Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-04-2012, n. 5475 Conciliazione in sede sindacale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Giudice del Lavoro di Bari, depositato in data 21/7/1994, S.D. esponeva di avere lavorato alle dipendenze della PEGASO SERVICE S.N.C., esercente attività di agenzia di marketing, dal 25/9/1991 al 28/11/1993 con mansioni di impiegata addetta alla segreteria, vantando importi di natura retributiva a vario titolo.

Aggiungeva che, a seguito delle relative pretese, in data 27/9/1993 era intervenuta, presso la sede della società, una conciliazione "in sede sindacale", da ritenersi nulla in primo luogo per carenza dei requisiti di cui all’art. 1325 c.c., nn. 1, 2 e 3 (accordo delle parti, causa, oggetto) ed inoltre perchè intesa ad eludere l’applicazione di norme imperative ed era comunque annullabile per violazione degli artt.1434 e 1439 cod. civ..

Soggiungeva che, dopo la firma della conciliazione di cui sopra, aveva continuato a lavorare, sempre senza copertura assicurativa, fino al 28/11/1993, giorno in cui era stata licenziata.

Tanto esposto, evocava il Giudizio la Pegaso Service s.n.c. perchè, previa declaratoria di nullità e/o annullamento del verbale di conciliazione in sede sindacale del 27/9/1993, fosse condannata al pagamento, in proprio favore, della complessiva somma di L. 35.197.278, pari ad Euro 18.177,88, oltre accessori, in applicazione del C.C.N.L. del settore commercio e dell’art. 36 Cost, secondo conteggi specificamente indicati.

Instauratosi il contraddittorio, la società Pagaso Service contestava la domanda sotto vari profili.

Con sentenza del 5/2-29/3 2004, il Tribunale, dopo aver disatteso l’eccezione di inammissibilità prospettata dalla resistente, per essere il verbale di conciliazione in sede sindacale del 27/9/1993 privo delle caratteristiche previste dall’art. 2113 c.c., comma 4, e nullo per difetto di causa, rigettava la domanda rilevando che, in ogni caso, le dichiarazioni contenute nell’atto, fra cui quella della stessa ricorrente, che riconosceva che il rapporto intercorso tra le parti aveva avuto natura autonoma, conservavano la loro efficacia e potevano atteggiarsi come confessione stragiudiziale.

Avverso tale decisione proponeva appello la lavoratrice, con articolate argomentazioni.

La società si costituiva, contestando il gravame, di cui chiedeva il rigetto.

Con sentenza del 5 novembre -2 dicembre 2009 la Corte d’appello di Bari, investita dell’impugnazione, dichiarava la nullità del "verbale di conciliazione sindacale" del 27/9/1993 "per mancanza di causa e compiacentemente predisposto da un sindacalista" e condannava, in parziale accoglimento della domanda proposta in primo grado, la Pegaso Service s.n.c. al pagamento, in favore della S., della somma di Euro 17.876,93 per sorte capitale, oltre Euro 9.026,77 per rivalutazione monetaria ed Euro 21.138,74 per interessi legali, così calcolati fino al 31/3/2009, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali maturati dall’1/4/2009 al soddisfo.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la s.a.s. Pegaso Service, così trasformatasi la s.n.c. , con due motivi.

Resiste S.D. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la ricorrente società, denunciando "violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 411 c.p.c., comma 3, ed artt. 2735, 2732, 2222, 1427 e 1325 c.c. su punto decisivo della controversia", censura la decisione della Corte di Appello nella parte in cui, in riforma della sentenza di primo grado, ha affermato che quest’ultima "avrebbe dovuto tener presente che la pretesa confessione stragiudiziale era contenuta pur sempre in un atto di transazione, seppure nullo, ed avrebbe dovuto considerare che il riconoscimento di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte non ha natura confessoria, per mancanza di "animus confitendi", ove costituisca l’oggetto di una delle reciproche concessioni di un contratto di transazione, poichè non integra una dichiarazione di scienza che sia fine a se stessa, ma s’inserisce nel contenuto del contratto transattivo ed è strumentale rispetto al raggiungimento dello scopo di questo, il che fa venir meno, nella rappresentazione interna che l’autore si forma della propria dichiarazione, la basilare caratteristica che alle confessioni conferisce forza probante (Cass. 23/1/1997 n. 712)".

Assume la ricorrente che tale statuizione sarebbe stata assunta in violazione dell’art. 411 c.p.c., comma 3, e degli arti 2735, 2732, 2222, 1427 e 1325 c.c., e sarebbe altresì affetta da vizio di motivazione, in quanto non avrebbe considerato: a) la circostanza che la S., nel periodo dal 25/9/91 al 27/9/93, aveva percepito somme a titolo di provvigioni a fronte di attività saltuaria di marketing svolta per conto della s.r.l. Battistero e su incarico della Pegaso Service; b) che nel medesimo periodo la S. e la sig.ra G.E., sono state socie al 50% per la gestione di affari per conto della ditta Moon Light di M.E., percependo i relativi compensi; c) che nel periodo fieristico di Bari del 1993, rectius 1992, la S. ha prestato autonoma attività lavorativa per conto della S.n.c. Beltion di Putignano, ricevendosi correlativo compenso. Il motivo non può essere condiviso.

Giova chiarire che la sentenza impugnata ha fondato la sua decisione su tre ordini di argomentazioni, distinti l’uno dagli altri.

Con il primo, la Corte barese ha addebitato al primo Giudice di aver violato il principio di cui all’art. 112 c.p.c. perchè la convenuta nella memoria di costituzione di primo grado giammai aveva invocato il suddetto verbale come atto di confessione stragiudiziale ma si era limitata a sostenerne la non impugnabilità ai sensi dell’art. 2113 c.c., u.c..

