Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-09-2011) 24-10-2011, n. 38199 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Sull’appello proposto nell’interesse di D.F.O. avverso l’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Milano in data 18- 02-011, reiettiva dell’istanza di scarcerazione per perdita di efficacia della misura cautelare in carcere di cui all’ordinanza 15- 10-010 per il reato (per quel che qui interessa) di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, dal settembre-ottobre 2007 alla fine di settembre 2003 (capo 29 della rubrica), il Tribunale del riesame di Milano, con ordinanza in data 4-4-011, confermava l’impugnata decisione, posto che come osservato già dal GIP nella predetta decisione, al momento dell’emissione della prima misura intramuraria (25-01-010) non erano desumibili dagli atti elementi posti a fondamento del reato associativo contestato con la seconda anzidetta misura, elementi versati nella informativa del 18-01-010 e pervenuta al P.M. il 26-01- 010, fermo restando che non risultava, dimostrata, ad avviso del decidente Tribunale del riesame, "la sussistenza di connessione qualificata tra il reato associativo oggetto della seconda ordinanza (15-10-010) ed i reati oggetto della prima (25-01-010)" di guisa che "i termini della seconda ordinanza potrebbero essere retrodatati al giorno in cui è stata eseguita la prima (e non a quello di emissione del decreto di rinvio a giudizio, che opera soltanto in caso di connessione qualificata) solo qualora gli elementi giustificativi della seconda fossero già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima". Nella specie, ad avviso del decidente Tribunale del riesame, risultava "inconfutabilmente l’impossibilità del PM di desumere dagli atti gravi indizi "dei reati per cui oggi si procede al momento dell’emissione nei confronti del D. dell’ordinanza custodiale in data 25-01-010 (essendo il momento di emissione cui ovviamente deve farsi riferimento e non quello della sua esecuzione, secondo logica e secondo l’inequivoca pronuncia della Corte Costituzionale n. 403/05): l’informativa conclusiva in data 18- 01-010 (solo attraverso la quale … al PM è stato offerto un quadro completo della gran mole di conversazioni intercettate, dell’identificazione degli interlocutori, dei rapporti quindi tra loro esistenti, ritenuto di fondamentale importanza per conferire gravità indiziaria all’ipotesi di accusa, con particolare riferimento alla fattispecie associativa) risulta pervenuta all’Ufficio del P.M. il giorno successivo, ovvero il 26-01-010, come attestato dal timbro apposto sulla prima pagina dell’informativa stessa".

Nè tale conclusione poteva ritenersi, secondo l’ordinanza in esame, in contraddizione con l’accoglimento da parte del GIP dell’istanza di retrodatazione dei termini con riferimento ai reati D.P.R. cit., ex art. 73, essendo stata tra questi riconosciuta la continuazione riferibile ai fatti di entrambe le ordinanza custodiali, sicchè il termine cui fare riferimento per la desumibilità dagli atti non è quello di emissione della relativa ordinanza bensì quello della pronuncia del decreto di rinvio a giudizio intervenuto il 16-12-010.

Avverso tale ordinanza il D. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo a motivi del gravame, a mezzo del proprio difensore: 1) Contraddittorietà della motivazione, posto che il tribunale decidente ha prima ritenuto che le singole cessioni di droga fossero state tutte programmate, condividendo la valutazione del GIP che in merito ha applicato la disciplina di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, a tutti i reati fine ma poi, trattando del reato associativo, ha argomentato "l’esatto contrario";

2) Erronea applicazione della legge processuale penale in relazione al contenuto dell’art. 297 c.p.p., costo che, contrariamente all’assunto del Tribunale del riesame, risultava evidente dagli atti (redatti e depositati molto prima rispetto all’adozione del primo titolo custodiale), già da tempo a disposizione del PM (numerose CNR depositate tra cui l’annotazione di servizio dell’8-6-09 le dichiarazioni del collaboratore di giustizia P.F. direttamente riferite al PM, le richieste di autorizzazione alla intercettazione delle varie utenze in uso agli indagati) che detto Ufficio era già nelle condizioni di apprezzare gli indizi di colpevolezza, posti a fondamento del reato associativo, come di tutti i reati fine.

