società Mercuri Urval come creditore insoddisfatto della società amministrata dagli odierni ricorrenti. E’ evidente che tali censure non si appuntano contro violazioni di principi fondamentali del nostro ordinamento ma integrano delle critiche di merito alla decisione del tribunale spagnolo che, secondo le stesse deduzioni dei ricorrenti, ha fatto discendere la loro responsabilità, ex art. 260 e art. 262, comma 5 della legge spagnola sulle società anonime, dalle gravi violazioni degli obblighi connessi allo svolgimento del loro incarico di amministratori e ha ricollegato il dissesto economico della società alla sua, gravemente, irregolare gestione amministrativa. Le censure dei ricorrenti sono quindi smentite dalle loro stesse deduzioni che escludono qualsiasi violazione di principi fondamentali del nostro ordinamento (il quale peraltro riconosce la responsabilità degli amministratori nei confronti dei terzi per l’inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale nell’art. 2394 cod. civ. e per gli atti dolosi o colposi che hanno danneggiato direttamente i terzi nell’art. 2395 cod. civ.) che possano ritenersi costitutivi dell’ordine pubblico interno.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 5.500 di cui 200 per spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 dicembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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