Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-04-2012, n. 5471 Collocamento a riposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Fondazione Teatro Massimo di Palermo chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Palermo, pubblicata il 19 dicembre 2007, che, riformando la decisione di primo grado, ha accolto in parte la domanda di G.S..

Il G., corista del Teatro, prima del compimento dei sessantanni, aveva chiesto di rimanere in servizio sino al sessantacinquesimo o, in subordine, al sessantaduesimo anno, ma il Teatro non aveva riconosciuto tale diritto.

Il Tribunale rigettò il ricorso del G. ritenendo che questi avrebbe dovuto impugnare il provvedimento della fondazione nei sessanta giorni previsti dalla L. del 1966 sulla impugnativa dei licenziamenti.

Il G. propose appello, che la Corte ha accolto, dichiarando nullo il provvedimento di collocamento a riposo adottato dal Teatro, dichiarando che il G. aveva diritto a rimanere in servizio sino al compimento del sessantaduesimo anno e condannando il Teatro a corrispondergli le retribuzioni non percepite per i due anni intercorrenti tra la data del collocamento a riposo e il 1 aprile 2001.

Il Teatro ricorre per cassazione articolando due motivi. Il G. ha notificato e depositato un controricorso. Entrambe le parti hanno depositato una memoria.

Con il primo motivo la fondazione assume che la Corte avrebbe violato il D.L. n. 345 del 2000, art. 1 e art. 3, comma 2, convertito nella L. n. 6 del 2001, ponendo il seguente quesito: "se l’art. 3, comma 2, cit., dispone la non applicazione della L. n. 407 del 1990, art. 6 fino dalla data di trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato (disposta dal precedente art. 1 a decorrere dal 23 maggio 1998) con conseguente venire meno del diritto del sig. G. a restare in servizio sino a 62 anni, ovvero se la non applicazione valga soltanto a decorrere dall’entrata in vigore della L. n. 6 del 2001".

Con il secondo motivo si denunzia violazione della L. n. 604 del 1966, art. 6 assumendo che tale norma si applica anche all’atto unilaterale con il quale il datore di lavoro comunichi la cessazione del rapporto per raggiungimento dell’età pensionabile.

Quest’ultimo motivo è infondato per le ragioni esposte da Cass. 14 agosto 2008, n. 21702, la cui massima recita: "In tema di prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il sessantacinquesimo anno di età, ai sensi della L. n. 470 del 1990, art. 6 esercitata l’opzione per la prosecuzione il licenziamento motivato con il compimento dell’età ed il possesso dei requisiti pensionistici è nullo per violazione di norma imperativa, ancorchè il rapporto resti assoggettato al regime di stabilità, obbligatoria o reale, operante nel periodo precedente. Poichè tale nullità non rientra nella previsione della L. n. 604 del 1966, non è applicabile a tale licenziamento il termine di decadenza di sessanta giorni per l’impugnazione dello stesso, atteso il carattere eccezionale della disposizione rispetto al principio secondo cui la nullità può essere rilevata senza limiti di prescrizione. (Nella specie, la S.C., nell’enunciare il principio su esteso, ne ha escluso l’applicazione ai lavoratori dello spettacolo, non spettando agli stessi, ai sensi del D.L. n. 345 del 2000, art. 3 comma 2, l’opzione per la prosecuzione del rapporto, che costituisce il presupposto della nullità del recesso). Il primo motivo merita un’analisi più attenta.

La L. n. 407 del 1990, art. 6 consentiva ai lavoratori iscritti alla assicurazione generale per l’invalidità, la vecchiaia ecc. di continuare a prestare la loro opera fino al compimento del 62mo anno di età, in presenza di determinati requisiti (che nel caso in esame sussistono, il punto non è in discussione).

Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 1 (riforma previdenziale del 1992) elevò l’età sino al 65mo anno, ma l’art. 5 escluse da tale previsione di ulteriore innalzamento i lavoratori iscritti all’ENPALS, appartenenti alle categorie indicate dal D.Lgs.c.p.s. 16 luglio 1947, n. 708, art. 3, nn. Dal 1 al 14 fra i quali vi sono i coristi (il G. è un corista). La Corte ha rilevato che il G. presentava i requisiti per il prosieguo sino al 62mo anno, ma non per l’ulteriore dilatazione del periodo di lavoro (quest’ultimo punto non è oggetto di impugnazione).

Il problema su cui si controverte è quello di stabilire se la possibilità di rimanere in servizio sino ai sessantadue anni, riconosciuta dalla L. del 1990, fosse venuta meno al momento in cui il G. compì i sessant’anni e richiese di rimanere in servizio per altri due anni. E’, infatti, accaduto che il D.Lgs. 23 aprile 1998, n. 134 sulla trasformazione degli enti lirici, dopo averne disposto la trasformazione in fondazioni e l’acquisizione della personalità giuridica di diritto privato alla data di entrata in vigore del presente decreto, con l’art. 5 ha previsto che al detto personale "non si applicano le disposizioni di cui alla L. n. 407 del 1990, art. 6…" (e cioè della norma che consentiva la prosecuzione sino ai sessantadue anni).

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intero D.Lgs. n. 134 per eccesso di delega (Corte cost. sentenza n. 503 del 2000).

Ovviamente la abrogazione per illegittimità costituzionale ha efficacia retroattiva.

Il legislatore è tornato sul tema e con il D.Lgs. n. 345 del 2000, convertito nella L. n. 6 del 2001, ha ribadito (art. 1) che gli enti lirici "sono trasformati in fondazione ed acquisiscono la personalità giuridica di diritto privato dal 23 maggio 1998" e, all’art. 3, ha sancito che al suddetto personale non si applicano le disposizioni di cui alla L. n. 407 del 1990, art. 6".

Il problema è allora di stabilire se la L. n. 6 del 2001, art. 3 sia retroattivo (tesi del teatro) o no (tesi della Corte d’appello).

La tesi della retroattività viene sostenuta dal teatro con una serie di argomentazioni volte a ricostruire una volontà in tal senso del legislatore, desumibile, a parere della fondazione, dal fatto che la nuova previsione è identica a quella dichiarata incostituzionale, dal fatto che altrimenti non vi sarebbe stata ragione di emanare la nuova legge e dal fatto che, sempre a parere della fondazione ricorrente, la nuova legge mirava ad evitare che la ritrasformazione delle fondazioni liriche in enti pubblici potesse determinare conseguenze sugli atti adottati per la gestione dei rapporti di lavoro.

Si tratta di deduzioni acute e suggestive, tuttavia la tesi della Corte d’appello è maggiormente convincente per una ragione di fondo, non superabile.

La regola generale del nostro ordinamento giuridico è quella della irretroattività della legge. Regola ferrea in penale, derogabile in civile. Ma poichè la retroattività della legge civile costituisce pur sempre un’eccezione rispetto alla regola, il legislatore, se vuole che una legge civile abbia efficacia retroattiva, deve manifestare questa volontà in maniera inequivoca. In questo caso il legislatore ha manifestato tale volontà con l’art. 1, in cui si dispone che la trasformazione in fondazione e l’acquisizione della personalità di diritto privato opera "dal 23 maggio 1998", ma non ha fatto altrettanto nell’art. 3, che disciplina la materia pensionistica.

La irretroattività della legge comporta che, come ha affermato la Corte d’appello, il G. ha ragione, in quanto chiese il mantenimento in servizio il 22 giugno 1998 e compì 60 anni il (OMISSIS): la sua posizione rientra quindi nella finestra tra la legge dell’aprile 1998 (dichiarata incostituzionale e quindi abrogata con efficacia retroattiva) e la normativa del 2000, che ha ridisciplinato la materia.

Il ricorso, di conseguenza, deve essere rigettato. Le spese, per legge, devono essere poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione al controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 50,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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