Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-04-2012, n. 5486 Pensione di riversibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Ancona ha riconosciuto il diritto di C.R. alla riliquidazione della pensione di reversibilità (a seguito della perdita del diritto da parte degli altri superstiti contitolari della stessa pensione) con l’applicazione degli aumenti previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 4. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta osservando che, secondo la giurisprudenza della S.C., il trattamento pensionistico spettante al residuo superstite va determinato nella sua consistenza quantitativa con gli stessi criteri fissati per l’originaria liquidazione dalla L. n. 903 del 1965, art. 22 e, pertanto, mediante un’operazione di riliquidazione da compiere con la preventiva detrazione dalla pensione originariamente goduta dal dante causa, o al medesimo spettante, della quota del contitolare escluso, e con l’applicazione sulla quota del titolare restante, e con decorrenza dalla morte del dante causa, degli aumenti di legge e degli aumenti perequativi intervenuti nel frattempo, ivi compresi gli aumenti pensionistici di cui alla L. n. 140 del 1985, art. 4 (trattandosi nella specie di pensione attribuita per effetto di un numero di settimane di contribuzione non inferiore a 781).

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Inps affidandosi a un unico motivo di ricorso cui resiste con controricorso la C., che ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, come risultante dalla L. n. 903 del 1965, art. 22, D.L. n. 463 del 1983, art. 6, conv. in L. n. 638 del 1983, L. n. 140 del 1985, artt. 4 e 5, chiedendo a questa Corte di stabilire "se, in caso di pensione di reversibilità avente decorrenza anteriore al 1983 e spettante a più contitolari, qualora successivamente alla predetta data perdano il diritto tutti i contitolari eccetto uno, per stabilire se sul trattamento spettante all’unico superstite siano dovuti gli aumenti di cui alla L. n. 140 del 1985, art. 4 (ma anche l’integrazione al minimo e la cd. cristallizzazione), si deve avere riguardo non alle condizioni del titolare residuo esistenti al momento del decesso del dante causa, bensì a quelle esistenti alla data di cessazione della contitolarità". 2.- Il ricorso non è fondato. Il quesito formulato dall’Istituto deve trovare risposta nel principio costantemente ribadito da questa Corte – cfr. ex plurimis Cass. n. 15644/2005 e, da ultimo, Cass. n. 20104/2011 – secondo cui alla cessazione del regime di contitolarità tra beneficiari del trattamento di reversibilità, la pensione del titolare residuo deve essere determinata tenendo conto non già di quanto di fatto percepito durante il periodo di contitolarità, ma operando un conteggio virtuale, fin dalla morte del dante causa, al fine di ricostruire la prestazione come se vi fosse stato sempre un unico titolare; ne consegue che la quota di pensione spettante al contitolare superstite deve essere ricalcolata applicando ad essa tutti gli aumenti e le perequazioni fissati dalle leggi succedutesi nel tempo, tra i quali vanno compresi anche gli aumenti previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 4, a prescindere dal fatto che la pensione medesima non godesse della integrazione al minimo durante il regime di contitolarità, essendo necessario accertare se, al momento in cui maturavano i detti aumenti, la pensione stessa, ricalcolata appunto con riguardo alla sua spettanza teorica, fosse o meno passibile di integrazione al minimo.

Secondo il principio sopra espresso, era quindi necessario accertare se, al momento in cui maturavano gli aumenti di cui alla L. n. 140 del 1985, la pensione spettante al contitolare superstite, calcolata con riguardo alla sua spettanza teorica, avrebbe dovuto essere integrata al minimo, ed i giudici di merito hanno espresso sul punto, sia pure implicitamente, una risposta affermativa che l’Istituto ricorrente non ha censurato (il ricorso non investe, infatti, il problema dell’accertamento della sussistenza di tale requisito, e cioè delle condizioni richieste ai fini della integrazione al minimo con riguardo alla spettanza teorica della pensione spettante al contitolare superstite).

3.- Erroneamente l’Istituto richiama la sentenza di questa Corte n. 4512 del 1999, ed altre successive, laddove si è affermato che il titolare di pensione diretta e di pensione di reversibilità in regime di contitolarità, il quale, in forza della norma speciale di cui alla L. n. 639 del 1983, art. 6, comma 11 bis, gode dell’integrazione al minimo su entrambe le prestazioni anche successivamente al 30 settembre 1983 (in deroga alla regola generale secondo cui, dalla stessa data, l’integrazione al minimo spetta una sola volta), allorchè cessi la situazione di contitolarità e perda il diritto alla integrazione sulla pensione di reversibilità, non ha diritto alla cristallizzazione di quest’ultima pensione.

Ed invero – come già rilevato da Cass. n. 15644/2005 – la regolamentazione della pensione del titolare residuo pone problematiche completamente diverse a seconda che si tratti del diritto agli aumenti di cui alla citata L. n. 140 del 1985, oppure del diritto alla cd. cristallizzazione, di talchè i criteri applicabile al secondo non sono applicabili sic et simpliciter al primo. Si è infatti affermato nella pronunzia n. 4512/99 che il meccanismo di conservazione previsto per la cristallizzazione e inconciliabile con il meccanismo del ricalcolo che nella specie va applicato, sul rilievo che l’unico titolare rimasto non può, al momento della cessazione della integrazione per il venir meno della contitolarità, "conservare" l’importo della pensione raggiunto in precedenza, proprio perchè la misura del trattamento spettante da quel momento in poi deve essere ricalcolato; ossia, per le pensioni in esame, il momento in cui si perde l’integrazione coincide con il momento in cui si modifica la struttura stessa della prestazione variandone la misura, il che non consente la "conservazione" del trattamento raggiunto in precedenza. Nulla osta invece all’applicazione degli aumenti di cui alla citata L. n. 140 del 1985, dal momento che nel ricalcolo, cui devesi necessariamente procedere, si può ben tenere conto degli stessi aumenti, a cui il beneficiario avrà diritto ove la sua quota teorica, e non già quella concretamente erogata in regime di contitolarità, fosse stata integrabile al minimo all’epoca di operatività della medesima L. n. 140 del 1985. 4.- Il ricorso va dunque rigettato con la conferma della sentenza impugnata.

5.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno distratte a favore del procuratore antistatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali, da distrarsi a favore dell’avv. Paolo Boer, antistatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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