Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-04-2012, n. 5466 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

C.F., in proprio e quale legale rappresentante del BAR PENSIONE RISTORANTE BELL’OMBRA di Chiappelli Franco & C. s.n.c, impugnava la sentenza del Tribunale di Pistoia che, per effetto di un asserito erroneo apprezzamento delle risultanze istruttorie, aveva respinto le due opposizioni proposte avverso le ingiunzioni della Direzione Provinciale del Lavoro di Pistoia per il pagamento di complessivi Euro 13.258,32 a titolo di sanzioni per varie violazioni connesse alle posizioni di tre lavoratrici ( Ca., A. e G.), assunte con contratto di lavoro a tempo parziale, in relazione alla durata dei rapporti di lavoro ed alla sussistenza di lavoro supplementare e straordinario ed al mancato godimento del riposo settimanale. La D.P.L. appellata contestava il gravame.

Con sentenza del 17-23 aprile 2007, l’adita Corte d’appello di Firenze, rilevato – come il primo Giudice – che il materiale probatorio acquisito induceva a ritenere la sussistenza delle attribuite infrazioni, rigettava l’impugnazione. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il C. nella duplice qualità con cinque motivi. Resiste il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale con controricorso.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disattesa l’eccezione, sollevata dal Ministero resistente di nullità della notifica del ricorso per cassazione perchè effettuata presso l’Avvocatura Distrettuale di Firenze e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, in base al disposto del R.D. 30 ottobre 1933, art. 11. Invero, – come da consolidato orientamento di questa Corte – con riguardo a ricorso per cassazione proposto nei confronti dell’amministrazione, la nullità della notificazione, in quanto eseguita presso l’Avvocatura distrettuale anzichè presso l’Avvocatura generale dello Stato, resta sanata, con effetto "ex tunc" (e consequenziale esclusione del verificarsi di decadenza per il sopravvenuto decorso del termine d’impugnazione), dalla costituzione in giudizio dell’amministrazione medesima rappresentata dall’Avvocatura generale (Cass. n. 2148/2003). Con il primo mezzo d’impugnazione il C., in proprio e quale legale rappresentante del BAR PENSIONE RISTORANTE BELL’OMBRA di Chiappelli Franco & C. s.n.c, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta che il Giudice di secondo grado, in relazione alle dichiarazioni spontanee rese agli ispettori, non abbia preso in considerazione quanto era stato lamentato nel motivo di appello circa la "semplicistica e riduttiva interpretazione", avanzata dal primo Giudice su dette dichiarazioni, come "ammissione dei fatti", senza valutare quelle dichiarazioni alla luce anche delle altre risultanze istruttorie.

Con il secondo motivo parte ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2096 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta che il Giudice d’appello non abbia riconosciuto esistente la palese contraddizione in cui era incorsa la lavoratrice A.M. nel dichiarare in sede testimoniale cosa diversa da quanto dichiarato in sede amministrativa, ritenendo provata l’esistenza di un patto di prova, senza considerare che detto patto, ai sensi dell’art. 2096 c.c., deve essere necessariamente provato per iscritto.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3), lamentandosi che la Corte d’appello non abbia considerato l’intervenuto giudicato assolutorio in sede penale – con la formula, "il fatto non sussiste" – in relazione ai fatti materiali posti a base delle pretese amministrative in oggetto.

Con il quarto motivo si denuncia motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria ( art. 360 c.p.c., n. 5), lamentandosi una erronea interpretazione delle dichiarazioni rese dalle dipendenti G. e Ca. non cogliendone, la Corte di appello, la contraddittorietà più volte evidenziate dinanzi ai Giudici di merito.

Con il quinto motivo, infine, viene denunciata la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 435 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, essendo stata fissata la data della udienza di discussione dinanzi al Collegio oltre i previsti sessanta giorni dal deposito del ricorso in appello.

Il ricorso è privo di fondamento.

Invero, i primi quattro motivi, nonostante richiami a violazioni di legge, si sostanziano in una richiesta di riesame e di nuova valutazione, da parte di questa Corte, delle risultanze processuali e degli avvenimenti, valutati di Giudici di merito e, segnatamente dal Giudice d’appello, concretantesi in una congrua ed articolata motivazione.

