Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-04-2012, n. 5467

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.U. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza, che aveva respinto la sua domanda diretta ad ottenere la condanna della società bancaria Bipitalia Ducato S.p.A. (già Bipielle Ducato S.p.A.) al pagamento dell’indennità di mancato preavviso per la revoca immotivata del mandato di agente per la città di (OMISSIS) e degli ulteriori danni economici e morali deducendo l’erronea qualificazione del rapporto tra le parti come contratto di procacciatore di affari e non come contratto di agenzia, sulla base di una inesatta valutazione delle prove in atti.

Ha chiesto la riforma della sentenza e l’accoglimento della domanda.

La Bipitalia Ducato si è costituita chiedendo il rigetto dell’appello. Con sentenza del 6-20 dicembre 2007, l’adita Corte d’appello di Catanzaro, rilevato che il materiale probatorio acquisito e, segnatamente l’accordo intervenuto tra le parti, indicava la sussistenza di un rapporto di procacciamento di affari, che trovava riscontro nell’attività in concreto espletata dal B., senza ricevere smentita da elementi contrari, che potessero delineare un rapporto di agenzia, come sostenuto dal ricorrente, ha rigettato il gravame. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il B. con cinque motivi. Resiste la Ducato S.p.A. (già Bipielle Ducato S.p.A.) con controricorso. E’ stata anche depositata memoria.

Motivi della decisione

Va preliminarmente puntualizzato che la sentenza impugnata – conformemente a quanto ritenuto dal primo Giudice – ha escluso la configurabilità, nella specie, del dedotto rapporto di agenzia, osservando che dal documento in atti, contenente i termini del relativo contratto, si evinceva la disponibilità del B. a fornire, "senza alcun obbligo reciproco di continuità, stabilità ed organizzazione, segnalazione di richieste di operatori economici" interessati ad avvalersi dei servizi della società Bipitalia Ducato, inoltrando le proposte attraverso la filiale della medesima società competente territorialmente.

La Corte territoriale, rilevato l’inequivocabile tenore letterale del documento e il tono complessivo dello stesso, univoco in ogni suo aspetto, ha ritenuto dimostrata la precisa volontà delle parti di intrattenere un rapporto di procacciamento di affari, in virtù del quale il B. offriva alla società appellata, senza alcun vincolo di continuità, stabilità, organizzazione o di mandato, la sua attività di segnalazione di soggetti interessati ad operazioni economiche con la società appellata.

La stessa Corte ha aggiunto che correttamente, pertanto, il primo Giudice aveva rilevato che detto documento non presentava i caratteri distintivi del contratto di agenzia, implicante un incarico stabile e continuo per la promozione di contratti per conto del proponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, bensì quelli, caratterizzati dalla occasionalità e dalla mancanza di vincoli di stabilità, tipici del rapporto proprio del procacciatore di affari.

Il Giudice d’appello ha poi soggiunto che, a fronte di un accordo di contenuto inequivocabile, il B. non aveva fornito alcun elemento idoneo a dimostrare che le parti nel corso del rapporto – peraltro durato pochi mesi, dal 15.7.98 al 7.1.99 – avessero inteso trasformare una mera attività di procacciamento di affari in un contratto di agenzia ovvero che, di fatto, le concrete modalità di svolgimento della sua attività dimostrassero la sussistenza di un vero e proprio contratto di agenzia. A ciò andava aggiunto che le attività dedotte a tal fine dal B. ben si conciliavano con gli impegni di procacciatore di affari assunti con il contratto siglato tra le parti e non si caratterizzavano come tipiche ed esclusive di un rapporto di agenzia.

"Del tutto irrilevante (oltre che di dubbia attendibilità)" era poi il documento prodotto dall’appellante in grado di appello attestante tre versamenti all’ENASARCO da parte del B., per complessive L. 1.745.000, quali contributi per il dedotto rapporto di agenzia, effettuati il 10.7.01, a distanza di oltre due anni dalla cessazione del rapporto con l’appellata, in quanto atto di parte che non provava la effettiva pregressa esistenza del rapporto di agenzia.

Sulla base di tale accertamento, la Corte di Catanzaro ha coerentemente concluso che legittimamente la società appellata aveva proceduto al recesso ad nutum dal rapporto di procacciamento di affari in atto, non solo perchè non trovavano applicazione in tal caso le norme di legge o contrattuali vincolanti i contraenti in un rapporto di agenzia, ma anche perchè nel contratto stipulato tra le parti era espressamente prevista la possibilità del recesso ad nutum.

Da ciò discendeva che correttamente il Tribunale aveva respinto la domanda del B. sia in merito alla rivendicata indennità di mancato preavviso che alla conseguente richiesta di danni asseritamente subiti dal comportamento dell’appellata società erroneamente considerato illegittimo.

Orbene, avverso la riportata decisione, il ricorrente denuncia cinque motivi, nessuno idoneo a scalfire la correttezza del decisum.

Invero, il primo motivo di ricorso è palesemente inammissibile, perchè si risolve in una richiesta di riesame nel merito, fin già dall’intitolazione del medesimo, che reca testualmente riesame nel merito della domanda e fondatezza della stessa.

In particolare, il B., dopo avere ripercorso la storia del rapporto di collaborazione con la soc. intimata, riferisce delle difficoltà incontrate nel reperire nuove occasioni di lavoro, senza però segnalare, in tale descritto contesto, un vizio della sentenza di appello, deducibile in Cassazione.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1742, 1750 e 1751 c.c. ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel non riconoscere il rapporto di agente intercorso con la società, in violazione della richiamata normativa.

Anche questo motivo non può trovare accoglimento poichè la lettera d’incarico qualifica il rapporto come procacciamento d’affari, nè il ricorrente – come puntualizzato nella sentenza impugnata – è stato mai in grado di smentire questa qualificazione.

Sul punto, il Giudice a quo, a sostegno del decisum, ai fini di determinare la linea di demarcazione tra il rapporto di procacciamento di affari e quello di agenzia, ha tenuto a richiamare l’orientamento di questa Corte, secondo cui caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; invece il rapporto di procacciatore d’affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa. Conseguentemente, al rapporto di procacciamento d’affari possono applicarsi in via analogica solo le disposizioni relative al contratto di agenzia (come le provvigioni) che non presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto e non anche quelle – di legge o di contratto – che lo presuppongono (come nella specie l’indennità di mancato preavviso, l’indennità suppletiva di clientela e l’indennità di cessazione del rapporto) (Cass. n. 13629/2005).

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1750 e 1751 c.c. ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere i Giudici di merito errato nel non riconoscere al ricorrente il diritto al preavviso per la risoluzione del contratto di agenzia, nonchè all’indennità di cessazione del rapporto ed al risarcimento dei danni per mancato guadagno.

Il motivo è palesemente infondato essendo consequenziale al precedente e, quindi, assorbito nella infondatezza dello stesso.

Con gli ultimi due motivi il ricorrente lamenta una erronea amministrazione, da parte della Corte d’appello, del materiale istruttorio sia di quello raccolto che di quello da raccogliere.

In particolare, con il quarto motivo il ricorrente denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (disponibilità e valutazione delle prove) in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamenta che la Corte d’appello avrebbe errato nel rigettare la domanda, senza esaminare le prove fornite e senza ammettere l’interrogatorio formale del legale rappresentante della società e la prova testimoniale richiesta.

Con il quinto, invece, denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. (disponibilità delle prove) in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, lamenta che il Giudice di secondo grado si sarebbe limitato solo a confermare la sentenza di primo grado, senza minimamente valutare i motivi di appello e gli atti difensivi del ricorrente e la documentazione prodotta; e, segnatamente la prova documentale allegata alle note integrative e la documentazione prodotta in appello, senza darne adeguata motivazione.

Entrambi i motivi non meritano accoglimento, perchè gli artt. 115 e 116 c.p.c. sono all’evidenza inconferenti rispetto al censurato rigetto delle avanzate istanze istruttorie, motivato per l’irrilevanza delle stesse, cioè per una valutazione che attinge alla fattispecie sostanziale dedotta in giudizio, rispetto alla quale quelle istanze sono state giudicate, appunto, ininfluenti.

Circa poi la valutazione del materiale probatorio acquisito, giova rilevare, costituendo specifico motivo di gravame, unitamente a quello ricondotto al vizio di violazione di legge, che la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento – con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere – secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. S.U. n. 13045/97)- dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.

Non risultando, nell’iter argomentativo, della impugnata pronuncia alcuno dei denunciati vizi e violazioni di legge, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 40,00, oltre Euro 2.500,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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