Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-09-2011) 24-10-2011, n. 38215 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 4 giugno 2010, la Corte d’Appello di Milano, giudicando a seguito di annullamento con rinvio disposto con sentenza n. 6198/10 della Quarta Sezione Penale di questa Corte, riformava parzialmente la sentenza in data 15 giugno 2005 del Tribunale di Milano e riconosceva il concorso di colpa della vittima nella misura del 30% nella causazione dell’evento in ordine al quale era stata riconosciuta la penale responsabilità di R.C. e M. S. per il reato di omicidio colposo commesso, con violazione della normativa sulla sicurezza del lavoro, in danno di C. R..

Secondo la ricostruzione dei fatti prospettata dai giudici di merito, la predetta stava visitando un cantiere edile in compagnia del marito, proprietario dell’immobile e, giratasi per indicare qualcosa alla madre, perdeva l’equilibrio e cadeva da una scala in costruzione priva di balaustra, parapetto o altri presidi, riportando lesioni che ne cagionavano il decesso.

L’omessa vigilanza circa il rispetto della normativa sulla sicurezza del cantiere edile e la responsabilità per uno scavo adiacente alla scala che aveva determinato una oggettiva ed indiscutibile situazione di pericolo venivano addebitate al R. quale direttore dei lavori di ristrutturazione ed, al M., quale legale rappresentante della società esecutrice delle opere.

La Quarta Sezione Penale di questa Corte riteneva, tuttavia, che la vittima fosse pienamente consapevole del pericolo insito nell’utilizzare le scale prive di protezione ed avesse tenuto un comportamento comunque imprudente, dato che il vuoto sottostante e la evidente assenza di qualunque protezione avrebbero dovuto indurla ad evitare un luogo così pericoloso o, comunque, ad adottare, in ogni caso, maggiori cautele.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte territoriale perveniva alla decisione dianzi richiamata avverso la quale il R. ed il M. proponevano congiuntamente ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deducevano il vizio di motivazione, osservando che i giudici del merito non avevano indicato le ragioni per le quali il concorso di colpa della vittima doveva determinarsi nella misura pari al 30%.

Con un secondo motivo di ricorso rilevavano che la Corte territoriale non aveva provveduto alla rideterminazione della pena in conseguenza del riconosciuto concorso di colpa come indicato da questa Corte nel disporre l’annullamento con rinvio.

Entrambi insistevano, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Con memoria depositata in cancelleria il 27 luglio 2011 ribadivano quanto sostenuto in ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

La Corte territoriale adeguandosi alla pronuncia della Quarta Sezione Penale di questa Corte ha correttamente individuato l’ambito di operatività di detto provvedimento e, conseguentemente, ha proceduto alla quantificazione, nella misura del 30%, del concorso di colpa della vittima nella causazione dell’evento letale.

La valutazione della colpa concorrente nella produzione dell’evento non può essere determinata con assoluta certezza e deve quindi essere necessariamente apprezzata dai giudici di merito con un criterio di approssimazione, assolvendo all’onere motivazionale tendendo conto delle modalità del sinistro e confrontando le condotte dei soggetti coinvolti nell’incidente (Sez. 4, n. 5063, 4 maggio 1995).

Si tratta, pertanto, di un giudizio riservato al libero e discrezionale apprezzamento del giudice di merito e, come tale, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (v. in tema di responsabilità da sinistri stradali, Sez. 4, n. 4856, 2 maggio 1991).

Nella fattispecie emerge chiaramente dal complesso della motivazione che la Corte territoriale ha effettivamente operato una verifica sufficientemente accurata delle condotte poste in essere dai singoli protagonisti della vicenda, ponendo particolare attenzione alla conoscenza dei luoghi da parte della vittima, alla preesistenza del pericolo, alle condizioni della scala al momento del sinistro ed alla certa consapevolezza del pericolo da parte della vittima, la quale il giorno stesso si era lamentata per l’assenza di protezioni, pur decidendo di non utilizzare percorsi alternativi più sicuri.

A fronte di tali considerazioni risulta parimenti oggetto di attenta verifica anche la condotta tenuta dai ricorrenti, giudicata grave in considerazione della violazione di specifiche norme e per la sua protrazione nel tempo.

Si tratta, dunque, di valutazioni del tutto idonee a giustificare la quantificazione del concorso di colpa che rendono la decisione impugnata del tutto immune dalle censure mosse in ricorso.

A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto attiene la quantificazione della pena.

Anche sul punto la Corte d’Appello ha compiutamente indicato le ragioni per le quali il riconosciuto concorso di colpa non poteva determinare una riduzione della sanzione originariamente inflitta, chiarendo che la pena era già contenuta nel minimo edittale e non poteva pervenirsi ad un diverso giudizio di comparazione delle circostanze in ragione della negativa valutazione della condotta degli imputati.

Tale assunto non viene però condiviso in ricorso, ove si evidenzia il maggior rilievo che avrebbe dovuto assumere il riconosciuto concorso di colpa.

La doglianza, che peraltro risulta connotata da genericità, si pone in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha chiarito come, ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, anche la sola enunciazione dell’eseguita valutazione delle circostanze concorrenti soddisfi l’obbligo della motivazione, trattandosi di un giudizio rientrante nella discrezionalità del giudice e che, come tale, non postula un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (così, testualmente, Sez. 2, n. 36265, 11 ottobre 2010; conf. Sez. 4 10379, 17 luglio 1990; Sez. 4, n. 4244, 22 marzo 1989).

A tale principio aderisce il Collegio, condividendone le ragioni e riconoscendo, conseguentemente, come conforme a legge e del tutto coerente la valutazione operata dalla Corte territoriale sul punto.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti il pagamento delle spese del procedimento ed alla rifusione delle spese alla parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre I.V.A. ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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