Con il secondo la Corte ha escluso la sussistenza di animus confitendi nel contesto dell’atto transattivo esaminato, rettamente osservando che la pretesa confessione stragiudiziale era contenuta pur sempre in un atto di transazione, seppure nullo, onde il primo Giudice avrebbe dovuto considerare che il riconoscimento di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte non ha natura confessoria, per mancanza di "animus confitendi", ove costituisca l’oggetto di una delle reciproche concessioni di un contratto di transazione, poichè non integra una dichiarazione di scienza che sia fine a se stessa, ma s’inserisce nel contenuto del contratto transattivo ed è strumentale rispetto al raggiungimento dello scopo di questo, il che fa venir meno, nella rappresentazione interna che l’autore si forma della propria dichiarazione, la basilare caratteristica che alle confessioni conferisce forza probante (Cass. 23/1/1997, n. 712; Cass. 31/7/2002).

Con il terzo, sempre al fine di escludere l’animus confitendi da parte della lavoratrice, ha rilevato come quest’ultima non avesse giammai "inteso proporre, alcuna vertenza nei confronti della Pegaso s.n.c", posto che il sindacalista escusso come teste "ha riconosciuto di essersi recato presso la sede dell’azienda per esservi stato chiamato dal commercialista dell’azienda medesima (procedura questa, a dir poco, assolutamente anomala)".

Così correttamente esclusa ogni rilevanza alla dedotta "conciliazione", la Corte territoriale, sulla base dell’esame delle deposizioni testimoniali specificamente richiamate nonchè del comportamento processuale della società, ha ritenuto di poter considerare provati tutti i fatti costitutivi della domanda della lavoratrice (durata del rapporto, natura subordinata, mansioni espletate, orario di lavoro osservato). In relazione a tale accertamento, al fine di determinare le competenze spettanti dalla lavoratrice, ha disposto una consulenza tecnica contabile che, tenendo presenti il C.C.N.L. per i dipendenti da aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi (ritenuto applicabile al rapporto sia perchè la sua applicabilità non era stata contestata dalla società, sia perchè lo stesso appariva utile e congruo parametro per determinare la giusta retribuzione spettante alla lavoratrice ex art. 36 Cost.), il periodo e l’orario di lavoro, nonchè le mansioni indicate e detraendo le somme che la stessa lavoratrice aveva ammesso di aver percepito, quantificasse le differenze alla medesima spettanti nonchè il maggior danno da svalutazione monetaria e, su ciascun rateo di credito rivalutato, gli interessi legali.

Sulla base dei conteggi elaborati dal CTU è, quindi, pervenuta alla conclusione che le differenze salariali, comprensive di TFR, ammontavano ad Euro 17.876,93 ai quali dovevano essere aggiunti Euro 9.026,77 a titolo di rivalutazione monetaria fino al 31/3/2009 ed Euro 21.138,74 a titolo di interessi legali fino al 31/3/2009. A fronte di tale motivata decisione, la censura in esame con riguardo all’aspetto concernente una pretesa erroneità dei conteggi non può trovare accoglimento poichè – come risulta dalla stessa esposizione del ricorso in esame – le circostanze addotte fanno generico riferimento a compensi asseritamente percepiti dalla lavoratrice quale corrispettivo di saltuaria attività di marketing" svolta "su incarico della Pegaso Service" ovvero in "società" con la legale rappresentante della stessa Pegaso Service", senza alcune specificazione in ordine alla eventuale idoneità di tali circostanze a sovvertire l’argomentato accertamento della Corte di merito circa il carattere subordinato del lavoro prestato dalla S. alle dipendenze della Pegaso Service nel periodo dedotto in ricorso e circa i conteggi operati dal nominato consulente contabile.

Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 2549 e 2697 c.c., contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha affermato la cessazione del rapporto di lavoro alla data del 28/11/93, come indicata nel ricorso introduttivo del giudizio, non considerando la diversa data del 27/9/93 come risultante dal verbale di conciliazione.

Afferma, altresì, che nella liquidazione delle differenze retributive spettanti alla S., lo stesso Giudice di merito non avrebbe tenuto conto di quanto effettivamente percepito dalla lavoratrice in base alle "fatture" alla stessa intestate per "vendite dirette ed indirette, etc".

Anche tale motivo non merita accoglimento, in primo luogo per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo cui tale ricorso deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito.

Orbene, quanto alla durata del rapporto di lavoro, la ricorrente non indica gli atti o i documenti di causa attestanti l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello nell’accertamento della effettiva durata del rapporto. Correttamente si osserva nel controricorso che la prosecuzione del rapporto di lavoro sino al 28/11/1993, per circa due mesi successivi alla stipula del verbale di conciliazione del 27/9/1993, era stata specificamente dedotta dalla S. nel ricorso introduttivo del giudizio (cfr. punto n. 8: "dopo la firma della impugnata transazione, la ricorrente ha continuato a lavorare, sempre senza copertura assicurativa, sino al 28/11/93, giorno in cui è stata licenziata"), e che tale esposizione costituiva circostanza non contestata nella memoria costitutiva del 29.5.1995 prodotta dalla società resistente nel giudizio di primo grado.

Quanto all’importo delle retribuzioni corrisposte alla lavoratrice, la ricorrente ha richiamato le "quietanze" allegate al fascicolo di 1 grado, senza specificare la rilevanza di tali documenti al fine di dimostrare l’errore di valutazione addebitato al Giudice di merito, che – come detto – si è riportato all’indagine, ritenuta esente da errori, svolta dal nominato consulente contabile.

Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e vanno attribuite all’avv. Raffaele Bia, anticipatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA con attribuzione all’avv. Raffaele Bia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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