L’informativa conclusiva, infatti, ad avviso della difesa, "rappresenta unicamente il compendio dell’attività investigativa compiuta e terminata oltre un anno prima, sicchè se per l’applicabilità del disposto di cui all’art. 297 c.p.p., si dovesse attendere il deposito dell’informativa conclusiva si renderebbe possibile procrastinare "sine die" il relativo: momento, frustrando in tal modo la stessa finalità della norma.

Di qui, secondo il ricorrente, il fatto che il Tribunale decidente avrebbe dovuto interrogarsi in ordine alla concludenza del materiale indiziario a disposizione del P.M. al momento dell’adozione della 1^ misura cautelare, valutazione questa, imposta da una corretta lettura dell’art. 297 c.p.p., comma 3, del tutto mancata nel caso de quo.

3) Erronea interpretazione della legge processuale penale in relazione al contenuto dell’art. 297 c.p.p., posto che, al momento dell’emissione della seconda ordinanza, il P.M., aveva già da tempo a disposizione un sufficiente apparato indiziario in ordine al reato associativo, a prescindere, dalla CNR conclusiva, del gennaio ‘010, con emissione manifestamente tardiva del la seconda misura custodiale (nell’ottobre successivo) poco prima della scadenza del termine di fase del primo provvedimento.

Tale modo di procedere era sicuramente illegittimo anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimità sulla disciplina delle contestazioni a catena agli effetti, nella specie, della retrodatazione dei termini di custodia cautelare anche per il reato associativo.

Il ricorso è fondato e va accolto con conseguente annullamento dell’impugnata ordinanza e rinvio per nuovo esame al Tribunale di Milano.

Va richiesta la Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Ed invero, pur non sottovalutando l’estrema complessità della lettura della normativa in materia, segnatamente riferita a quella di cui allo art. 297 c.p.p., comma 3, giova, in ogni caso ribadire il principio di diritto secondo cui la desumibilità degli atti va intesa in termini di opportuna, prioritaria e necessaria oggettività, come correttamente rileva il ricorrente anche al fine di evitare pur possibili quanto discutibili ritirai "percettivi" in termini di recepitività delle gli elementi probatori da parte del PM; con possibili, quanto non giustificabili ritardi nell’erniario ne del provvedimento custodiale rispetto al quadro di una contestazione a catena.

In questa corretta chiave di lettura dei criteri metodologie in cui improntare la cennata verifica è lecito tracciare un altrettanto corretta nozione di "desumibilità" intesa quale "condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano in se una specifica significanza processuale".

E’ una condizione questa, che, com’è intuibilmente noto anche in punto di logica, si verifica allorchè il P.M. procedente sia in una reale oggettiva condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente completo ed esauriente, ancorchè intuibilmente modificabile nel prosieguo delle indagini, del panorama indiziario (cfr. in termini Cass. pen. Sez. 6^, 28-02-2007 n. 16492, puntualmente richiamata nel ricorso a fol. 6).

Emerge, pertanto, la figura determinante della "conoscibilità" da parte dell’ufficio, a prescindere da quando sia "recepita" effettivamente dal P.M. il materiale probatorio, in senso lato gravità indiziaria e prove).

In questa chiave di lettura, dunque, il Tribunale era tenuto ad operare una corretta valutazione della concludenza del materiale indiziario al momento dell’adozione della prima misura in relazione al reato associativo di cui al capo 29) valutazione, questa, che sembra piuttosto sommariamente ancorata ad un aspetto di cronologia non contestuale tra CNR conclusiva e momento di emissione dell’ordinanza custodiale del 25-01-010 per i reati fine rispetto al momento di emissione della misura 15-10-010 per il reato associativo, senza che vi fosse cenno alcuno, ancorchè in chiave critica, a precedenti CNR, volta a volta trasmesse nel corso dell’articolata quanto complessa indagine istruttoria, da cui già sarebbero essersi elementi di convergenza indiziaria rapporto di connessione "reato associativo – reati fine".

Alla stregua delle considerazioni che precedono, appare, dunque, opportuno l’annullamento dell’impugnata ordinanza, con rinvio al Tribunale ai Milano per nuovo esame che vorrà motivatamente conformarsi ai principi di diritto innanzi enunciati.

P.Q.M.

ANNULLA l’ordinanza impugnata e RINVIA per nuovo esame al Tribunale di Milano.

MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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