Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-09-2011) 24-10-2011, n. 38191

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

p. 1. D.W., proposto per la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s., ricorre per cassazione contro l’ordinanza specificata in epigrafe che ha rigettato l’opposizione da lui proposta avverso la vendita di alcuni beni sequestrati L. n. 575 del 1965, ex art. 2 bis e art. 2 ter (quattro veicoli a motore e una settantina di penne stilografiche), in quanto ritenuti deperibili.

Il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 260 cod. proc. pen., comma 3, assumendo che il giudice a quo avrebbe confuso il concetto di deperimento, che afferisce alla conservazione dell’integrità del bene, con quello di deprezzamento, che descrive invece la graduale perdita di valore economico del bene medesimo. p. 2. L’art. 260 cod. proc. pen., comma 3, la cui rubrica contiene l’indicazione "cose deperibili", a proposito delle cose sequestrate, dispone che: "Se si tratta di cose che possono alterarsi, l’autorità giudiziaria ne ordina, secondo i casi, l’alienazione o la distruzione".

I concetti di alterazione e ancor più quello di deperimento, quando riguardano un bene di natura patrimoniale, non possono essere intesi in senso strettamente fisico, ma investono necessariamente il valore economico del bene medesimo. L’alienazione delle cose sequestrate si pone, quindi, come ragionevole rimedio funzionalizzato a preservare anche il valore economico di un bene che, per le sue caratteristiche, durante i tempi lunghi della procedura, sarebbe prevedibilmente destinato a deperimento e degrado.

Nel caso concreto, il giudice a quo, sottolineando che i beni in sequestro per loro natura erano destinati a causa del decorso del tempo ad alterazione fisica e deperimento economico, ne ha legittimamente ordinato la vendita.

Il ricorso, siccome manifestamente infondato, dev’essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenta equa, di Euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *