Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-04-2012, n. 5482 Decorrenza del trattamento di quiescenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Pisa P.D.A., titolare di pensione di vecchiaia con decorrenza 1 ottobre 1983, affermando che l’INPS gli aveva negato l’integrazione al trattamento minimo per difetto del requisito reddituale, chiedeva la riliquidazione della pensione con l’applicazione del detto beneficio.

Sosteneva il ricorrente che i limiti di reddito introdotti dal D.L. n. 463 del 1983 (convertito nella L. n. 638 del 1983) si applicavano solo a coloro che avessero maturato il diritto a pensione successivamente al 30 settembre 1983, mentre egli aveva compiuto i 60 anni di età nel settembre 1983, pur percependo la prestazione dal 1 ottobre successivo.

A seguito del decesso del P. si costituivano gli eredi.

Il Tribunale accoglieva la domanda nei limiti della prescrizione quinquennale, calcolata a far tempo dalla domanda amministrativa della integrazione, presentata il 10 dicembre 2001 e condannava, per l’effetto, l’INPS al pagamento dei ratei arretrati del beneficio ricadenti nel periodo dal 10 dicembre 1997 al 15 agosto 2005, data (quest’ultima) del decesso del P..

L’Istituto previdenziale proponeva appello, che è stato rigettato dalla Corte d’appello di Firenze, con la sentenza indicata in epigrafe. In particolare, la Corte di merito ha osservato che, sulla statuizione di primo grado, relativa alla prescrizione, si era formato il giudicato (interno) per difetto di impugnazione, mentre la disciplina del D.L. n. 463 del 1983, che, nell’art. 6, comma 1, con decorrenza dal 1 ottobre 1983, aveva condizionato il diritto alla integrazione al trattamento minimo della pensione al mancato superamento, da parte del titolare, di determinati limiti di reddito, era da interpretare nel senso della sua inapplicabilità alle pensioni di vecchiaia i cui requisiti fossero maturati, come nella specie, anteriormente alla data sopra indicata.

Per la cassazione di questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso fondato su due motivi.

Resistono con controricorso G.G., A.M. e P.G., eredi di P.D.A., che propongono anche ricorso incidentale.

L’INPS ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Il ricorso principale e quello incidentale sono riuniti perchè proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

2. Il ricorso incidentale va, peraltro, dichiarato inammissibile, perchè meramente enunciato nell’epigrafe del controricorso, ma in concreto non argomentato.

3. L’INPS, nel primo motivo del ricorso principale, denuncia violazione del D.L. n. 463 del 1983, art. 6, convertito nella L. n. 638 del 1983 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) e censura la interpretazione che ne è stata data dalla Corte di merito, osservando che la norma intende elevare a discrimine – in punto di rilevanza del requisito reddituale, quale condizione di attribuibilità del beneficio della integrazione al trattamento minimo – la data di "decorrenza" della pensione e non quella del perfezionamento del relativo diritto. Aggiunge che, in ogni caso, doveva essere verificata dalla Corte la sussistenza del requisito reddituale a partire dal 1 ottobre 1983, posto che il superamento del limite introdotto dall’art. 6, comma 1, del decreto legge citato, comporta la cessazione del diritto all’integrazione (salvo il profilo inerente la cd. "cristallizzazione" che, tuttavia, nel caso di specie, esulava dai limiti del giudizio).

4. Il motivo è da rigettare.

5. Ritiene il Collegio che siano tuttora validi e condivisibili i principi che la giurisprudenza di questa Corte ha enunciato proprio con riferimento a fattispecie, come quella oggetto di causa, nella quale veniva in questione il diritto alla integrazione al trattamento minimo di una pensione di vecchiaia avente decorrenza dal 1 ottobre 1983, ma il diritto alla quale si era perfezionato anteriormente, avendo il titolare, nel settembre dello stesso anno, compiuto il sessantesimo anno di età e maturato i prescritti requisiti contributivi e assicurativi (vedi, in termini, Cass. n. 5433 del 1991, n. 19849 del 2003, nonchè, in generale, sulla distinzione tra momento perfezionativo del diritto a pensione e decorrenza del relativo trattamento: Cass. n. 17083 del 2004).

6. Secondo gli indicati principi: A) Il diritto alla pensione di vecchiaia sorge nel momento in cui l’assicurato matura i prescritti requisiti di età, di contribuzione e di assicurazione, mentre la decorrenza del trattamento pensionistico, fissata al primo giorno del mese successivo a quello del conseguimento dei requisiti in parola (L. 23 aprile 1981, n. 155, art. 6) è da considerare un elemento esterno rispetto a quelli che integrano la fattispecie costitutiva e da riferire solo alla erogazione della prestazione; B) la distinzione fra momento perfezionativo del diritto e momento della decorrenza del trattamento previdenziale comporta che, al fine della determinazione delle componenti di tale trattamento – qual è, per certo, l’integrazione al minimo – e del relativo importo, occorre riferirsi al primo dei detti momenti; conseguendone che ove l’interessato abbia compiuto l’età pensionabile (e maturato i requisiti contributivi e assicurativi voluti dalla legge) entro il mese di settembre 1983, la pensione di vecchiaia deve essere determinata con l’integrazione al minimo, rilevando il requisito reddituale introdotto (per la prima volta) dal D.L. n. 463 del 1983, art. 6, comma 1, (convertito nella L. n. 638 del 1983) come limite al riconoscimento del diritto al beneficio pensionistico di cui trattasi solo a far tempo dalla data indicata nello stesso art. 6, comma 1, cioè dal 1 ottobre 1983. 7. Di questi principi ha fatto applicazione la sentenza impugnata onde nessuna censura può muoversi alla statuizione relativa alla spettanza al P. della integrazione al trattamento minimo della propria pensione di vecchiaia, pacifico essendo in causa che l’assicurato aveva maturato i relativi requisiti nel mese di settembre del 1983, quando ancora l’insorgenza del diritto all’integrazione non era soggetta a condizioni economiche di sorta.

8. Quanto alla censura, parimenti formulata dall’INPS, secondo cui la Corte di merito avrebbe errato nell’affermare il diritto del P. al mantenimento della integrazione anche dopo il 1 ottobre 1983, nonostante la segnalata (dall’Istituto) circostanza che controparte possedeva redditi superiori ai limiti di legge, osserva la Corte che il ricorso difetta della necessaria autosufficienza, non avendo il ricorrente indicato (provvedendo anche a trascrivere il contenuto delle relative deduzioni), se e in quale atto del giudizio di merito avesse evidenziato l’esistenza di un tale fatto ostativo alla persistenza del diritto del pensionato, nè risultando dalla sentenza impugnata che la relativa questione fosse stata devoluta al giudice del gravame.

9. Nel secondo motivo, con deduzione di violazione della L. n. 218 del 1952, art. 9, del D.L. n. 463 del 2003, art. 6, convertito nella L. n. 638 del 1983, e della L. n. 533 del 1973, art. 7 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), l’INPS censura la sentenza d’appello per aver attribuito al P. i ratei di integrazione al minimo arretrati compresi nel quinquennio anteriore alla domanda amministrativa del beneficio (presentata il 10 dicembre 2001), laddove, secondo i principi, il diritto al trattamento minimo può essere riconosciuto solo a far tempo dalla domanda in questione.

10. Anche questo motivo è da rigettare.

11. Vero è, infatti, che il diritto alla integrazione al trattamento minimo, per la sua autonomia rispetto al diritto a pensione, decorre dalla domanda amministrativa diretta ad ottenere il beneficio in parola (Cass. n. 7018 del 1992, n. 6343 del 1992, Sez. un. n. 1691 del 1997, n. 1915 del 1998, n. 13892 del 1999 e numerose altre conformi). Tuttavia, nel caso concreto, la Corte d’appello di Firenze ha ritenuto coperta da giudicato, per difetto di impugnazione, la statuizione del Tribunale relativa al riconoscimento dei ratei di integrazione anche per il quinquennio precedente la domanda amministrativa, in applicazione della prescrizione (ritenuta, appunto, quinquennale) decorrente, a ritroso, dal dicembre 2001; e, sul punto, l’INPS, senza nulla obiettare in merito al rilevato difetto di impugnazione, si limita a sostenere, per un verso, che la questione relativa alla decorrenza dei ratei di integrazione è di puro diritto e, come tale, non sarebbe preclusa dal giudicato, nonchè, sotto altro profilo, che la statuizione di primo grado, passata in giudicato, non riguarderebbe la decorrenza del trattamento minimo ma piuttosto la consistenza del termine di prescrizione del relativo diritto.

Ma la tesi è decisamente infondata sotto entrambi i profili: sotto il primo, difettando l’interesse del ricorrente a proporre una questione sulla quale, a prescindere dalla sua astratta, giuridica fondatezza, si è formato il giudicato; sotto il secondo, perchè risulta con tutta evidenza dal testo della sentenza impugnata, che la statuizione di primo grado faceva espresso riferimento non soltanto al termine di prescrizione applicabile, ma altresì, e specificamente, alla sua decorrenza (inequivoca, in tal senso, è la locuzione "decorrente, a ritroso, dal dicembre 2001").

12. In conclusione, il ricorso dell’INPS è rigettato.

13. Le spese del giudizio di cassazione sono compensate tra le parti, in considerazione della infondatezza del ricorso principale e della inammissibilità del ricorso incidentale.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e rigetta quello principale. Compensa fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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