Tale richiesta di riconsiderazioni di merito è particolarmente evidente nel primo motivo di ricorso, con il quale, pur deducendosi la violazione dell’art. 112 c.p.c., si richiede una valutazione in termini di comparazione di fatti preclusa nel giudizio di legittimità.

Anche con riferimento al secondo motivo di ricorso, la violazione dell’art. 2096 c.c. è dedotta solo formalmente come violazione di norma di legge, ma è essenzialmente svolta come asserita insufficienza del materiale probatorio sul quale si fonda la decisione del giudice d’appello.

Come esaustivamente motivato dal Giudice d’appello, la parziale discrasia, in cui è incorsa una delle lavoratrici ( A.) tra le dichiarazioni rese in sede amministrativa ed in sede giudiziaria riguardo al mese di inizio del rapporto quanto al periodo di prova, "non esclude la violazione rilevata dall’organo amministrativo, in quanto la medesima ( A.) ha appunto ribadito che in ogni caso ha svolto una prova di circa quindici giorni prima di essere assunta"; sicchè la doglianza della parte ricorrente, secondo cui il patto di prova per essere valido deve essere provato per iscritto, appare priva di rilevanza.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 654 c.p.p., per avere la Corte di merito trascurato la sentenza n. 2221/05, passata in giudicato, con cui la Corte d’appello di Bologna assolse l’attuale ricorrente dalle imputazioni di omesso tempestivo versamento all’INPS delle ritenute sulle retribuzioni spettanti alle medesime lavoratrici di cui alle attuali contestazioni amministrative.

L’assoluzione era avvenuta per non sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.

Il motivo è privo di fondamento.

Anzitutto il giudicato penale di cui all’art. 654 cit. è invocabile nel giudizio civile per sanzioni amministrative solo quando la Pubblica Amministrazione che le infligge sia parte nel giudizio penale, ciò che non è avvenuto nel caso di specie (Cass. 9 maggio 2006 n. 10665, Cass. 7 febbraio 2007 n. 2613, Cass. 28 maggio 2007 n. 12403).

Per di più è necessario che la sentenza penale contenga l’effettivo accertamento dell’insussistenza di un fatto e non solo l’insufficienza delle prove su di esso (Cass. 30 ottobre 2007 n. 22883, 9 marzo 2010 n. 5676, 11 febbraio 2011 n. 3376), mentre l’invocata sentenza della Corte di Bologna dice che le testimonianze a carico dell’imputato non hanno "superato la prova di resistenza degli altri elementi probatori parimenti raccolti" e che "sicuramente carente è la prova certa del lavoro in nero", così facendo conseguire l’assoluzione con formula piena ad un mancato raggiungimento della certezza dei fatti".

Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria ( art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta che la Corte d’appello non avrebbe svolto un esame completo e comparativo di tutte le testimonianze e dichiarazioni rese e non collimanti perfettamente le une con le altre.

Anche tale motivo, non può trovare accoglimento, in quanto la pretesa carenza di motivazione non è in alcun modo desumibile dal contenuto della sentenza d’appello che, anzi, anche sul punto specifico, appare adeguatamente argomentata mediante specifico riferimento alle deposizioni dei testi escussi ed a pretese segnalate loro contraddittorietà, reiterate in questa sede con il proposto motivo di gravame; sicchè la censura tende, in realtà, ad un’inammissibile rivalutazione del merito.

Anche il quinto ed ultimo motivo, con cui si denuncia nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 435 c.p.c., non può trovare accoglimento. Infatti, la giurisprudenza è univocamente orientata nell’affermare che i termini previsti dall’art. 435 c.p.c. – il quale stabilisce che il Presidente della Corte di appello entro cinque giorni dalla data del deposito del ricorso nomina il giudice relatore e fissa, non oltre sessanta giorni dalla data medesima, l’udienza di discussione davanti al collegio, hanno natura ordinatoria, secondo la generale previsione dell’art. 152 c.p.c.;

pertanto, il mancato rispetto di essi non è causa di nullità nè, in particolare, importa improcedibilità dell’appello la fissazione dell’udienza di discussione oltre il termine di sessanta giorni sopra menzionato (ex plurimis, Cass. Sez. Un. n. 10728/1998). Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari ed oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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