T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-11-2011, n. 9068

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’istante, all’esito della partecipazione alle prove scritte del concorso notarile bandito con D.D.G. 20 dicembre 2002, ha riportato un giudizio di non idoneità sul primo elaborato oggetto di correzione (atto tra vivi), che ha determinato la mancata correzione degli altri due elaborati, nonché la sua mancata ammissione alle prove orali della procedura concorsuale.

Il giudizio di inidoneità è stato dalla Commissione esaminatrice racchiuso nella seguente valutazione: "Non idoneo = in parte pratica la garanzia prestata da Delta non risponde alla richiesta della traccia e non garantisce adeguatamente la cedente, confusa la ricostruzione della delegazione di Alfa e Gamma che avrebbe dovuto assumere l’obbligo nei confronti dei creditori originari e non della Beta. Non adeguato lo svolgimento della parte teorica".

Con il ricorso all’odierno esame, originariamente incardinato innanzi al Tar per la Sicilia, Catania, e qui riassunto dall’interessato in adesione al regolamento di competenza proposto dalla resistente amministrazione, l’istante ha impugnato il predetto giudizio di inidoneità, avverso il quale ha dedotto: violazione e falsa applicazione degli artt. 22, 23, 24 e 27 del r.d. 14 novembre 1926, n. 1953 e s.m.i., nonché degli artt. 11, 12 e 15 del d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487 e degli artt. 12, comma 4, e 16 del r.d. 15 ottobre 1925, n. 1860; difetto assoluto di motivazione; violazione e mancata applicazione dell’art. 3, comma 1, della l. 7 agosto 1990, n. 241; violazione dei generali principi di imparzialità e par condicio tra i candidati; disparità di trattamento; violazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost.; violazione dei generalissimi principi in materia di verbalizzazione; eccesso di potere per travisamento dei fatti; sviamento di potere; contraddittorietà, irragionevolezza, illogicità ed ingiustizia manifesta.

Le cennate doglianze si sostanziano innanzitutto nell’affermazione che la Commissione, incorrendo in carenza di istruttoria e di motivazione ed in travisamento dei fatti, non ha concluso la lettura dell’intero elaborato, omettendo, in particolare, di valutare la parte teorica. Ciò in quanto, laddove la prova consisteva, a tenore della relativa traccia, nella stesura dell’atto, della motivazione, e, infine, della parte teorica, il timbro di non idoneità (a differenza di tutti gli altri elaborati) è stato apposto non nella parte teorica, conclusiva dell’elaborato, bensì nella parte relativa alla motivazione, che, peraltro, nel giudizio non è proprio presa in considerazione. Inoltre il giudizio di non adeguatezza dello svolgimento della parte teorica non indica gli elementi da cui l’inadeguatezza è stata desunta, né l’elaborato presenta, in tale parte, segni di correzione a margine, come nell’atto notarile.

Il ricorrente denunzia nel prosieguo che la Commissione, contravvenendo ai generalissimi principi che presiedono alla imparzialità, trasparenza e par condicio delle procedure concorsuali, non ha predisposto una effettiva predeterminazione dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove scritte, atteso che quelli indicati nel verbale n. 1 – pure fatto oggetto di impugnazione – lungi dal consentire di individuare le possibili soluzioni corrette e ragionevoli nello svolgimento della traccia, sono di tale genericità ed indeterminatezza da non costituire, a fronte dell’amplissima discrezionalità tecnica di cui gode la Commissione, un effettivo vincolo o parametro uniforme cui attenersi nella valutazione di tutti gli elaborati, con conseguente arbitrarietà e disparità dei giudizi resi.

In ogni caso, poi, il ricorrente, non riscontrando nel proprio elaborato alcuno dei vizi rilevati dalla Commissione, ed, in particolare né travisamento della traccia nè gravi errori di diritto, denunzia l’erroneità, l’ingiustizia, il travisamento dei fatti, l’incongruenza, l’illogicità e la disparità di trattamento in cui è incorsa l’impugnata valutazione. Al riguardo, il ricorrente, premessa la correttezza della soluzione proposta, confuta analiticamente i passaggi motivazionali del giudizio di non idoneità, anche a mezzo di un esame comparativo del proprio elaborato con altri favorevolmente valutati, che presentano la stessa soluzione o la stessa struttura redazionale.

Il ricorrente, ulteriormente esplicitando la prima doglianza, sostiene ancora che la parte teorica dell’elaborato, non fatta oggetto di lettura, non può, conseguentemente, essere stata fatta oggetto di valutazione, ipotizzando, al riguardo, che la Commissione, nel riferirsi ad essa, abbia confuso la parte motiva con la parte teorica. In ogni caso, poi, il ricorrente rappresenta che il negativo giudizio relativo alla parte teorica è erroneo, incomprensibile e insufficientemente motivato, anche in raffronto ad elaborati valutati idonei, poiché la stessa è aderente alle richieste di trattazione formulate nella traccia, mostra un considerevole approfondimento delle relative problematiche ed è solidamente avallata da riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.

Il ricorrente, infine, rappresenta: che la formazione di sottocommissioni non è risultata assistita da alcun atto del Presidente; che a fronte del carattere di collegio perfetto proprio della Commissione valutatrice, si è frequentemente verificata la sostituzione di componenti titolari senza l’indicazione delle sottostanti ragioni; che il verbale n. 1 contenente i criteri, composto da fogli disgiunti, non reca in ciascun foglio la firma o la sigla dei componenti o del Segretario della Commissione; che dal verbale n. 6, relativo anche all’apertura del primo sacco contenente, tra altri, il suo elaborato, emerge che un candidato presente ha fatto rilevare elementi indicatori della violazione delle garanzie di segretezza e di imparzialità.

Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico degli atti impugnati, il ricorrente ne ha domandato l’annullamento, avanzando anche domanda di risarcimento dei danni consequenziali non ristorabili dall’auspicato accoglimento del gravame.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione della giustizia, domandando il rigetto del gravame, di cui sostiene l’infondatezza.

Con ordinanza 25 maggio 2005, n. 2843 la Sezione ha respinto la domanda di sospensione interinale degli effetti degli atti impugnati, incidentalmente avanzata dalla parte ricorrente.

Nel prosieguo, il ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie tesi difensive.

In tale ambito, il ricorrente, premesso di aver superato, nelle more della controversia, le prove del concorso per notaio bandito nell’anno 2008, ha rappresentato il proprio perdurante interesse alla definizione del presente gravame, esponendo le conseguenze a lui favorevoli derivanti dall’eventuale accoglimento.

Il ricorso è stato indi trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 26 ottobre 2011.

Motivi della decisione

1. Si controverte nel presente giudizio in ordine alla legittimità della valutazione di non idoneità conseguita dal ricorrente, all’esito della partecipazione al concorso notarile bandito con D.D.G. del 20 dicembre 2002, sul primo elaborato oggetto di correzione (atto tra vivi), che ha determinato la mancata correzione delle altre prove scritte e la mancata ammissione del medesimo alle prove orali.

2. E’ bene anticipare che le censure avanzate dal ricorrente non possono trovare favorevole considerazione da parte del Collegio, atteso che la più parte di esse sono state più volte affrontate e risolte dalla giurisprudenza amministrativa, anche della Sezione, che ha raggiunto conclusioni dalle quali non vi è motivo di discostarsi, non avendo parte ricorrente proposto utili elementi di rimeditazione, mentre il restante non rivela consistenza tale da invalidare il giudizio reso dalla competente Commissione esaminatrice.

3. Iniziando l’esame delle censure avanzate in ricorso da quelle riferite all’impugnato verbale 19 novembre 2003, n. 1 della Commissione esaminatrice, si rileva che il ricorrente denunzia che la Commissione, contravvenendo ai generalissimi principi che presiedono allo svolgimento delle procedure concorsuali, e che sono volte a tutelare, nella procedura di cui si discute, come nelle altre, la imparzialità e la trasparenza delle relative operazioni, nonché ad assicurare la par condicio dei candidati, ha con esso predeterminato solo formalmente i criteri di valutazione delle prove scritte, in quanto quelli indicati non costituiscono, per genericità ed indeterminatezza, né un effettivo vincolo all’amplissima discrezionalità tecnica di cui gode la Commissione medesima, né un uniforme parametro cui attenersi nell’apprezzamento di tutti gli elaborati.

La doglianza non è conducente.

Per escluderne la fondatezza non occorre spendere molte parole, tenuto conto che i criteri che hanno presieduto la tornata concorsuale in parola, nell’ambito di gravami proposti da altri partecipanti alla procedura, contenenti censure analoghe a quella di cui qui si discute, sono stati già esaminati dalla Sezione, che ha escluso, al riguardo, la sussistenza di profili di illegittimità (tra altre, Tar Lazio, Roma, 24 gennaio 2007, n. 438; 6 luglio 2006, nn. 5485 e 5489).

Sul punto, applicando pacifica giurisprudenza, è stato precisato sia che, in sede di giudizio amministrativo di legittimità, qual è quello in cui si versa, i criteri stabiliti ai fini dell’attribuzione dei punteggi in un pubblico concorso non sono sindacabili, salvo il caso di manifesta illogicità e irrazionalità, ipotesi non ravvisate nel caso di specie, sia che la natura stessa del concorso di cui si discute non poteva che comportare la fissazione di parametri di carattere generale, lasciando ampio spazio alla successiva, concreta valutazione dei singoli elaborati (in generale, tra tante, C. Stato, IV, 27 novembre 2008, n. 5862; 8 giugno 2007, n. 3012; 11 aprile 2007, n. 1643; 22 marzo 2007, n. 1390; 17 settembre 2004, n. 6155; 17 maggio 2004, n. 2881; 10 dicembre 2003, n. 8105; 2 marzo 2001 n. 1157).

In altre parole, è apparso evidente alla Sezione, e la conclusione non può essere che pienamente confermata in questa sede, che i criteri di valutazione di una procedura concorsuale pubblica, vieppiù relativamente a concorsi che, come quello notarile, richiedono un’elevata specializzazione, non necessitano di particolare analiticità, trattandosi di attività deliberativa nella quale, per sua stessa natura, la discrezionalità amministrativa assurge al massimo livello, attenendo alla predisposizione di una griglia valutativa, rispondente esclusivamente ad esigenze di stretta funzionalità rispetto alla finalità per cui è formata.

3.1. Né è fondato il rilievo del ricorrente che i criteri di valutazione di cui trattasi non consentono di individuare le possibili soluzioni nello svolgimento della traccia ritenute dalla Commissione corrette e ragionevoli.

Ciò in quanto, sempre alla luce della nota e costante giurisprudenza formatasi sulla materia, va decisamente escluso che le operazioni di correzione di elaborati formati nell’ambito di procedure concorsuali, obliando l’ampia discrezionalità di cui godono per natura le commissioni esaminatrici, o, meglio, confinando tale discrezionalità alle sole attività ad esse propedeutiche, esaurite queste ultime, possano essere ridotte ad una meccanica sovrapposizione di uno o più percorsi argomentativi prefissati ai temi svolti dai candidati.

Infatti, l’applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza.

Ed anzi essa, quando contiene concetti giuridici indeterminati, dà luogo ad apprezzamenti tecnici ad elevato grado di opinabilità.

Valenza dirimente nella questione assume, poi, la circostanza che, nella valutazione degli elaborati svolti in una procedura pubblica per l’accesso ad una professione a numero chiuso, volta alla selezione dei migliori e non già di tutti coloro che dimostrino di saper comunque giungere a conclusioni esatte, incidono non solamente l’esattezza delle soluzioni giuridiche formulate, ma anche la modalità espositiva e, non da ultimo, la complessiva delineazione del contesto nell’ambito del quale le soluzioni stesse vengono proposte, suscettibile di evidenziare la preparazione generale del candidato e la coerenza dell’andamento del percorso logicogiuridico seguito (tra tante altre, Tar Lazio, Roma, I, 21 luglio 2010, n. 27511; 25 giugno 2004, n. 6209).

La doglianza in esame è, pertanto, anch’essa da respingere.

4. Escluso, per quanto sopra, di poter rinvenire nei criteri di valutazione predeterminati nella procedura concorsuale di cui si discute la presenza delle mende denunziate in ricorso, occorre esaminare le articolate censure con le quali il ricorrente passa ad avversare la valutazione di non idoneità del suo elaborato relativo all’atto tra vivi.

Ai fini di una miglior comprensione delle relative questioni, è bene premettere che il giudizio di inidoneità è stato così formulato: "Non idoneo = in parte pratica la garanzia prestata da Delta non risponde alla richiesta della traccia e non garantisce adeguatamente la cedente, confusa la ricostruzione della delegazione di Alfa e Gamma che avrebbe dovuto assumere l’obbligo nei confronti dei creditori originari e non della Beta. Non adeguato lo svolgimento della parte teorica".

Ciò posto, si rileva che le censure in parola attengono sia alle modalità del procedimento valutativo che all’attendibilità del giudizio espresso dall’organo amministrativo.

4.1. Afferente alla prima categoria è l’affermazione del ricorrente che il negativo giudizio per cui è causa è stato espresso senza che la Commissione abbia provveduto ad una completa lettura dell’elaborato. La questione investe, in particolare, la "parte teorica", ovvero quella finale dell’elaborato.

La predetta censura può essere trattata unitamente ad altre censure che denunziano anche la carenza di motivazione del giudizio, stante la connessione operata dal ricorrente tra le sottostanti argomentazioni.

Al riguardo, osserva il Collegio che il primo convincimento ricorsuale non è confortato da alcun principio di prova.

Ed infatti, laddove il ricorrente, a sostegno della censura di omessa lettura dell’intero elaborato, osserva che il timbro di non idoneità è stato apposto non nella parte finale dello stesso, bensì nella parte relativa alla "motivazione", è agevole osservare che nessuna previsione normativa impone di apporre il timbro alla fine dello scritto.

Né un tale obbligo scaturisce dalle caratteristiche materiali dell’atto, che, indipendentemente dalle sue partizioni interne – che soddisfano esigenze espositive logiche che non si riflettono nella struttura del documento – resta unico.

Inoltre, e decisivamente, la conclusione cui perviene il ricorrente si pone in palese contrasto con le risultanze del giudizio, che contiene un espresso riferimento motivazionale alla inadeguatezza della "parte teorica", ciò che attesta inequivocabilmente che tale parte è stata fatta oggetto di apprezzamento specifico.

Passando alle altre censure in trattazione, nulla muta, poi, tenendo conto del fatto che il giudizio di non adeguatezza dello svolgimento della "parte teorica" dell’elaborato non indica gli elementi da cui desumere la valutazione di inadeguatezza, ovvero che la parte relativa alla "motivazione" non è stata oggetto di specifiche argomentazioni negative da parte della Commissione esaminatrice.

Ciò in quanto, ricordato che, per pacifica giurisprudenza, cui la Sezione notoriamente aderisce, il giudizio della commissione esaminatrice ha ad oggetto il valore complessivo della prova scritta, l’analiticità delle principali osservazioni in cui si è sostanziato il negativo giudizio ed il chiaro andamento argomentativo delle conclusioni raggiunte dalla Commissione esaminatrice all’esito della correzione dell’elaborato complessivamente ed organicamente inteso consentono di ricostruire adeguatamente ed agevolmente le ragioni della negativa valutazione espressa, senza che sussista la necessità di ricorrere a commenti specifici relativi ad ogni singola parte dell’elaborato.

Va, ancora, precisato che è completamente irrilevante la mancanza di segni grafici di correzione su parte del tema.

La mancanza di annotazioni, sottolineature o altri segni grafici a margine non può costituire sintomo di omessa valutazione, anche perché nessuna norma impone alle commissioni di apporvi annotazioni o segni di correzione, ovvero di esercitare una funzione didattica che, attraverso il segno correttivo, tenda ad evitare che il candidato commetta gli stessi errori in prove future (Tar Lazio, Roma, I, 2 luglio 2009, n. 6404; 21 luglio 2010, n. 27503; III, 19 gennaio 2010, n. 452).

Costituisce infine, una mera congettura del ricorrente, in quanto tale completamente insuscettibile di evidenziare alcuna illegittimità a carico dell’impugnato giudizio, il rilievo operato in ricorso che la Commissione avrebbe confuso la "parte motiva" dell’elaborato con la "parte teorica".

Per tutto quanto sopra, vanno respinte sia le doglianze con cui si assume la carenza di un completo esame dell’elaborato, sia quelle con cui si denunzia una insufficiente esternazione delle ragioni che hanno condotto all’espressione del giudizio negativo.

4.2. Afferenti alla seconda categoria sopra menzionata sono le censure con le quali il ricorrente, non riscontrando nel proprio elaborato alcuno dei vizi rilevati dalla Commissione, ed, in particolare il travisamento della traccia o gravi errori di diritto, ed, anzi, premessa la correttezza della soluzione proposta ed il considerevole approfondimento delle relative problematiche effettuato nell’elaborato, anche mediante i riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, denunzia l’erroneità, l’ingiustizia, il travisamento dei fatti, l’incongruenza, l’illogicità e la disparità di trattamento in cui sarebbe incorsa l’impugnata valutazione.

A sostegno di tali censure, il ricorrente confuta analiticamente, sia in generale, sia con particolare riguardo alla "parte teorica", i passaggi motivazionali del giudizio impugnato, anche a mezzo di un esame comparativo del proprio elaborato con altri favorevolmente valutati, che presentano la stessa soluzione o la stessa struttura redazionale.

Al riguardo, osserva il Collegio che il giudizio di legittimità non può trasmodare in un pratico rifacimento, ad opera dell’adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla commissione esaminatrice (con conseguente sostituzione del primo alla seconda), di talchè trova applicazione alla fattispecie il principio per cui nella presente sede l’apprezzamento tecnico della commissione è sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, il giudizio della commissione esaminatrice, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile unicamente sul piano della legittimità e solo per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, se emergenti dalla stessa documentazione ed ove tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (tra tante, C. Stato, IV, 17 gennaio 2006, n. 172).

Si dimostrano, pertanto, inammissibili e comunque infondate le censure che si limitano a proporre la correttezza della impostazione e della soluzione del tema oggetto di concorso.

Diversamente opinandosi, lo scrutinio giudiziale verrebbe a sovrapporsi alla valutazione tecnica effettuata dalla competente commissione, inverando la preclusa cognizione del merito della questione.

Indi, applicando i sopra enunciati criteri al caso di specie, l’apprezzamento tecnico svolto dalla Commissione esaminatrice potrebbe essere scalfito solo dalla dimostrazione dell’esistenza di evidenti illogicità o manifeste ingiustizie.

E tali ipotesi non si inverano nella controversia in esame, nella quale, con ogni chiarezza, alla mera lettura delle osservazioni esposte dal ricorrente, le proposte censure si atteggiano come un – inammissibile – tentativo di sostituire il punto di vista della Commissione valutatrice, come mutuato nella predisposizione dei criteri di valutazione ed applicato nella correzione delle singole prove, con quello dell’interessato, sottoposto alla valutazione.

Né miglior sorte possono avere le censure con le quali il ricorrente provvede ad una comparazione del proprio elaborato con quello di altri candidati valutati idonei.

Osta all’accoglibilità di un siffatto percorso non solo quanto sin qui argomentato, ma anche l’opinabilità delle questioni giuridiche sottese ai quesiti, spesso articolati e complessi, che connotano le prove d’esame del concorso notarile, che impedisce di esaminarle come se si trattasse di quiz rispetto ai quali la Commissione sarebbe chiamata soltanto a verificare l’esattezza o meno delle risposte fornite, laddove invece il giudizio sulle soluzioni offerte dal candidato è spesso condizionato in modo determinante dal percorso logico e dalle argomentazioni che le sostengono, nell’ambito di una più generale valutazione sulla completezza e la logica interna dell’elaborato (tra tante, da ultimo, C. Stato, IV, 2 marzo 2011, n. 1350).

