Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-09-2011) 24-10-2011, n. 38187

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 13/12/2010 il Tribunale di Genova, adito dagli indagati M.A.A.J. e C.S., alias L.J. in sede di riesame ex art. 309 c.p.p., decidendo a seguito di rinvio della Corte di Cassazione per annullamento della precedente ordinanza in data 1/6/2010 del medesimo Tribunale, confermava la misura cautelare della custodia in carcere inflitta nei confronti dei predetti con ordinanza in data 7/5/2010 del G.I.P. del Tribunale di Massa per il reato di cui agli artt. 110-648 c.p., così diversamente qualificato il reato contestato D.Lgs. n. 231 del 2007, ex art. 55.

I predetti erano stati fermati a bordo di una autovettura e in sede di perquisizione autoveicolare e domiciliare della camera d’albergo, nella quale avevano pernottato erano stati trovati in possesso di impianti per la estrapolazione di codici e pin dagli sportelli bancari ATM, notebook con programmi per la clonazione di carte di credito, pen drive, chiavette ubs, contenenti innumerevoli codici di carte di credito donate, nonchè appunti cartacei con stringhe alfa numeriche e codici pin annotati, provenienti dal delitto ex art. 615 ter cp..

Il G.I.P. del Tribunale di Pistoia convalidava l’arresto in flagranza e applicava nei confronti di entrambi gli indagati la misura della custodia in carcere per il reato di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, dichiarandosi contestualmente incompetente per territorio e trasmettendo gli atti ex art. 27 c.p.p., al G.I.P. del Tribunale di Massa, che confermava la misura applicata, qualificando però il reato come violazione dell’art. 648 c.p..

A seguito di istanza di riesame il Tribunale Di Genova con ordinanza in data 1/6/2010 annullava l’ordinanza del G.I.P. di Massa, non ritenendo configurabile il reato contestato.

Su ricorso del P.M. si pronunciava la Corte di Cassazione, che, enunciando il principio di diritto da applicare al caso in esame, annullava l’ordinanza impugnata con rinvio al medesimo Tribunale, che confermava la misura cautelare inflitta per il reato di concorso in ricettazione.

Contro tale decisione ricorrono gli indagati personalmente il quali nell’unico motivo a sostegno della richiesta di annullamento denunciano l’inosservanza e erronea applicazione della legge penale in riferimento alla qualificazione del fatto come reato ex art. 648 c.p., e sostengono che i giudici del riesame avevano malamente interpretato e applicato il principio espresso dalla Suprema Corte, giacchè le utilità, che sarebbero dovuto derivare dall’uso del materiale sequestrato dovevano ritenersi escluse dal delitto di ricettazione e che in ogni caso gli indagati avrebbero tutt’al più essere incriminati per concorso nel delitto presupposto di cui all’art. 615 quater c.p..

I ricorsi sono inammissibili, perchè difettano di specificità, laddove reiterano la tesi già valutata e respinta dal giudice del riesame sul rilievo che il materiale repertato proveniva da delitto, essendo le carte scannerizzate intestate a terze persone, e pongono in discussione senza apprezzabili motivi in diritto il principio affermato dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza di annullamento, che ha qualificato la condotta posta in essere dai ricorrenti ex art. 648 c.p. e non D.Lgs. n. 231 del 2007, ex art. 55, che ricorre solo nell’ipotesi in cui la provenienza del materiale non sia ricollegabile a delitto, bensì ad illecito amministrativo o anche penale, ma di natura contravvenzionale. Destituita di ogni fondamento è poi la tesi del concorso nel reato presupposto, che la difesa ha enunciato senza indicare le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che la sostengono, limitandosi a richiamare una giurisprudenza di questa Corte, che mal si adatta al caso in esame.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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