5. Neanche le finali censure risultano fondate.

Quanto ai rilievi circa i mutamenti avvenuti nella Commissione esaminatrice, è sufficiente richiamare la costante giurisprudenza della Sezione secondo la quale:

– la suddivisione della Commissione in due Sottocommissioni (per la correzione dei temi) costituisce, ai sensi dell’art. 22, comma 4, del r.d. 14 novembre 1926, n. 1953, applicabile ratione temporis alla fattispecie, una facoltà rimessa all’insindacabile apprezzamento del Presidente;

– la sostituzione dei componenti effettivi da parte dei supplenti è espressamente prevista e disciplinata dall’art. 27 del citato regio decreto, che stabilisce, al riguardo, che "nel caso che qualcuno dei commissari non possa assumere o continuare l’esercizio delle sue funzioni, è immediatamente surrogato da un membro supplente".

Inoltre, sul punto, può aggiungersi, sempre sulla scorta di quanto già affermato dalla Sezione (n. 5489 del 2006, cit., proprio in riferimento alla stessa tornata concorsuale di cui si discute):

– che dal chiaro tenore della norma si evince che la sostituzione è automatica, non richiede alcuna motivazione (essendo quest’ultima in re ipsa allorquando si tratti di sostituire un componente effettivo assente e di mantenere inalterato il numero legale) e prescinde dalla qualifica rivestita;

– che poiché tale disposizione costituisce lex specialis, essa prevale sulla norma generale di cui all’art. 9 del d.p.r. n. 487 del 1994 che si applica ai concorso per l’accesso al pubblico impiego e che stabilisce che la sostituzione può avvenire esclusivamente in caso di "impedimento grave e documentato degli effettivi".

La giurisprudenza ha anche affermato il principio della piena fungibilità dei componenti effettivi con i componenti supplenti, codificato dall’art. 22, comma quinto, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, chiarendo definitivamente che i membri delle Commissioni e delle Sottocommissioni esaminatrici sono fra loro fungibili in relazione ad esigenze organizzative contingenti (Tar Lazio, Roma, I, 13 ottobre 2003, n. 8311; 6 agosto 2003, n. 6844).

Da tempo risalente viene costantemente affermato – infatti – che ogni componente supplente può sostituire un qualsiasi membro effettivo della Commissione, anche se il supplente sia stato nominato in relazione ad una qualifica diversa da quella posseduta dal componente titolare sostituito.

Quanto, infine, ai rilievi inerenti la carenza in ciascun foglio del verbale n. 1, contenente i criteri, della firma o della sigla dei componenti o del Segretario della Commissione, nonché le osservazioni che, nel verbale n. 6, relativo anche all’apertura del primo sacco contenente, tra altri, l’elaborato del ricorrente, sono state fatte constare da un candidato presente, si osserva:

– che in difetto di specifiche verbalizzazioni che documentino un qualche dissenso in ordine ai criteri prescelti, evento che non emerge neanche da alcun atto processuale, deve presumersi che su essi si sia raggiunto l’accordo di tutti i componenti della Commissione;

– che nessun elemento emergente dal fascicolo di causa consente di pervenire alla conclusione che nella procedura vi siano state violazioni delle garanzie di segretezza e di imparzialità, in generale ovvero a danno del ricorrente.

6. Le ulteriori argomentazioni difensive formulate dal ricorrente con memoria depositata in corso di giudizio nulla aggiungono alle questioni come sin qui trattate.

7. Per tutto quanto precede, la domanda demolitoria avanzata in ricorso non merita accoglimento, così come la connessa domanda risarcitoria.

In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente alle spese di lite, complessivamente liquidate in Euro 1.000,00 (euro mille/00) in favore della parte resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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